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Uno sguardo alle forme di tutela indirette del

Capitolo IV: L’azione per l’efficienza della pubblica

5.3. Uno sguardo alle forme di tutela indirette del

Le figure di responsabilità amministrativa sin qui illustrate, si limitano a colpire i poteri pubblici solo su un piano economico, poiché il fine principale è quello di fornire un ristoro a coloro che in base alle fattispecie di inefficienza ricordate, hanno subito un danno ai propri interessi. All’interno degli strumenti di tutela indiretta del privato infatti, si collocano una serie di forme di responsabilità delle quali l’Amministrazione e i suoi singoli componenti sono imputabili nei casi di elusione dei termini procedimentali.

Con riferimento all’art. 28 della Costituzione, la previsione di una forma di responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici secondo le leggi penali, civili e amministrative per gli atti posti in essere in violazione dei diritti ed ormai anche degli interessi legittimi, ha permesso non soltanto la possibilità per l’Amministrazione della quale gli stessi fanno parte, di rivalersi sull’autore della condotta illegittima una volta risarciti i danni al ricorrente, ma altresì l’introduzione di forme di responsabilità individuale di natura penale ed amministrativo-contabile. Circoscrivendo la ricostruzione alle

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Sul tema, F. Manganaro, L’azione di classe in un’amministrazione che cambia, in www.giust-amm.it, 2010.

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caratteristiche delle sanzioni che trovano spazio in relazione alle sole ipotesi di inefficienza precedentemente richiamate, l’analisi ha l’obiettivo di illustrare il percorso normativo di responsabilizzazione dei pubblici poteri e al tempo stesso si propone di indagare se attraverso tali mezzi il cittadino interessato possa dirsi effettivamente tutelato dall’ordinamento.

5.3.1. La responsabilità penalistica

Con riferimento all’ambito penalistico, è possibile riconoscere una responsabilità personale degli amministratori venuti meno alle proprie funzioni. Il codice penale punisce infatti all’art. 328 due condotte, ovvero il rifiuto di atti urgenti e l’omissione non motivata di atti richiesti, considerando come rilevanti soltanto i provvedimenti di natura esterna e non meramente organizzativa23.

A tali soggetti, l’ordinamento ha difatti destinato sanzioni di natura penalistica nei casi di loro inerzia ingiustificata, lasciando alla competenza del Tribunale la valutazione delle loro condotte. Il rifiuto che si sostanzia nella mancata volontaria reazione all’ordine di un organo superiore, comporta una serie di sanzioni di natura detentiva da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni, pecuniaria fino a mille euro ed anche disciplinare, poiché in base alla gravità del fatto il soggetto agente può essere condannato persino all’interdizione completa dai pubblici uffici24. La dottrina poi, sottolinea che tale

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In questo senso, Cass. pen., sez. VI, 30 novembre 1998, n. 2351, affermando che tale norma mira a tutelare l’interesse del privato il quale ha richiesto con atto scritto al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio di adempiere ad un atto del proprio ufficio, conferma la necessità di un contatto tra gli amministratori e gli amministrati ai fini dell’integrazione dell’ipotesi di reato.

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Si veda, Cass. pen., sez. IV, 26 settembre 2006, n. 38698, che al fine di circoscrivere il significato della locuzione “atto d’ufficio” ha finito per affermare che debbano considerarsi tali tutti i comportamenti effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico di pubblico ufficiale, dovendosi dunque considerare strettamente collegati a tale funzione non soltanto i provvedimenti di amministrazione attiva, bensì anche tutti quelli la cui adozione risulta urgente per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, sanità o igiene.

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fattispecie si distingue da quella prevista al secondo comma, poiché non possono considerarsi attività che il funzionario pubblico è tenuto ad esercitare, quelle che richiedono una sua valutazione discrezionale25.

L’omissione invece, secondo l’art. 328 c.p. si configura nei termini di un reato a fronte di una mancata risposta del funzionario pubblico, trascorsi trenta giorni dalla richiesta scritta, sotto forma di diffida formale, da parte del soggetto interessato ad un suo provvedimento26. Nei casi di mancata risposta, il soggetto incaricato di agire è perciò punibile con la reclusione fino ad un anno e ad una multa fino a milletrentadue euro, oltre ad essere destinatario di eventuali conseguenze disciplinari27.

