Capitolo IV: L’azione per l’efficienza della pubblica
5.2. La tutela risarcitoria per danno da ritardo
Alla luce del percorso svolto ed in linea con le esigenze di effettività relativamente agli strumenti in grado di proteggere la situazione giuridica soggettiva del cittadino dalle possibili lesioni del ritardo dell’Amministrazione, verrà qui ricostruita la disciplina dell’azione risarcitoria. La legge n. 205 del 2000 si era limitata a prevedere che i Tribunali amministrativi regionali potessero conoscere nell’ambito della propria giurisdizione di tutte le questioni concernenti il risarcimento del danno. In assenza di una disposizione che delineasse l’esistenza di un rito risarcitorio, all’interprete veniva riservato l’arduo compito di colmare tali lacune anche se la giurisprudenza, grazie al riconoscimento della Corte di Cassazione della risarcibilità degli interessi legittimi, si è mostrata incline ad applicare tale forma di tutela pur in assenza di una puntuale disciplina normativa2.
Attualmente invece, l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto provocato dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, quanto dal suo omesso esercizio, viene disciplinata dall’art. 30 c.p.a. il quale contiene una serie di disposizioni riconducibili ai casi di silenzio-inadempimento dell’Amministrazione. In particolare, si precisa che prima ancora dell’introduzione del codice del processo amministrativo, è stata la legge sul procedimento, in seguito alla riforma posta in essere dalla legge n. 69 del 2009, a prevedere all’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 la responsabilità dell’Amministrazione per le ipotesi di ritardo od omessa conclusione dei procedimenti nei termini prestabiliti. La P.A. viene così condannata a risarcire il danno ingiusto che tale condotta colposa o dolosa avesse provocato nella sfera giuridica del singolo rimasto in una condizione di incertezza giuridica causata dall’attesa
2
97
dell’adozione degli atti cui l’Amministrazione era tenuta3
. Il suo recepimento all’interno dell’attuale disciplina generale del processo amministrativo, ha fatto sì che le garanzie di effettività di tale forma di tutela fossero rafforzate, ma allo stesso tempo ha comportato che le originarie perplessità su tale strumento, relativamente alla propria applicazione nelle ipotesi di silenzio amministrativo ingiustificato, permanessero4. Tuttavia, chiarito già nelle pagine precedenti il dibattito sulla conformazione della fattispecie del silenzio- inadempimento, l’analisi che verrà qui condotta ha come obiettivo soltanto quello di illustrare i profili della tutela risarcitoria e i conseguenti obblighi dei quali è destinataria l’Amministrazione rimasta ingiustificatamente silente, per offrire un quadro completo dei mezzi di tutela dallo stesso esercitabili al verificarsi di tale comportamento.
L’art. 30 c.p.a. prevede innanzitutto che la presentazione della domanda risarcitoria possa avvenire contestualmente all’esercizio di un’altra azione ed altresì in via autonoma entro centoventi giorni che decorrono, nei casi di inosservanza dolosa o colposa dei termini previsti per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, dopo un anno dalla loro scadenza5. In particolare, attraverso la codificazione del rito risarcitorio, è stato posto fine al
3
R. Giovagnoli, La responsabilità extra e pre-contrattuale della P.A., Giuffré, Milano, 2009, ricorda come un consolidato orientamento giurisprudenziale avesse già dai primi anni 2000 qualificato la responsabilità amministrativa da “contatto qualificato” sostenendo come oltre all’interesse legittimo al bene della vita, il singolo fosse titolare anche di “un’aspettativa
qualificata” relativamente al rispetto da parte dell’Amministrazione dei criteri di correttezza
stabiliti dall’ordinamento. Per queste ragioni, ben si può riconoscere al privato un risarcimento per gli effetti pregiudizievoli causati dalla mera inattività amministrativa, ma si vedrà in seguito che soltanto il codice del processo amministrativo ne consacrerà il recepimento normativo.
4
In questo senso, M. Marasca, Danno da ritardo: perplessità sulla giurisdizione dopo la l.
69-09. Un tentativo di interpretazione conforme a Costituzione, in www.dirittoeprocesso.com, osserva che l’introduzione della giurisdizione esclusiva relativamente alle controversie in materia di danno da ritardo, confermano le interpretazioni che considerano il silenzio- inadempimento un’ipotesi di esercizio del potere amministrativo.
