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2. Linee guida, i modelli europe

2.2 Modello Assimilazionista

Questo modello ha alla base due principi fondamentali: la netta separazione della sfera pubblica da quella privata, da una parte, e il principio di uguaglianza, inteso sia come condivisone dei medesimi ideali e tradizioni, sia come parità di diritti e doveri, dall’altra. Come si può capire, da questo secondo punto, si pretende quindi che chiunque entri nel territorio nazionale e voglia integrarsi e divenire cittadino, deve abbandonare le sue credenze a favore di quelle locali e ogni rivendicazione di differenza. Solo così, la persona immigrata potrà cominciare il suo percorso di nuova vita, fino ad arrivare alla completa assimilazione. In questo caso, il suo comportamento in pubblico dovrà rispettare il principio universale, che è alla base dello stato democratico francese, ovvero il concetto che tutti i cittadini hanno comuni diritti e doveri indipendentemente dalle origini etniche, pratiche culturali e confessione religiosa. Queste ristrettezze e pretese di omologazione sono, però, compensate dal potersi esprimere liberamente e secondo le proprie credenze nella sfera privata. Nell’ambito casalingo, infatti, ognuno è libero di poter esprimere tutte le differenze che vuole, parlare una lingua diversa, professare la propria religione, conservare abitudini e tradizioni,sempre che queste, però, non si espandano nella sfera pubblica e non siano a danno di altri cittadini.

Questo tipo di comportamento presuppone, però, come si diceva in precedenza, una netta separazione delle due sfere. La stessa impostazione nazionale si basa su questo principio, l’esempio pratico è la nella netta separazione che sussiste tra Stato e Chiesa.

Si è venuta a creare, di fatto, una situazione ambigua e non sempre facile da chiarire. La divisione netta delle due sfere, non solo, non è di immediata comprensione, ma è il più delle volte difficile da attuare. Basti pensare al campo dell’educazione. Se da una parte, infatti, a scuola, in quanto pubblica, deve si provvede ad una impostazione laica e di uguaglianza, che non badi alle differenze, dall’altra i ragazzi ricevono a casa un’impostazione completamente diversa.

Si è quindi cercato di distinguere i due ambiti in modo da definirne anche i compiti. Nella sfera pubblica rientrerebbero la vita comune, come la legge, la politica e l’economia, l’educazione, per quanto riguarda la selezione delle abilità. La trasmissione di competenze e la riproduzione della cultura civica, ciò che praticamente rientra nella cultura condivisa che è in grado di dare una identificazione e creare una solidarietà.

L’educazione pubblica dovrebbe, quindi, permettere una distribuzione delle possibilità, cioè una messa a disposizione per tutti del know how indispensabile per partecipare alla vita sociale. È in questo ambito che il cittadino diventa uguale al suo compagno, le differenze non ci sono, tutti godono delle stesse possibilità e degli stessi diritti.

Nella sfera privata, invece, rientra la scolarizzazione primaria, ovvero, tutte quelle nozioni base delle competenze sociali. È in questo momento che si apprende ciò che andrà a costituire l’identità individuale, come il gusto, le aspettative, la sensibilità e la visione del mondo. Alla famiglia è riservato il compito educativo, ma contribuiscono a questa formazione anche le associazioni, le reti amicali e le organizzazioni che regolano il benessere personale, che sono in grado di comunicare il senso di appartenenza e la fede religiosa. È in questo ambito che sono, quindi, relegate le differenze. Ognuno qui può mostrare la propria diversità.

Come si vede l’educazione appartiene ad entrambe le sfere e non sempre i due tipi educativi sono in armonia tra loro. Proprio questa è, infatti, una delle prime critiche rivolte a questo modello. La difficoltà di una separazione così netta delle due sfere risulta nella realtà impraticabile. Inoltre, in questa situazione, lo Stato si trova a fare da garante sia dell’eguaglianza nel pubblico che nel diritto alla diversità nel privato. Tuttavia questa situazione pone alcuni problemi. In primo luogo si da per scontato che la democrazia occidentale sia la migliore in assoluto e quindi non è discutibile. In secondo luogo non si tiene conto che alcune culture non contemplano proprio la distinzione tra pubblico e privato, creando in tal modo conflitti e incomprensioni.