Tale forma di responsabilità dunque, benché sia rilevante da un punto di vista generale mediante il riconoscimento di una rilevanza anche penalistica alle condotte silenti dell’Amministrazione, a lungo sottovalutate per la loro portata lesiva dal legislatore, tuttavia non assicura una tutela diretta al privato pregiudicato nei propri interessi. In altre parole, la disciplina penalistica mira soltanto a punire colui che ha agito in violazione delle funzioni che le norme gli hanno riservato, guardando così alla posizione del privato soltanto indirettamente, ovvero quasi come ad un elemento di partenza per la valutazione delle attività poste in essere dalle autorità pubbliche.

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Così, (a cura di) F. S. Fortuna, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2010, sottolinea che la finalità del primo comma dell’art. 328 c.p. è soltanto quella di tutelare il buon andamento dell’amministrazione, tanto è vero che si richiede al pubblico ufficiale soltanto ciò che rientra nelle funzioni del proprio incarico.

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In particolare, Cass. pen., sez. VI, 10 settembre 2015, n. 36674, sottolinea come ai fini dell’affermazione della presenza del dolo, l’agente dovrà essere stato consapevole non soltanto di omettere, ritardare o rifiutare un atto d’ufficio, bensì che così facendo ha agito indebitamente, ovvero in violazione dei doveri che le norme di legge gli impongono. 27

Cass. pen., sez. VI, 13 novembre 2013, n. 45629, afferma che la fattispecie di reato omissiva disciplinata dall’art. 328 c.p. viene integrata soltanto nel caso della scadenza dei trenta giorni dalla richiesta del privato.

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5.3.2. La responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del funzionario inadempiente e del dirigente

Avvertita la potenzialità lesiva della condotta silente dell’Amministrazione, il legislatore con la legge n. 69 del 2009 ha inserito nell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 l’inciso concernente l’ulteriore tipologia di responsabilità in cui possono incorrere i funzionari e i dirigenti pubblici28. In particolare, le eventuali ipotesi di mancata o ritardata adozione dei provvedimenti, nei termini prestabiliti dall’ordinamento, costituiscono elementi di valutazione della performance individuale e della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del soggetto agente29. La misurazione dei risultati raggiunti dal singolo dipendente pubblico permette, o meglio si propone, di migliorare in primis l’efficienza delle attività poste in essere individualmente ed altresì l’andamento complessivo delle strutture organizzative statali30.

La responsabilità disciplinare, nel Testo Unico sul pubblico impiego (d. lgs. n. 165 del 2001) ha avuto una delimitazione precisa impedendo alla pubblica amministrazione di esercitare con discrezionalità il potere di individuare le condotte sanzionabili, tanto è vero che oggi sono gli stessi contratti collettivi a delimitare le tipologie di infrazioni e le conseguenti sanzioni delle quali il soggetto

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Tuttavia, osserva P. Santoro, Il danno da ritardo diventa danno erariale, in www.giustamm.it, 2012, che nonostante il legislatore inserisca all’interno della stessa disposizione la responsabilità dirigenziale ed altresì quella amministrativo-contabile, queste si distinguono nettamente sulla base dei propri effetti. La prima infatti, sanziona le condotte contrarie a determinati doveri di servizio, mentre la seconda quelle aventi per oggetto danni concreti arrecati all’Amministrazione pubblica in senso lato.

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Osserva A. Colavecchio, La nuova disciplina dei termini procedimentali tra innovazioni

evolutive e occasioni mancate, in www.giustamm.it, 2010, che l’elusione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi influenza sia il calcolo della retribuzione del dirigente, sia i margini di sua responsabilità disciplinare, potendo essergli precluso il rinnovo dell’incarico dirigenziale o addirittura essere disposto lo scioglimento del rapporto del rapporto di lavoro, così come prevede l’art. 21 del T.U. sul pubblico impiego.

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Al riguardo, (a cura di ) G. Urbani, Valutare le pubbliche amministrazioni: tra

organizzazione e individuo, Franco Angeli, Milano, 2010, osserva che la riforma Brunetta si

propone così di ridurre di circa il 20% nell’arco temporale di cinque anni le inefficienze del settore pubblico, permettendo così un risparmio della spesa pubblica pari a quasi quaranta milioni di euro, facendo convergere gli uffici meno efficienti verso i migliori.