5
Sul punto, F. G. Scoca, Giustizia amministrativa. Giappichelli, Torino, 2014, ricorda che è possibile l’esercizio della domanda risarcitoria in via autonoma per la lesione di interessi legittimi, ma anche contestualmente o a seguito del ricorso per l’annullamento di un atto amministrativo lesivo.
98
lungo contrasto tra la dottrina e la giurisprudenza in merito alla questione della cosiddetta pregiudizialità amministrativa, secondo la quale fosse sempre necessaria la previa presentazione dell’istanza di annullamento del provvedimento illegittimo ai fini dell’ottenimento del risarcimento dei danni da questi provocati al singolo. Tale aspetto dunque, ha decretato il riconoscimento di una equiparazione e di un’autonomia dell’azione risarcitoria alle altre già esistenti in conformità all’orientamento prevalente della Corte di Cassazione6
. Per quanto riguarda invece il rito avverso il silenzio della pubblica amministrazione, il superamento della pregiudizialità amministrativa ha fatto sì che oggetto del risarcimento venisse configurato non soltanto il danno che il ritardo avesse creato al singolo, quanto piuttosto la mancata definizione tempestiva del procedimento7. In altre parole, l’interesse oggetto del risarcimento del danno è la tempestività dell’operato amministrativo, qualificato ormai dalla dottrina in termini di bene autonomo. Ai fini dell’individuazione delle precise ipotesi che rendono responsabile l’Amministrazione, anche la dottrina ha sentito il bisogno di indagare sulla portata dell’azione risarcitoria. Originariamente, in assenza di una specifica normativa, il danno che veniva ad essere risarcito era il cosiddetto danno da “impedimento”, ovvero quello subito dal privato destinatario di un provvedimento positivo in ritardo, poiché pregiudicato nel godimento dell’utilità finale riconosciutagli soltanto in ritardo dall’Amministrazione 8
.
6
Al riguardo si veda, Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 2010, n. 23595 e 11 gennaio 2011, n. 405. Si precisa che è possibile che il giudice amministrativo pervenga ad una pronuncia di rifiuto della domanda risarcitoria non per la mancata impugnazione del provvedimento lesivo, bensì per l’assenza degli elementi necessari per l’accoglimento dell’istanza.
7
In particolare, M. Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Giappichelli, Torino, 1995, sostiene che è necessario un ristoro economico avente per oggetto gli effetti dannosi della situazione di incertezza nella quale si trova il privato relativamente al rilascio o meno del provvedimento richiesto.
8
Sul punto, M. Clarich e G. Fonderico, La risarcibilità del danno da mero ritardo dell’azione
amministrativa, in Urb. e app, 2006, fasc. 1, 61, nel commentare Cons. Stato, Ad. Plen., 15
settembre 2005, n. 7 con la quale è stata negata la risarcibilità del danno da mero ritardo, hanno coniato la ricordata locuzione per distinguere tale pregiudizio dovuto al mancato godimento temporaneo del bene, dal cosiddetto danno derivante dall’attesa causata dal mancato rispetto del termine per l’adozione del provvedimento.
99
Pertanto, il risarcimento riservato a tali fattispecie era strettamente collegato alla fondatezza della pretesa del privato.
Sussistono invece, altri casi nei quali il singolo ben può risultare pregiudicato dalla mancata osservanza dei termini di conclusione del procedimento anche se successivamente diventa destinatario di un provvedimento negativo9. Per queste ragioni, legare la risarcibilità dei danni subiti alla previa valutazione della meritevolezza della domanda del ricorrente, significherebbe riconoscere il risarcimento soltanto al danno derivante dal ritardo nel conseguimento dell’oggetto dell’istanza. In caso opposto, questo sorgerebbe tutte le volte in cui si ravvisi una violazione dolosa o colposa dei termini previsti per l’adozione del provvedimento conclusivo di un procedimento, poiché l’interesse così tutelato coinciderebbe con la tempestività dell’attività amministrativa. Con la legge del 2009, i dubbi in merito alla portata della tutela risarcitoria sono stati definitivamente risolti attraverso il solo riferimento alla violazione dolosa o colposa del termine come condizione necessaria per l’esercizio dell’azione in questione 10
. Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che la mera violazione dei termini per provvedere non attribuisce automaticamente una responsabilità risarcitoria in capo all’Amministrazione inadempiente per colpa, ma devono essere provati tutti gli elementi costitutivi, ovvero il danno, la condotta e il profilo soggettivo tipici della responsabilità extracontrattuale secondo l’art. 2043 c.c..11.
