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Capitolo IV: L’azione per l’efficienza della pubblica

4.3. Il procedimento

Esaurita la trattazione relativa ai presupposti stabiliti per l’esercizio dell’azione collettiva pubblica, pare doveroso esaminare i profili tipicamente procedurali dei quali si richiede il rispetto. Innanzitutto, il secondo comma dell’art. 1 del d.lgs. n. 198 del 2009 prescrive che del ricorso proposto debba esserne data notizia sul sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione ed anche su quello dell’amministrazione o del concessionario intimati, allo scopo di renderlo noto al pubblico. In tal modo, come precisa il terzo comma dell’art. 1, coloro che si trovano nella medesima situazione oggetto della pretesa possono intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell’udienza. Tale adesione è stata definita dalla dottrina ad adiuvandum, ma si precisa che la stessa presenta caratteri differenti rispetto alla classica figura elaborata dalla disciplina generale del processo amministrativo. In particolare infatti, legittimati ad intervenire sono i cointeressati che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente, ai quali l’ordinamento riconosce i

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Osserva F. Giuffrida, La c.d. class action amministrativa: ricostruzione dell'istituto e

criticità, in www.giustamm.it, 2010, che la legge delega non aveva previsto tale esclusione che acquista così carattere ingiustificato, poiché pare logica l’affermazione secondo la quale le autorità amministrative, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e altresì gli organi costituzionali svolgono attività amministrative che ben possono ledere gli interessi della collettività.

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medesimi poteri e facoltà spettanti a colui che ha instaurato il giudizio per primo28.

Per la presentazione del ricorso, al di là delle disposizioni che disciplinano l’ipotesi di adesione ad un’azione già esperita, l’art. 3, al primo comma dispone l’obbligatorietà della notificazione di una previa diffida da parte del ricorrente all’organo di vertice dell’amministrazione o del concessionario coinvolti29

. Tale condizione di ammissibilità, impone al tempo stesso che soltanto al decorso inutile del termine di novanta giorni dalla notificazione, ma non oltre un anno, possa essere instaurato il giudizio a pena della sua inammissibilità. Oggetto della diffida sarà, sulla base dei parametri di valutazione dell’attività amministrativa, la precisazione della violazione dei doveri di azione, delle carte dei servizi o degli standard qualitativi ed economici commessa. Il ricorrente oltre a dover indicare la propria appartenenza ad una determinata classe di utenti e consumatori, è tenuto sulla base dell’interesse leso, a richiedere anche l’eliminazione della disfunzione o del disservizio30

.

Tuttavia, la già ricordata finalità dell’istituto ha fatto sì che in sostituzione alla diffida, il legislatore prevedesse la possibilità per il ricorrente di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia, così come indicato dell’art. 30 della legge n. 69 del 2009 che ha introdotto una serie di disposizioni in materia di processo civile. L’utente dei servizi pubblici può infatti, sulla base della previsione inserita obbligatoriamente all’interno delle carte dei servizi, avvalersi di strumenti di tutela non giurisdizionale mediante una

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Secondo A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2010, tale intervento infatti ha carattere autonomo, poiché oggetto del giudizio è la pretesa del ricorrente a correggere l’attività amministrativa e non l’impugnazione di un provvedimento.

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P. M. Zerman, Partenza in salita per la class action, in www.giustizia-amministrativa.it, 2009, rileva un’analogia tra l’ipotesi di inadempienza della p.a. dovuta alla propria inerzia e la fattispecie qui analizzata poiché entrambe richiedono al ricorrente la notificazione di una diffida ai legittimati passivi affinché questi pongano in essere le condotte utili alla soddisfazione degli interessi lesi.

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Cfr. V. Gastaldo, La Class action amministrativa: uno strumento attualmente poco efficace, in www.federalismi.it, 2016.

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richiesta che si pone come una condizione di ammissibilità del ricorso alternativa alla diffida. Con riferimento alla portata dell’art. 30 però, si osserva che questo risulta essere limitato soltanto alle ipotesi di “soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità”, lasciando così sprovviste di tutela le attività derivanti dall’utilizzo di un potere autoritativo nell’interesse degli utenti in senso più generale31.

In entrambi i casi, qualora i diffidati ritengano responsabili anche altre amministrazioni o concessionari, dovranno invitare il privato a notificare loro tale diffida, al fine di bloccare le inefficienze poste in essere fino a quel momento.