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inadempiente è destinatario31. Il lavoratore pubblico che viene meno agli obblighi assunti contrattualmente sulla base della legge o del codice del comportamento, può essere destinatario di sanzioni conservative come il richiamo, la multa o la sospensione dal servizio o di sanzioni espulsive, ovvero il licenziamento.

Senza addentrarci negli aspetti tipici di tale forma di responsabilità, in linea con gli obiettivi dello studio, è possibile affermare che queste conseguenze negative previste per gli inadempienti, hanno la funzione di sollecitare l’uso razionale delle risorse pubbliche, compreso il bene tempo che ricopre ormai un valore giuridico. L’attenzione ad una sua portata maggiormente conforme al bisogno di assicurare un esercizio efficiente delle attività amministrative è stata posta dalla riforma Brunetta che con la legge n. 15 del 2009 si è occupata di modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti pubblici32. Al riguardo inoltre, questa è ulteriormente intervenuta anche nell’ambito dei rapporti tra il giudizio disciplinare e il procedimento penale sancendone la continuazione del primo nonostante la pendenza del secondo nei casi di infrazioni di minor gravità, mentre per le altre maggiormente complesse e gravi la sospensione è rimasta ammissibile.

La responsabilità amministrativo-contabile invece, si manifesta tutte le volte in cui l’Erario subisce un danno patrimoniale indiretto o diretto. Il primo si verifica, ad esempio, nel caso in cui l’Amministrazione sia stata condannata al risarcimento del danno provocato dall’illecita condotta del proprio dipendente, mentre si considerano danni di natura diretta tutte quelle fattispecie in grado di causare una diminuzione

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Sul tema, (a cura di) F. G. Scoca e A. F. Di Sciascio, Le linee evolutive della responsabilità

amministrativa e del suo processo, Editoriale scientifica, Napoli, 2014.

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In questo senso, C. Romeo, La controriforma del pubblico impiego, in Lav. giur., 2009, ricorda che l’obiettivo di tale riforma è stato quello di promuovere l’utilizzo dell’istituto dell’azione disciplinare in modo più frequente e non soltanto per illeciti macroscopici di natura penale, cercando in modo tale di sollecitare una maggior efficienza dell’attività degli organi pubblici.

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patrimoniale o un mancato guadagno per le casse pubbliche33. In relazione al danno provocato, i singoli soggetti saranno responsabili nei confronti dell’Amministrazione appartenente soltanto per i fatti o le omissioni commesse con dolo o colpa grave, evitando così il rischio di essere chiamati a rispondere di attività realizzate perseguendo l’interesse pubblico34

. Con riferimento infatti alla quantificazione del danno erariale, sono oggetto di valutazione non solo le perdite effettive subite dall’Amministrazione nel suo complesso, ma altresì gli eventuali danni di immagine arrecati alla stessa; peraltro, sulla base di una sorta di compensatio lucri cum damno, dovranno essere comunque tenuti in considerazione anche i vantaggi conseguiti dall’Amministrazione procedente o da altra Amministrazione, al fine di fissare in modo equo il valore dei danni causati alle casse pubbliche35. Competente a valutare la sussistenza di tali profili di responsabilità è la Corte dei Conti chiamata dall’art. 103 della Costituzione a controllare il corretto utilizzo delle risorse patrimoniali collettive ed altresì dei beni dello Stato nel rispetto del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione. Pertanto, la giurisprudenza progressivamente ha riconosciuto ulteriori profili ai danni patrimoniali e non patrimoniali causati dalla cattiva amministrazione; si ricorda infatti, che oltre al cosiddetto danno obliquo ovvero provocato nei confronti delle altre amministrazioni da dipendenti di altri enti pubblici, è emersa la risarcibilità anche dei pregiudizi arrecati alla loro immagine. In altre parole, la lesione alla reputazione degli uffici, causata dagli stessi dipendenti, è stata

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In base a tali distinzioni, M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2013, sostiene che la responsabilità amministrativa ha difatti carattere “ibrido”, poiché al suo interno la finalità risarcitoria convive con quella sanzionatoria.