Tuttavia, relativamente all’istituto della pregiudiziale amministrativa, se da una parte tale condizione di ammissibilità è stata eliminata, in
9
Inizialmente infatti, la nota Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7, aveva negato l’applicazione della tutela risarcitoria qualora il provvedimento tardivo non avesse accolto la pretesa del ricorrente, limitandone dunque la portata soltanto ai casi di mancata o ritardata adozione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato in grado di soddisfare un bene della vita. 10
Secondo R. Fusco, Brevi note sul risarcimento del “danno da ritardo” alla luce del nuovo
codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it, 2010, l’intento del legislatore del 2009 nel fornire un mezzo di tutela ai privati, mediante il quale ottenere un ristoro adeguato rispetto alle violazioni dei termini di conclusione del procedimento, si pone in linea con l’obiettivo della riforma di garantire l’efficienza all’interno dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
11
100
realtà però indirettamente continua ad esistere, poiché è pacifico che la previa presentazione dell’istanza di cui agli artt. 31 c.p.a. e 117 c.p.a. risulta utile al fine di contenere il sacrificio subito dal privato12. La sentenza con la quale il giudice ordina all’Amministrazione di provvedere, produce effetti anche per la quantificazione del quantum di risarcimento, poiché tanto più tardivo sarà il provvedimento omesso, maggiori saranno i pregiudizi subiti dal singolo. Peraltro, la riforma ha permesso di qualificare come oggetto di tale forma di responsabilità il mero ritardo, ossia soltanto il mancato rispetto dei termini fissati per l’adozione del provvedimento amministrativo all’esito dell’iter procedimentale, ponendo così fine alla diatriba dottrinale in merito alla necessità o meno della valutazione di fondatezza della pretesa del privato13.
Detta forma di responsabilità aquiliana, presuppone dunque un onere della prova in capo al singolo richiedente, mentre il giudice è tenuto a valutare, secondo l’art. 30 c.p.a., tutte le circostanze di fatto e il comportamento delle parti, al fine della determinazione del quantum di risarcimento dal quale si escludono tutti i danni evitabili con l’ordinaria diligenza. In particolare, gli strumenti a disposizione del ricorrente per limitare un aggravamento del danno sono, a rigor di logica, l’instaurazione del rito avvero il silenzio inadempimento dell’Amministrazione e il meccanismo di sostituzione interna al procedimento. Per queste ragioni, il loro esercizio assume un valore di condizione preliminare al fine della quantificazione del danno subito.
12
Nella stessa direzione, E. Sticchi Damiani, Danno da ritardo e pregiudiziale
amministrativa, in www.ilsole24ore.it, 2009, ravvede nell’ordinamento l’esistenza di un principio generale, secondo il quale sussiste una necessaria pregiudizialità tutte le volte in cui l’ordinamento ha previsto un giudizio volto alla definizione di tale questione pregiudiziale. 13
In particolare, F. Patroni Griffi, La responsabilità dell’amministrazione: danno da ritardo e
class action, in www.federalismi.it, 2009, distingue infatti tra il cosiddetto danno da ritardo avente per oggetto “la mancata spettanza del bene alla vita” ed il danno da mero ritardo, il quale invece fa riferimento ai pregiudizi che il singolo subisce per la sola posizione di incertezza nella quale si trova nell’attesa della definizione del procedimento. Soltanto la prima forma di danno presuppone per l’instaurazione di una forma di responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione inadempiente, l’accertamento della fondatezza della pretesa del ricorrente.
101
Tuttavia, per evitare che il privato venga sottoposto ad un onere eccessivamente gravoso, il principio dell’onere della prova trova in questi casi un’attenuazione coincidente con la presunzione di colpa tutte le volte in cui non vi sussista un errore scusabile, la cui dimostrazione deve essere fornita dall’Amministrazione inerte14
. In altre parole, l’organo pubblico è tenuto, sulla base del principio dell’inversione dell’onere della prova, a fornire gli elementi probatori necessari a sostegno del fatto che il mancato rispetto dei termini procedurali non integra un suo comportamento illegittimo15.
Dal punto di vista strettamente processuale invece, l’art. 117 c.p.a. prevede che qualora contestualmente all’azione avverso il silenzio venga presentata anche la domanda di risarcimento, il giudice può trattare con rito camerale la prima, mentre dovrà fissare l’udienza pubblica per la seconda causa che sarà soggetta a rito ordinario.