Per quanto riguarda la competenza del giudice amministrativo, questa si caratterizza per il suo carattere esclusivo, a differenza dell’azione disciplinata dall’art. 140 bis del codice del consumo di cui si occupa il giudice ordinario, potendo egli rilevare le questioni di sua competenza anche d’ufficio, come precisa il comma 7 dell’art. 1 del decreto. Infine, all’esito del giudizio, nei casi in cui l’organo giurisdizionale accerti le inefficienze lamentate dal ricorrente, che nel ricorso ha anche l’onere di indicare gli atti generali dei quali richiede l’emanazione, la sentenza pronunciata avrà effetti ultra partes, ovvero si applicherà anche agli utenti rimasti estranei al giudicato. Il giudice infatti, nel caso di accoglimento dell’istanza, ordina, all’esito dell’iter processuale, agli inadempienti di porre rimedio alle proprie inefficienze entro un congruo termine, ma ciò che viene richiesto alle amministrazioni e ai concessionari coinvolti non è di risarcire i danni determinati dalle proprie violazioni, bensì di “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”32

.

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Così G. Fidone, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull’atto

a quello sull’attività, Giappichelli, Torino, 2012.

32

In tal senso, Cons. Stato, sez. cons., parere 9 giugno 2009, n. 1943, riconduce gli effetti della sentenza emessa a seguito dell’esercizio di un’azione collettiva per l’efficienza, ad un’ipotesi di tutela in forma specifica, poiché i diffidati vengono condannati ad un facere preciso.

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Si osserva in questo senso che risulta precluso dal sesto comma dell’art. 1 la domanda risarcitoria ed altresì la precisazione dei provvedimenti da adottare al fine di porre rimedio alle accertate inefficienze, poiché il giudice deve limitarsi ad una condanna degli inadempienti, ai quali l’ordinamento riserva la valutazione dei rimedi più opportuni. Parte della dottrina, riscontrando i margini di un’azione di condanna ritiene che, anche se non espressamente previsto, nella sentenza di cognizione possa essere nominato un commissario ad acta, incaricato di ottemperare alle disposizioni ivi contenute nel caso di mancata conformazione alla stessa da parte dei destinatari33.

Si prevede inoltre, che tale sentenza laddove emessa nei confronti delle amministrazioni pubbliche debba essere comunicata alle autorità di regolazione, alla Commissione di cui all'art. 13 del d. lgs. n. 150 del 2009, alla procura regionale della Corte dei Conti, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ed agli organi titolari del potere di agire in sede disciplinare, affinché venga individuato il responsabile del disservizio; qualora invece, il destinatario sia un concessionario di pubblici servizi, la stessa dovrà essere comunicata all'amministrazione vigilante per le valutazioni di competenza, al fine della verifica dell'esatto adempimento degli obblighi previsti dalla concessione e dalla convenzione regolatoria, potendo nei casi più gravi anche procedere alla revoca della concessione o alla risoluzione del contratto.

In merito agli obblighi comportamentali ai quali i destinatari della sentenza di condanna sono tenuti, il d. lgs. n. 198 del 2009 pone un ulteriore limite significativo per il giudice; quest’ultimo infatti, deve fondare il proprio giudizio su una previa valutazione delle risorse umane, economiche e finanziarie concretamente disponibili presso le

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Al riguardo, A. Carbone, L'azione di adempimento nel processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, evidenzia che pur in assenza di una previsione esplicita di una sua possibile nomina, la presenza del commissario ad acta si pone in linea con il contenuto dell’art. 34 c.p.a. lettera e).

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parti intimate34. La ragione di tale esimente è stata giustificata sulla base della necessità di evitare che la condanna del giudice comporti eccessivi oneri per la finanza pubblica, ma la giurisprudenza, ai fini della valorizzazione dell’istituto ha posto in essere un’opera di bilanciamento delle esigenze e delle difficoltà delle Amministrazioni con gli interessi degli utenti e dei consumatori, finendo così per escludere l’applicazione di detta clausola nei casi di violazione dei termini di conclusione del procedimento o di omissione di atti amministrativi generali obbligatori da adottarsi entro i termini fissati dal legislatore35.

4.4. Considerazioni conclusive

Alla luce dell’analisi dei tratti fondamentali del nuovo istituto volto ad accertare i margini di inefficienza delle pubbliche amministrazioni sulla base di standard prestabiliti, pare doveroso ricordare che questo si differenzia nettamente dall’azione avverso il silenzio regolata dagli artt. 31 e 117 c.p.a., poiché le due domande hanno per oggetto due pretese distinte. Attraverso il ricorso disciplinato dal codice del processo amministrativo, il giudice ha il potere di statuire sulla situazione lamentata dal ricorrente, al contrario dell’azione per l’efficienza della pubblica amministrazione e dei concessionari di servizi pubblici, la quale permette all’organo giurisdizionale soltanto di dare indicazioni agli inadempienti affinché pongano in essere i rimedi idonei ad eliminare le inefficienze o i disservizi oggetto della

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In particolare M. L. Maddalena, La class action pubblica, Rassegna monotematica di

giurisprudenza, in www.giustizia-amministrativa.it, 2013, qualifica tale clausola di salvaguardia come una via attraverso la quale l’amministrazione ben può evitare di essere condannata relativamente ai propri disservizi o disfunzioni.

