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2.6 Cosa fa l’Unione Europea per migliorare l’integrazione degli immigrat

4. I NUOVI ITALIAN

4.5 Il problema della rappresentanza

La Rete G2 è stata dunque uno stimolo e un punto d’inizio per molti ragazzi che si sono sentiti finalmente parte attiva della società nella quale sono cresciuti. Finalmente grazie all'associazione si sono sentiti riconosciuti e rappresentati sul terreno più ostico per loro, quello legale.

L'importanza della formalizzazione dei loro incontri e delle loro attività nel contesto cittadino, con la fondazione di una associazione, è sicuramente legata al concetto di cittadinanza attiva che loro reclamano. Oggi, quando si parla di cittadinanza attiva, non si può fare a meno di riferirsi alla funzione di rappresentanza. Questa fino a pochi anni fa era strettamente legata alla politica e ai partiti politici, che erano l'unico canale dove l'individuo poteva entrare per esprimere le proprie idee. I grandi partiti di massa si facevano portavoce del popolo ed erano i soli intermediari tra il governo del momento e il cittadino. Per una lunga fase, attraverso i partiti si ha avuto una intensa comunicazione sociale. Questo circuito però si è interrotto da qualche decennio in molti paesi e la cittadinanza attiva si va a collocare fuori dai partiti politici. La rottura del binomio politica/cittadinanza attiva è stata determinata da due fattori: dal diffondersi della comunicazione di massa a livello globale che ha integrato gli immaginari collettivi e dalla globalizzazione dell'economia. Il sistema stesso di rappresentanza fino a questo punto concepito entra in crisi. I partiti politici non sono più i soli portavoce della massa, che si organizza in modo alternativo a seconda delle loro esigenze.

«La rappresentanza insomma si distingue dal mero mandato, lo contiene ma è qualcosa di più: la rappresentanza ha una funzione creativa, produce qualcosa che si desidera ci sia, ma ancora non c'è»68.

Grazie a questa nuova forma di esprimersi e di partecipazione alla vita sociale accanto alla parola diritti si reintroduce attraverso di loro la “cultura della responsabilità”. In questo senso ritorna l'attenzione per l'altro, il proprio vicino, verso il quale si hanno degli obblighi, dei doveri di cura delle persone e dell'ambiente stesso nel quale si vive insieme. Una responsabilità quindi che va oltre i propri bisogni e desideri, ma che comprende la consapevolezza di doveri nei confronti altrui. Una responsabilità che si radica nel presente, un'azione nel quotidiano.

La lotta per i diritti e per la cittadinanza diventa a questo punto un fare qui e ora un'altra società, venendo così a rappresentare un valore in se stessa.

Come sottolinea Scalfari in uno dei suoi articoli su “La Repubblica”:

«Molti diritti sono ancora privi di tutela. Penso, tra i tanti, a quelli dei lavoratori precari e a

quelli degli immigrati, che vanno di pari passo con i doveri verso la comunità di accoglienza alla condizione che l'accoglienza sia tale e non elemosina o semplice buon cuore individuale. I diritti sono uno degli aspetti essenziali d'una società civile che, senza di essi, dovrebbe esser definita incivile. Ma anche i doveri lo sono e sono duplici. C'è il dovere dell'individuo il quale ha il diritto di tutelare i propri interessi e la propria felicità, ma ha il dovere di inquadrarli in una visione del bene comune. Oggi non avviene così. La preoccupazione dominante non risiede in questo scambio ma nel puro e semplice egoismo. Ci sono al tempo stesso i doveri della società verso gli individui e anche questo è uno degli aspetti essenziali d'una società civile. Il dovere principale è quello di soddisfare al meglio i diritti individuali assicurando il massimo possibile di eguaglianza e di pari opportunità nel soddisfacimento di quei diritti. Individui liberi, individui eguali nella competizione e nell'accesso al mercato, individui solidali tra loro nella contribuzione al bene comune. Ancora una volta il trittico di libertà, eguaglianza (soprattutto di

68

Cfr. Cotturri G., La cittadinanza attiva. Democrazia e riforma della politica, Fondazione italiana per il volontariato, Roma 1998, p. 58.

fronte alla legge ma non soltanto), fraternità. Affinché la società sia civile, lo Stato e le istituzioni siano civili, le persone siano civili»69.