5.2.1. L’indennizzo per il ritardo amministrativo
Illustrati i caratteri principali della tutela risarcitoria, si ricorda invece che il comma 1 bis dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, prevede oggi in seguito alla riforma posta in essere dalla legge n. 98 del 2013, il diritto per l’istante di ottenere altresì un indennizzo per il mero ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo alla quale la parte pubblica era tenuta. Ad esclusione delle ipotesi di silenzio
14
In questo senso, M. L. Maddalena, Il danno da ritardo: profili sostanziali e processuali, in AA. VV., L’azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2016, sottolineano che spetta all’Amministrazione fornire la prova che la condotta del funzionario agente non possa considerarsi a lei imputabile, poiché la stessa ha adottato “adeguati modelli di organizzazione
degli uffici e di gestione del procedimento amministrativo”. Il danneggiato invece, dovrà a
sua volta dimostrare il danno subito e la sua entità allegando idonei mezzi di prova. 15
Così P. Quinto, Il Codice del processo amministrativo ed il danno da ritardo: la certezza
del tempo e l’incertezza del legislatore, in www.giustizia-amministrativa.it, 2009, sostiene che se il danno ingiusto viene ad essere qualificato alla presenza della violazione dei termini stabiliti per l’adozione del provvedimento amministrativo, allora pare logico riservare al soggetto che è venuto meno al rispetto delle disposizioni normative l’obbligo di dimostrare il contrario, lasciando invece al privato soltanto l’onere di provare l’ingiustizia del danno subito a causa di tale silenzio ingiustificato.
102
qualificato, dei concorsi pubblici e dei procedimenti avviati d’ufficio infatti, l’interessato può presentare tale ricorso finalizzato al miglioramento dell’efficacia dell’attività amministrativa mediante strumenti volti a garantirne la tempestività.
Con riferimento alle modalità mediante le quali l’interessato può ottenere tale indennizzo, è possibile affermare che il legislatore ha connesso l’istituto alle già esaminate forme di tutela previste per il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento. In particolare, la somma a titolo di indennizzo viene ad essere riconosciuta al privato soltanto qualora egli abbia azionato entro venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, il meccanismo della sostituzione interna di cui all’art. 2, comma 9 bis della legge n. 241 del 1990. Difatti, la giurisprudenza ha precisato che laddove il sostituto incaricato dell’adozione dell’atto omesso sia inadempiente a sua volta, ovvero non liquidi al privato neanche l’indennizzo al quale ha diritto, allora il richiedente potrà intraprendere la via giurisdizionale, proponendo un ricorso ai sensi dell’art. 117 c.p.a.16
. Per queste ragioni, se ne intuisce da subito la diversità rispetto alla classica forma di responsabilità civile, poiché costituisce una modalità di ristoro di un danno non conseguente ad un illecito. La sua finalità è il ripristino di una situazione di equità, tanto è vero che la normativa non richiede per l’applicazione dell’istituto alcun requisito soggettivo o la prova del carattere ingiusto del danno provocato dal ritardo alla parte privata17. Inizialmente, la legge del 2013 lo aveva circoscritto in via sperimentale solo ai procedimenti
16
Si veda T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 maggio 2016, n. 428, che nel riconoscere all’istante il diritto all’indennizzo ha precisato che non vi sia una necessità di provare l’esistenza degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ovvero la condotta dolosa o colposa, il danno e il nesso di causalità, essendo sufficiente il mancato rispetto dei termini previsti per la conclusione del procedimento amministrativo e la richiesta all’organo sostitutivo interno per l’emanazione dell’atto.
17
Così, M. L. Maddalena, Il danno da ritardo: profili sostanziali e processuali, in AA. VV.,
L’azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2016, osserva che l’assenza del profilo di
colpevolezza dell’amministrazione come condizione di ammissibilità per l’applicazione dell’istituto, ne permette l’uso anche nelle ipotesi di ritardo scusabile o dovuto a forza maggiore.
