2. Linee guida, i modelli europe
2.3 Modello Pluralista
Nel modello pluralista il ruolo dello Stato, così come i suoi obiettivi, sono differenti. In primo luogo non c’è una separazione netta tra sfera pubblica e privata, ma le differenze possono essere mantenute, entro certi limiti, però. I gruppi e gli individui, sia immigrati sia minoranze, possono liberamente organizzarsi per mantenere viva la loro cultura e le proprie identità nel rispetto della legge.
Questa libertà è dovuta, infatti, alla posizione stessa dello Stato, che non mira all’eguaglianza, ma si pone come garante degli accordi tra i diversi gruppi, tra i loro rapporti e le contese che possono nascere in situazioni locali che li vedono contrapposti.
Anche se il singolo è libero di poter mantenere la sua identità singolarmente, sono principalmente i gruppi che si fanno garanti di una specifica cultura e della sua sopravvivenza. Le politiche sociali intraprese dallo Stato sono, infatti, principalmente rivolte ad associazioni e a supportare la creazione di gruppi, dove un rappresentante è chiamato ad interagire con la parte politica a nome di tutti. In questo modo, lo Stato non si troverà come interlocutore privilegiato il singolo cittadino, ma un gruppo di persone, che si sono autodefinite in una precisa categoria. Le politiche sociali sono principalmente di carattere educativo e culturale e possono incorporare una certa attenzione per le origini “etniche” (minoranze interne o immigrati) e la lotta contro le discriminazioni. Il concetto che c’è dunque alla base di questo modello, a differenza del primo che puntava sull’uguaglianza, è il riconoscimento dell’autonomia e delle libertà del singolo. Ogni gruppo, o persone, deve poter scegliere liberamente e autonomamente senza avere da parte dello Stato alcun tipo di pressione. Lo Stato si pone come super partes tra di loro e si fa garante della loro esistenza nel rispetto delle leggi e degli altri. Nel rispetto della democrazia lo stato garantisce ad ogni gruppo il poter manifestare la propria diversità, professare la propria religione, tramandare e mantenere la propria cultura, senza privilegiarne o reprimere uno in particolare. Proprio per questo principio è concessa l’apertura di scuole speciali, dove si insegna una specifica cultura e la lingua di
un determinato paese, si può liberamente manifestare la propria identità in pubblico, sempre a patto che non si violino le leggi della democrazia.
È basilare in questo modello, come per il precedente, la scelta volontaria di ogni singola persona di voler appartenere alla nazione ed esserne membri.
Lo jus soli, anche in questo caso ,assicura la cittadinanza legale ai figli degli immigrati, ovvero chi nasce sul territorio inglese e vuole far parte della nazione come cittadino non ha alcun problema ad ottenere la cittadinanza.
Le critiche principali rivolte a questo modello si basano sul sottolineare l’enfasi che viene posta sulla giustizia del sistema democratico. Le contese tra i vari gruppi nello spazio pubblico, infatti, devono essere tutte risolte sotto quest’ottica di giustizia. Questa concezione può sottendere, però, un’idea di superiorità netta da parte degli autoctoni sugli stranieri, che non potranno mai, per la loro “natura” diventare uguali. Divisi in gruppi, le minoranze e le diverse organizzazioni d’immigrati diventano più riconoscibili e individuabili, e di conseguenza controllabili e gestibili dallo stato.
L’importanza che viene data ai gruppi è stata oggetto di un’altra forte critica rivolta a questo modello. In tal modo, infatti, essi si organizzano nel rispetto delle leggi, ma restano isolati e non interagiscono tra di loro. Non integrandosi tra loro gli scontri sono più frequenti e spesso non sono risolvibili con il dialogo.
Questa situazione si è rivelata per il governo stesso un’arma a doppio taglio. Se da una parte, infatti, il forte pluralismo sociale e conseguentemente l’associazionismo è diventato il mezzo naturale per poter controllare e gestire una situazione complessa, formata da interessi molteplici e apparentemente inconciliabili, dall’altra, la non comunicazione tra questi e il sempre più forte isolazionismo hanno creato una grande difficoltà relazionale e di inserimento delle nuove generazione. Anche in questo caso non ci sono politiche rivolte a questi ragazzi, capaci di gestire la loro integrazione e il loro sentirsi cittadini partecipi. Solo all’interno dei gruppi e della rete etnica, riescono a trovare un loro spazio, dove potersi esprimere. Ciò li spinge a non voler assolutamente guardare verso l’esterno e a chiudersi all’interno della loro rete, perdendo i contatti con quella che è la realtà esterna e pubblica. Chi, invece, non riesce ad integrarsi a pieno nel gruppo di appartenenza non trova altro spazio dove poter andare. Si sentono inglesi, ma non troppo, il loro mondo di essere, non è contemplato da nessuna categoria.
«La gente mi considera uno strano tipo di inglese, come se appartenessi a una nuova razza, dal momento che sono nato dall’incrocio di due vecchie culture. (…) Forse è stato lo strano miscuglio di continenti e sangue, un pezzo qui e uno là, l’avere il senso di appartenenza e il non averlo, a rendermi una persona irrequieta, che tende ad annoiarsi facilmente»27.
Il malessere che, però, questi ragazzi hanno cominciato a dimostrare ed esprimere, ha, ancora una volta, mostrato, in tutta la sua chiarezza, i punti deboli di questo modello. L’annoiarsi, l’essere irrequieti, il non avere fino in fondo il senso di appartenenza li spinge a reagire, a volte, in malo modo, anche se spesso sono loro le vittime di episodi di discriminazione razziale.
Questi eventi, difficili da gestire, dovuti ad un senso di superiorità degli autoctoni e ostentato spesso dalle forze dell’ordine ha portato ad una serie di scontri tra le due parti, coinvolgendo l’opinione pubblica in più di un’occasione.
Non bisogna neanche dimenticare il clamore e la risonanza che il fenomeno dell’isolamento dei gruppi ha avuto nel 2001. Quando le torri gemelle sono crollate sotto gli occhi esterefatti di mezzo mondo, si è intrapresa una lotta spietata al terrorismo che è andata a peggiorare la già delicata situazione degli immigrati. Le numerose ricerche hanno, successivamente, dimostrato che le menti degli attentatori non erano in terre lontane ed irraggiungibili, ma vivevano tranquillamente insieme a noi. Da questa presa di coscienza la parte politica come l’opinione pubblica intera ha cominciato ad interrogarsi sulle falle del modello inglese, che non solo non garantiva nessun tipo di integrazione, ma faceva in modo di far crescere ragazzi che non avevano alcun contatto con il mondo esterno ma rimanevano chiusi nella loro rete etnica.
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