In questo articolo Scalfari ci ricorda da dove deriva il termine stesso di società civile e come essa sia importante in una democrazia che funzioni, in un paese che non lascia alla politica tutto il potere ma che si rende partecipe e garante del buon funzionamento attraverso l'impegno personale e la ripresa dei principi che hanno fondato la società moderna: libertà, eguaglianza e fraternità. Se è vero che al giorno d'oggi si vive in un clima di sfiducia verso il sistema politico è anche vero che le persone, i cittadini, si stanno risvegliano e cominciano nuovamente a partecipare alla vita pubblica attraverso le diverse associazioni.

Spesso si è sottolineato come queste, non essendo inserite nella sfera politica si vadano a contrapporre ai partiti, tuttavia non sempre le due parti diventano antagoniste.

Se da una parte queste forme di associazioni si tirano fuori dalla sfera politica, dall'altra non entrano necessariamente in tensione con essa, anzi il dialogo diventa fondamentale per poter costruire insieme. Districarsi tra la sfera politica e quella della comunicazione di massa (i media, cioè il sistema di rappresentazione più esteso e potente), non è semplice. È solo grazie all'autonomia dai partiti che i movimenti dei cittadini riescono ad allargare l'azione di tutela trasversalmente ai cittadini di ogni orientamento politico, solo in questo modo la Costituzione riprende forza come legge posta a garanzia di tutti e al di sopra di ogni volontà politica del momento. La forza per farsi ascoltare, la loro legittimazione, non è dovuta al numero di voti che possono portare a questo o a quel partito, ma nel valore del bene costituzionale protetto e nella sensibilità diffusa che attorno a tali questioni di principio si è riusciti a suscitare. Un diverso grado di civiltà passa attraverso lo sviluppo delle dialettiche di cittadinanza70.

C'è quindi, da parte delle associazione dei figli dell'immigrazione, un tentativo di prendere la parola e di svolgere un ruolo pubblico, un ruolo che non è informale, ma riconosciuto dalle istituzioni. Diventa uno strumento con il quale entrare nel tessuto sociale, una dimostrazione di appartenenza al territorio, un modo per dire “noi siamo”;

69

Eugenio Scalfari, il comento, La società civile e la casta dei politici, in La Repubblica, 17-01-2010. sul sito: http://www.repubblica.it/politica/?ref=hphead

70

Cfr. Cotturri G., La cittadinanza attiva. Democrazia e riforma della politica, Fondazione italiana per il volontariato, Roma 1998.

un modo per superare la doppia assenza, ma trasformarla attraverso il riconoscimento istituzionale in una doppia presenza; un modo per farsi riconoscere come parte attiva, come parte già integrata.

La loro rivendicazione è quella di essere riconosciuti in quanto italiani, ma anche in quanto persone con le loro specificità, su identità fondate sulla differenza. Come ci ricorda Colombo:

«Il riconoscimento è una forma minima e indispensabile di rispetto dovuto a chi è altro da noi, una condizione irrinunciabile per garantire a tutti la possibilità di realizzare la loro unicità e divenire individui realmente autonomi, liberi e capaci di azioni sociali consapevoli»71.

La presenza di associazioni nel tessuto sociale è da sempre vista come un punto focale per la qualità complessiva della vita sociale stessa. Nel caso specifico di associazioni giovanili, fondate tutte sul volontariato, il discorso non si inquadra solamente in una visone del “pro-sociale”, ma è un chiaro indicatore di capitale sociale di cui la società locale può disporre. Da una parte si ha quindi l'esperienza associativa, fondamentale per la formazione dell'identità individuale e campo privilegiato di preparazione al mondo adulto, dall'altra c'è il volontariato giovanile, che va inserito in un ottica relazionale.

Come sottolinea Ambrosini, questi due punti sono tra di loro intrecciati:

«il volontariato accresce il capitale umano e sociale di chi lo pratica mentre promuove la coesione della comunità locale in cui si inserisce»72.

Il discorso va quindi inserito nel più ampio dibattito sul capitale sociale.

71 Colombo E., Le società multiculturali, Carocci, le bussole, Roma 2002, p. 57. 72

Ambrosini M., Scelte solidali. L'impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, il Mulino, Bologna 2005, p. 188.