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Si veda in particolare, T.A.R. Lazio, sez. I, 1 ottobre 2012, n. 8231, il quale, in merito alla mancata emanazione degli atti amministrativi necessari all’instaurazione di una banca dati dei minori adottabili e delle coppie aspiranti all’adozione, ha sostenuto come in realtà la valutazione della esigibilità di un determinato comportamento sia già stata posta in essere dal legislatore al momento della sua qualificazione come obbligatorio.

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pretesa dei ricorrenti36. Per queste ragioni, i due strumenti, pur essendo entrambi contraddistinti dalla presenza di una condotta inefficiente degli amministratori, si pongono come alternativi per il singolo nei casi di mancato rispetto dei termini prestabiliti per l’adozione di un atto amministrativo generale e non normativo, riservando la scelta a mere dinamiche processuali37. Di fatto, pur esistendo tale aspetto di sovrapponibilità tra le due azioni, il ricorrente, nell’esercizio dell’una o dell’altra, persegue bisogni diversi perché il rito avverso il silenzio assicura una tutela diretta ed effettiva condannando l’amministrazione inadempiente ad agire, mentre la seconda azione consente una tutela della posizione giuridica dei singoli soltanto di riflesso, ovvero attraverso il miglioramento delle attività e dei servizi dei soggetti a ciò preposti.

Il rischio che permane per il ricorrente nei casi di inefficienza o di malfunzionamento, ad eccezione dell’ipotesi di violazione di termini di durata prestabiliti, è che la mancanza di risorse economiche, ma anche umane, impedisca il raggiungimento degli standard prefissati dal legislatore e di conseguenza il soddisfacimento dei privati che indubbiamente vengono sottoposti sì ad oneri inferiori vista la natura collettiva del mezzo giurisdizionale in questione, ma che potrebbero anche non trovare una soluzione ai pregiudizi subiti38.

36

In questo senso, Cons. Stato, sez. cons. atti gen., 9 giugno 2009, n. 1943, afferma che l’azione qui esaminata interviene sul processo di produzione del servizio per “indurre il

soggetto erogatore dell’utilità a comportamenti virtuosi nel suo ciclo di produzione, onde evitare di scaricare il costo dell’inefficienza sugli utenti”, dunque deve essere considerata

come uno strumento volto a sollecitare le amministrazioni inadempienti a “ripristinare il

corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio”.

37

T.A.R. Lazio, sez. II quater, 6 settembre 2013, n. 8154, sostiene infatti che le locuzioni “violazione, omissione e mancato adempimento” contenute nella disciplina regolatrice dell’azione per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, descrivono un loro comportamento scorretto assimilabile al concetto di violazione dei termini prefissati per la conclusione dei procedimenti amministrativi.

38

Cfr. S. Baiona, Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di

servizi pubblici, Aracne editore, Roma, 2013. Viene ricordato inoltre, che l’istituto ha dato

vita anche ad ulteriori problematiche relative al mancato adempimento della sentenza del giudice amministrativo, poiché soltanto le pubbliche amministrazioni sono soggette al giudizio di ottemperanza a differenza dei concessionari di servizi pubblici per i quali tale strumento non trova applicazione, lasciando, di fatto, la normativa un vuoto di tutela nei casi di mancata conformazione all’ordine giurisdizionale impartito.

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Lo scopo dell’azione la differenzia, dunque, dal già analizzato rito avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione; ciò nonostante, l’esigenza di migliorare il livello di efficienza delle performance degli organi pubblici o di coloro che forniscono servizi di pubblico interesse, non implica necessariamente che la stessa possa esercitare in concreto effetti rilevanti. Parte della dottrina infatti, ha dubitato della sua utilità pur riconoscendone al contempo le potenzialità di controllo dell’attività amministrativa, quasi totalmente limitata ad una funzione meramente di stimolo per gli inadempienti a conformarsi a quanto stabilito dal giudice39. Per il singolo dunque, tale strumento non può essere considerato come un mezzo di tutela effettivo, poiché il giudizio così instaurato ed avente ad oggetto l’attività amministrativa e al suo risultato, lascia agli amministrati soltanto la capacità di valutare direttamente l’operato pubblico. Tuttavia, anche configurando tale istituto come una forma di azione di adempimento, in linea con l’evoluzione illustrata per quanto riguarda la natura dell’azione avverso il silenzio, in concreto vi è un limite di non poco conto: le risorse economiche, umane e finanziarie a disposizione. In altri termini, ad eccezione delle ipotesi che riconducono tale strumento ad una tipica fattispecie di inerzia ingiustificata, nonostante la condanna giurisdizionale dell’amministrazione, tale statuizione non risulta assistita da disposizioni normative in grado di assicurarne l’effettività sul piano garantistico, poiché gli inadempienti difficilmente potranno migliorare l’efficienza e l’efficacia del proprio operato senza alcun aumento della spesa pubblica40. L’individuazione dei parametri della valutazione ai fini dell’affermazione di una attività per così dire scorretta e allo

39

In linea con questo orientamento, U. G. Zingales, La class action pubblica e i suoi limiti

nelle ipotesi di disfunzioni organizzative, in Giornale dir. amm., 2010. L’autore, oltre a

dubitare dell’utilità concreta dell’azione, sostiene anche che da un punto di vista costituzionale non sia uno strumento necessario poiché la Costituzione nulla dispone in materia.