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Tale particolarità osserva S. Battini, Responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari e

dipendenti pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, conferma l’interpretazione che qualifica

tale forma di responsabilità in termini speciali poiché anche se la finalità della stessa è risarcitoria, tuttavia per molti profili la natura sanzionatoria e dissuasiva prevale. In altre parole, il giudizio viene instaurato d’ufficio dalla Corte dei Conti, la quale assume come presupposto della condanna del dipendente la gravità della propria condotta, guardando alle conseguenze negative arrecate all’Amministrazione soltanto in secondo piano.

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riconosciuta dalla giurisprudenza ai fini della quantificazione del danno complessivo arrecato dal funzionario all’Erario36. Tuttavia, i poteri riduttivi esercitati dalla Corte dei Conti in questi casi, sono un chiaro indice della funzione deterrente di tale forma di responsabilità amministrativa per i funzionari e i dirigenti amministrativi i quali vengono condannati dalla stessa soltanto a seguito di un ponderato contemperamento tra le esigenze di tutela dell’Erario e dei soggetti agenti37.

Volgendo brevemente lo sguardo alla natura della responsabilità delle istituzioni comunitarie in presenza di comportamenti omissivi, secondo il diritto europeo, a differenza di quello nazionale, risulta sufficiente ai fini della sua qualificazione l’esistenza di un comportamento contrario alle norme, di un danno grave e manifesto ed infine di un nesso di causalità. Si denota dunque, che l’elemento soggettivo di colpevolezza non sia previsto all’interno dei presupposti necessari al sorgere della responsabilità delle istituzioni comunitarie, essendo sufficiente la presenza di un danno risarcibile effettivo, certo ed attuale che il singolo dovrà dimostrare di aver cercato di limitare con l’ordinaria diligenza38

. La normativa comunitaria riserva infatti un ruolo preminente alla certezza e all’affidamento in una tempestiva risposta delle autorità amministrative quali corollari del diritto ad una

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In questo senso, Corte dei Conti, sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10, sostiene che il danno all’immagine dell’Amministrazione ha natura esistenziale, in quanto incide sui diritti che la Costituzione garantisce agli enti pubblici, ma si distingue dal danno patrimoniale poiché non ha in sé un aspetto morale o meglio un’eventuale sofferenza richiesta dall’art. 2059 c.c. e non si ripercuote sul patrimonio materiale della stessa causandone un diretta diminuzione. 37

In particolare, F. Di Mascio, Il primo anno di attuazione delle politiche di prevenzione della

corruzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2014, sostiene come il danno all’immagine si giustifica

all’interno dei provvedimenti anticorruzione che a partire dal 2012 hanno cercato di lottare contro i casi di inefficienza e di corruzione amministrativa mediante strumenti di natura preventiva quali deterrenti alla commissione di illeciti.

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Sul tema, AA. VV., Codice dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2008. Le omissioni delle istituzioni comunitarie infatti, possono far sorgere la responsabilità dell’Unione laddove sia stato violato un obbligo di agire stabilito da una disposizione comunitaria, ma il singolo dovrà dimostrare di aver agito con diligenza per limitare l’entità del danno, cioè di aver rispettato l’orientamento della Corte di Giustizia che ha riconosciuto a tale condotta valore di principio generale dell’ordinamento comunitario.

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buona amministrazione sancito dall’art. 41 della Carta di Nizza39

. Tuttavia, non si può affermare il totale disinteresse della normativa comunitaria per l’elemento psicologico del dolo e della colpa del soggetto agente, tanto è vero che privilegiando il carattere oggettivo della violazione, indirettamente riemerge in parte il profilo soggettivo al fine di determinarne la maggiore o minore gravità40. Per queste ragioni dunque, come sostenuto anche dalla vasta giurisprudenza comunitaria, il diritto europeo riconosce al bene tempo una propria autonoma tutela. Basti ricordare che nei casi di provvedimenti risultanti da procedimenti amministrativi eccessivamente lunghi, nonostante la loro legittimità è possibile ottenere un risarcimento degli eventuali danni che tale ritardo ha provocato41.