Una seconda critica è rivolta al criterio di assimilazione stesso, che più che una libera scelta sembra un’imposizione da parte di un gruppo sugli altri.

Questo criterio presuppone, quindi, che l’immigrato una volta entrato nel paese si prodighi per dimenticare il proprio passato e diventare francese al cento per cento. Su questa base, infatti, vige lo jus soli, come legge per acquisire la cittadinanza. I figli degli immigrati nati in suolo francese sono quindi cittadini francesi a tutti gli effetti. Tuttavia, ancora una volta, i fatti reali dimostrano che la situazione si discosta molto da quella che è la teoria.

Le seconde e le terze generazioni hanno dovuto fare i conti con quella che è la loro realtà, trovando un mondo che predica l’uguaglianza, ma che, di fatto, li vede costantemente protagonisti di discriminazioni, sia sul campo scolastico che lavorativo.

Le difficoltà riscontrare ad accedere nelle università, nel trovare una posizione lavorativa e il dislivello delle condizioni abitative hanno portato alle rivolte a agli scontri delle banlieues. Fatti che testimoniano, in maniera brusca e violenta, un disagio che non è nato da poco.

Al di là delle cronache, molti studi, hanno dimostrato difficili problematiche legate soprattutto al mercato del lavoro delle così dette “seconde generazioni”. Le ricerche svolte mostrano chiaramente come questi ragazzi, benché cittadini a tutti gli effetti sotto l’aspetto legale, continuano ad appartenere alle classi più povere ed hanno una scarsissima possibilità, se non nulla, di potersi elevare di status. Si è riscontrata una mobilità sociale quasi nulla, che ha completamente deluso le aspettative generali.

Si è riscontrato, inoltre, una differenza tra i figli degli immigrati stessi, per cui risulterebbero più discriminati i ragazzi di origine turche o del magreb. Le diseguaglianze sociali tendono più che a scomparire a riprodursi di generazione in generazione. L’educazione scolastica pubblica ha così fallito nel suo intento di far crescere cittadini francesi, indipendentemente dalle origini, ma ha contribuito alla perpetuazione delle discriminazioni.

Alla luce di ciò, un nuovo filone di studi si è dedicato a questo fenomeno nello specifico, per cercare di capire le dinamiche d’integrazione di questi ragazzi, denominati “minoranze invisibili”, perché accomunati da una serie di caratteristiche come il nome, l’accento e il colore della pelle.

Questa situazione non poteva non accendere un serrato dibattito nel mondo politico e scientifico, coinvolgendo l’opinione pubblica, che si è mostrata fortemente interessata al dibattito, nato intorno al problema, e scaldandosi in particolari situazioni come la proibizione di indossare il velo in luoghi pubblici.

Un fenomeno parallelo è la crescente influenza delle correnti radicali dell’islam sui mussulmani francesi, che cominciano a rifiutare il modello della laicitè. Essi non accettano più, infatti, la separazione tra la sfera religiosa e quella politica. Si sono manifestati alcuni episodi in merito, come il rifiuto di alcuni mussulmani di far visitare le loro mogli da ginecologi uomini negli ospedali, la richiesta di un giorno alla settimana, riservato alle sole donne, per l’ingrasso alla piscina pubblica comunale, il rifiuto da parte di alcune donne mussulmane di stringere la mano a colleghi uomini, ed altri episodi simili. Tutto questo non solo ha influenzato pesantemente l’opinione

pubblica, ma ha alimentato ulteriormente l’incomprensione e la presa di una posizione drastica.