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stesso tempo dei soggetti responsabili, ne ha sì circoscritto il campo di applicazione per non correre il rischio di un uso improprio di questo strumento, ma ha finito per limitare eccessivamente la portata dell’azione che risulta oggi rilevante principalmente per la propria funzione deterrente41.

41

Sul punto V. Gastaldo, La Class action amministrativa: uno strumento attualmente poco

efficace, in www.federalismi.it, 2016, sostiene che l’azione ha deluso le aspettative del legislatore, rivelandosi di fatto incapace di contrastare i disservizi pubblici e la cattiva amministrazione.

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Capitolo V

La responsabilità dell’Amministrazione per ritardo e

inefficienza

SOMMARIO: 5.1. Introduzione allo studio dei profili della responsabilità dell’Amministrazione; 5.2. La tutela risarcitoria per danno da ritardo; 5.2.1. L’indennizzo per il ritardo amministrativo; 5.2.2. Il profilo risarcitorio nell’azione per l’efficienza pubblica; 5.3. Uno sguardo alle forme di tutela indiretta del ricorrente; 5.3.1. La tutela penalistica; 5.3.2. La responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del funzionario inadempiente e del dirigente.

5.1. Introduzione allo studio dei profili della responsabilità

dell’Amministrazione

Giunto sin qui, il lettore si chiederà certamente quali siano i profili di responsabilità che interessano la pubblica amministrazione nei casi di irregolare gestione delle risorse pubbliche. In particolare, l’analisi che verrà effettuata in queste ultime pagine ha l’obiettivo di fornire una ricostruzione delle conseguenze che l’ordinamento riserva alle pubbliche amministrazioni inadempienti o inefficienti, relativamente alle ipotesi di inerzia ingiustificata, per poter in sintesi cercare di valutare se gli strumenti di tutela precedentemente esaminati, siano in grado di offrire al ricorrente una tutela effettiva della propria posizione giuridica lesa.

La disciplina del rito avverso il silenzio e dell’azione per l’efficienza delle amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici infatti, nel riservare ai privati la possibilità di agire contro tali soggetti inefficienti

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in senso lato, implica necessariamente il riconoscimento di una loro responsabilità. Al riguardo, le figure sanzionatorie che emergono al verificarsi di un’ipotesi di inerzia ingiustificata dell’Amministrazione, qualificabile nei termini di una condotta inadempiente indice del malfunzionamento e dei disservizi pubblici, sono essenzialmente tre. La prima vede la parte pubblica responsabile per il cosiddetto danno da ritardo, la seconda invece si caratterizza per la sua rilevanza in ambito penalistico, mentre ai fini di sollecitare i funzionari amministrativi ad esercitare in modo efficiente le proprie funzioni, la legge n. 241 del 1990 ha previsto che le fattispecie di silenzio ingiustificato sono oggetto di valutazione non soltanto per determinare la performance individuale, ma altresì eventuali sanzioni disciplinari e amministrativo-contabili. Per quanto riguarda la fattispecie lesiva del silenzio ingiustificato dell’Amministrazione, sono già stati esaminati i due rimedi tipici del caso, ovvero la presentazione al giudice di un ricorso per ottenere l’ordine all’inadempiente di esercitare le proprie funzioni pubbliche ed anche il rimedio endoprocedimentale della sostituzione interna che permette, mediante l’individuazione del soggetto incaricato, di porre fine a tale situazione patologica dovendo egli adottare l’atto omesso o ritardato dall’Amministrazione alla quale appartiene1. Il rimedio specificamente previsto nelle ipotesi di esercizio dell’azione per l’efficienza pubblica postula invece l’ordine del giudice a che la parte intimata ponga in essere le attività idonee ad eliminare il pregiudizio subito dalla collettività, poiché l’aspetto risarcitorio non viene contemplato, o meglio si applicano le regole ordinarie per poter ottenere un ristoro economico per i danni ingiusti provocati ai singoli. Pertanto, l’attenzione sarà qui posta sugli aspetti non trattati altrove al fine di poter circoscrivere le diverse tipologie di responsabilità che si riconoscono in capo agli organi pubblici.

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