In sintesi, al pari di quella penalistica, le due forme di responsabilità qui ricordate, inserendosi nella sfera degli strumenti di tutela soltanto indiretta della posizione giuridica del privato leso dall’inerzia ingiustificata dell’Amministrazione alla quale egli si è rivolto, non offrono direttamente al soggetto leso ulteriori benefici rispetto a quelli tipici della condanna giurisdizionale a provvedere, del risarcimento del danno e dell’eventuale indennizzo.

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Al riguardo, D. Santoro, L’inerzia illegittima della Pubblica Amministrazione con

conseguente danno da ritardo- Dottrina e Giurisprudenza, eBook, 2014, sostiene che a livello

comunitario il bene tempo viene ad essere considerato un bene alla vita autonomamente tutelato, tanto è vero che ai fini del riconoscimento della responsabilità delle istituzioni comunitarie inadempienti è sufficiente fornire la prova dei pregiudizi che tali condotte hanno provocato nella sfera giuridica dei privati.

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Così suggerisce F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffè, Milano, 2011. 41

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Conclusioni

Risultano doverose alcune considerazioni conclusive.

Il lettore infatti, dopo aver attraversato i vari passaggi dello studio qui condotto, avrà certamente preso atto delle difficoltà pratiche nelle quali incorre il cittadino tutte le volte in cui decide di richiedere una tutela per i pregiudizi subiti a seguito del silenzio ingiustificato dell’Amministrazione alla quale si è rivolto per ottenere il soddisfacimento di una propria pretesa.

L’obiettivo della ricostruzione infatti, è stato quello di porre in luce gli strumenti di tutela riservati dall’ordinamento al cittadino leso dall’inefficienza amministrativa della quale la fattispecie dell’inerzia è un chiaro esempio, tanto alla luce del codice del processo amministrativo, quanto del d. lgs. n. 198 del 2009. Al riguardo, è possibile adesso prestare attenzione all’effettiva utilità dei singoli mezzi che l’ordinamento ha messo a disposizione del cittadino pregiudicato da tale situazione di incertezza giuridica.

In particolare, per quanto riguarda le forme di tutela diretta dell’istante, l’esercizio dell’azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione, così come regolata dall’art. 31 c.p.a., nonostante permetta di giungere alla condanna dell’inadempiente a provvedere entro termini brevi, implica pur sempre un dispendio di denaro e di tempo per il ricorrente, trattandosi di un rimedio giurisdizionale. Peraltro, anche i limiti posti ai poteri cognitori del giudice del silenzio ed altresì del commissario ad acta, impediscono l’affermazione di una piena effettività dello strumento anche se, tra quelli esaminati, esso risulta quello maggiormente idoneo a garantire l’utilità finale. Il meccanismo della sostituzione interna infatti, si pone paradossalmente come uno strumento rischioso da attivare poiché spesso il soggetto incaricato si dimostra altresì inadempiente, causando un ulteriore pregiudizio al cittadino. Al pari, l’azione per l’efficienza della

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pubblica amministrazione non si è rivelata in concreto un valido strumento di garanzia della posizione giuridica dei cittadini soprattutto per l’assenza della previsione di un profilo risarcitorio al quale è possibile attingere soltanto mediante i rimedi ordinari che richiedono così l’instaurazione di un ulteriore giudizio. Con riferimento infatti alla sfera dei mezzi di tutela indiretta o per equivalente, il cittadino può trovare un ristoro economico per i danni subiti, presentando un ricorso ai sensi dell’art. 30 c.p.a. il quale disciplina l’azione da esercitare anche qualora non sia stata richiesta la condanna a provvedere. Le altre forme di responsabilità nelle quali incorre l’Amministrazione inadempiente, ricordate nel quinto capitolo, non aggiungono ulteriori profili di garanzia per il privato dalle violazioni poste in essere dalle autorità pubbliche, ma assumono soltanto una funzione di mero deterrente per la commissione di ulteriori illeciti. Per tali ragioni, nonostante gli sforzi del legislatore di semplificare ed abbreviare i tempi entro i quali garantire al privato una effettiva tutela ai propri interessi coinvolti nell’infruttuoso rapporto con la pubblica amministrazione, i passi verso una maggiore protezione della sfera giuridica della parte privata e un minor privilegio degli organi pubblici sono ancora tanti, nonostante l’ormai consolidato riconoscimento della portata lesiva dell’attività omissiva e del ritardo dell’Amministrazione.

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Bibliografia

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