103
relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività d’impresa, fissando nella cifra di 30 euro per giorno il quantum da versare al privato fino alla conclusione del procedimento, nel rispetto comunque del limite massimo di 2000 euro18. Detta finalità punitiva infatti, si riscontra anche nell’indennizzo previsto nell’ambito dell’esecuzione del giudicato, qualora questa venga omessa, ritardata o vi sia stata una violazione del contenuto in assenza di ragioni ostative. Tuttavia, alla base dell’istituto, la dottrina ha rilevato una totale autonomia della somma da pagare rispetto ai danni causati dalla mancata tempestività del provvedimento richiesto, avendo il legislatore soltanto previsto che laddove il privato presenti una domanda di risarcimento dei danni subiti, il quantum percepito a titolo di indennizzo debba essere detratto dalla somma risarcitoria.
In conclusione, alla luce delle caratteristiche dell’istituto qui esaminato, la dottrina ne ravvisa nel complesso una disciplina per così dire farraginosa e altresì composita, che non assicura una corretta distribuzione delle risorse pubbliche19.
Il riconoscimento dunque, del tempo come autonomo bene leso al quale fornire un ristoro pare ancora lontano, tanto alla luce della disciplina risarcitoria che indennitaria, nelle quali prevale il chiaro intento sanzionatorio degli amministratori a discapito della garanzia degli interessi dei privati20.
18
Per questa ragione la dottrina vi ravvisa una funzione maggiormente coercitiva e punitiva dell’Amministrazione inadempiente.
19
In tal senso, L. Olivieri, Semplificazioni amministrative, in AA. VV., Decreto del fare, Maggioli editore, Rimini, 2013, non ravvede un’utilità dell’istituto neanche per l’interessato al procedimento amministrativo. L’A. sostiene che il legislatore in realtà non ha introdotto uno strumento in grado di tutelare i privati lesi dall’inerzia amministrativa a causa dei limitati casi ai quali se ne fa applicazione.
20
Al riguardo, R. Criscuolo, Il superamento del termine per provvedere: risarcimento ed
indennizzo, in www.neldiritto.it, ritiene maggiormente idoneo a tutelare il richiedente lo strumento risarcitorio, in quanto collegato all’ingiustificata tardiva attribuzione del bene alla vita oggetto della domanda.
104
5.2.2. Il profilo risarcitorio nell’azione per l’efficienza pubblica
Nel capitolo dedicato all’innovativa azione volta a ripristinare l’efficienza della pubblica amministrazione e dei gestori di servizi pubblici disciplinata dal d. lgs. n. 198 del 2009, è stato rilevato come da un punto di vista formale tale strumento si ponga perfettamente in linea con il progetto della riforma Brunetta, contraddistinta dalla volontà di migliorare i livelli di performance individuale e collettiva nel settore del pubblico impiego sulla base di un generale bisogno di garantire una maggior efficienza dell’azione amministrativa. Senza ripercorrere nuovamente le peculiarità dello strumento ricordato, il maggior difetto della normativa secondo la dottrina, ma anche da un punto di vista pratico a causa dei limitati casi esaminati dalla giurisprudenza, è sicuramente quello di aver rinviato ai rimedi ordinari gli aspetti risarcitori. Tale lacuna infatti, ha disincentivato l’utilizzo dell’azione, poiché ha lasciato al ricorrente l’onere di attivare un’ulteriore giudizio per poter ottenere un ristoro economico nei casi in cui l’inefficienza amministrativa ha leso la sua posizione giuridica. In particolare, è possibile fare ricorso in tali casi all’art. 30 c.p.a. contenente la disciplina risarcitoria generale azionabile per l’ottenimento di un ristoro in forma specifica qualora possibile, o per equivalente negli altri casi21. Con riferimento ai limiti finanziari previsti dal d. lgs. n. 198 del 2009 relativamente alle successive attività necessarie al ripristino dell’efficienza dell’Amministrazione inadempiente e di coloro che forniscono servizi alla collettività, la
21
G. Fidone, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull’atto a
quello sull’attività, Giappichelli, Torino, 2012, sottolinea che nel primo giudizio il
malfunzionamento si pone come il vizio che l’inadempiente deve eliminare per ripristinare il corretto svolgimento delle funzioni amministrative e la regolare erogazione del servizio in questione agli utenti. Nel secondo invece, risulta essere la causa del danno subito dal ricorrente.
105
dottrina ne ha sottolineato l’inapplicabilità, poiché la determinazione del risarcimento viene effettuata in un giudizio separato22.
Relativamente alla natura della responsabilità dell’Amministrazione malfunzionante, il silenzio del legislatore ha fatto sì che venisse qualificata anche in questi casi in termini di responsabilità