CAPITOLO III: DALLA DISPERSIONE AL PROGETTO DI VITA
3. Il Progetto di vita: una pratica di eccellenza
Le buone pratiche didattiche non sono un modello ideale, perfetto, assolutamentecorretto, e da applicare direttamente nel proprio contesto. Una buona prassiè qualcosa che altri insegnanti hanno sperimentato, che ha funzionato, perché aveva delle buone caratteristiche, ed era certamente commisurata alle esigenze dei suoi destinatari.Un successo formativo va documentato e diviene memoria nel tempo, costituendo un modello, una proposta, un’opportunità di lavoro. Essa costituisce, però, una forte base operativa su cui può maturare lanecessità di valutare l’incidenza di alcune componenti della prassi, attraversospecifici disegni sperimentali.
“È possibile leggere in trasparenza le buone prassi cercando di cogliere alcune costanti significative, alcune caratteristiche operative, che siano positive, alcuni
«principi attivi» che funzionano, al di là delle ovvie differenze di situazioni, e che siano replicabili in altri contesti” (Ianes, Cramerotti, Capaldo, e Rondanini, 2016).
Sono rintracciabili alcuni elementipositivi ed efficaci:
1. Una forte collaborazione tra gli insegnanti. Alla base delle buone prassi c’è, comunque, una notevole collegialità, una condivisioneforte delle scelte: insegnanti curricolari e di sostegno, senza distinzione se nondi funzioni.
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2. Un’idea «forte», unificante, che caratterizza la prassi. Dalla collaborazione si elabora unprogetto con una sua identità marcata, distinta, inequivocabile. Si può trattaredi attività teatrali o di esplorazione del territorio, delle tradizioni, delle memoriestoriche, o di conoscenza di culture altre: in ogni caso, c’è uno sfondo che raccoglie,dà senso, fornisce identità e finalizzazione alle attività, anche in sinergiacon altri progetti: di educazione alla salute, all’intercultura, sul bullismo, etc.
3. Un’apertura all’esterno ed un utilizzo delle risorse del territorio. Queste prassinon si chiudono mai all’interno della scuola, né si appiattiscono in una serie diazioni tecnico-riabilitative solo nel contesto del Piano Educativo Individualizzatodall’alunno disabile.
Le prassi si fondano certo sul Piano Educativo Individualizzatoper il singolo alunno disabile, ma non si esauriscono in esso: il PEI diventala base sulla quale costruire un progetto di vita più ampio, che sia in grado dicogliere anche le occasioni fornite dall’ambiente circostante, dal quartiere, dallerealtà culturali e ricreative, produttive, etc.
Ci sono alunni che escono dascuola, esplorano, costruiscono il loro mondo in modo esteso, utilizzano tuttoquello che l’ambiente offre, anche nellearee territoriali più in difficoltà.
4. Gli alunni sono i soggetti attivi della costruzione della loro conoscenza.
Nellebuone prassi non si incontrano alunni passivi, che aspettano di essere riempitidi conoscenza dai loro onniscienti insegnanti. Si trovano alunni che costruisconole loro competenze ed elaborano attivamente, in senso costruttivistico, e consapevolmente, in senso metacognitivo, la loro conoscenza(Ianes, Cramerotti, Capaldo, e Rondanini, 2016).
Gli alunni nella costruzione del loro Progetto di vita, sono guidati e non lasciati a loro stessi, ma questa guida autorevole è funzionaleal loro percorso di acquisizione di competenze, valorizzando le loro storie ed iloro precedenti «saperi spontanei», fornendo loro strumenti per crescere.
5. Si rompono le barriere tra ordini di scuola e tra classi. Questo aspetto va oltre la dimensione della continuità didattica che ha inteso non interrompere il processo unitario dell’apprendimento. Le attività, infatti, superano le tradizionali distinzioni di classe,
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sezione, scuola primaria, secondariadi primo grado, etc., integrando alunni di età diverse, livelli diversi, facendolicollaborare ad un fine condiviso e strutturato.
I progetti diventano così promozione di competenze in progress per ogni alunno coinvolto, che vede favorito il suo potenziale di possibilità conoscitiva e di creatività.
6. Le relazioni inclusive e solidali tra compagni di scuola con le loro varie diversità, sono la trama indispensabile per tessere l’integrazione.
In ogni Progetto di vita c’è questa forte consapevolezza, che si traduce poi in varie soluzioni operative:occorre creare e mantenere una forte trama di relazioni solidali tra compagni diclasse, scuole e gruppi, sulla quale si potranno sviluppareiniziative di integrazione nel piccolo gruppo, o di tutoring in coppie di alunni.
La prima risorsa per l’integrazione sono i compagni, con le loro prerogative e diversità; non è facile, pertanto, né per gli insegnanti, né per gli alunni, tessere trame di relazioni inclusive. È unpassaggio imprescindibile, al di là della presenza di un alunno disabile, per ilbenessere scolastico e per l’empowerment del gruppo, che acquista forza, fiducianelle proprie risorse relazionali e conoscenza delle varie differenze individuali,che vengono esplorate, valorizzate, utilizzate nella reciprocità eterogenea deigruppi cooperativi.
Lo sviluppo dell’alunno è sistemico, e si muove in due direzioni: la prima riguarda la crescita in termini di autostima, immaginedi sé, autoconsapevolezza, autoregolazione e sviluppo emozionale. Questa èuna prospettiva ormai abbastanza acquisita dalla parte più sensibile della scuola,che si prende cura, prima di tutto, delle dimensioni fondamentali del benesserepsicologico, e su questo (ed anche attraverso questo), aiuta a costruire competenzedi vario genere.
La seconda direzione riguarda la crescita nella conoscenza deideficit e delle disabilità che qualche alunno presenta, nella consapevolezza delleorigini delle difficoltà, e del poter inventare e fare qualcosa di concreto per ridurreil deficit e combattere la disabilità.
In alcune prassi, gli insegnanti escono alloscoperto e parlano apertamente delle difficoltà di qualcuno, attivano processidi brainstorming su come fare per aiutarlo, non
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in senso pietistico o assistenzialistico, ma in senso tecnico, pedagogicamente e psicologicamente corretto.
In questo modo, tutti gli alunni crescono in termini di benessere personale.
La riscoperta della persona come unità valoriale, ha rappresentato il nucleo vitale attorno al quale le diverse istituzioni, preposte alla formazione delle nuove generazioni, si sono ristrutturate e riorganizzate per rispondere, nel modo più funzionale possibile, alla specificità delle situazioni di bisogno, con l'offerta di adeguati servizi (Curatola, 2005).
Il coinvolgimento totale della scuola, è stato immediato, anche perché le sollecitazioni che provenivano dalla ricerca pedagogica, hanno trovato riscontro nella progressione delle iniziative legislative che la riguardavano.
La scuola si è orientata verso un’azione didattica basata sul criterio della
“intenzionalità” e della pratica commisurata ai bisogni formativi, attraverso una programmazione eduna verifica costante delle procedure, dei risultati educativi, delle ipotesi di intervento.
La centralità del docente diventasempre più indiscutibile. La figura professionale che ne viene disegnata corrisponde a quella di mediatoredelle varie condizioni di educazione (la realtà dell’allievo, gli spazi, i tempi, le procedure, gli strumenti), con la prospettiva del loro sviluppo, secondo criteri ed obiettivi rapportati sempre ai valori della persona, ed ai principi che la fondano, e che la rendono presente ed operativa nel sociale.
La padronanza delle abilità e delle competenze per la professionalità docente, è una esigenza inderogabile; la sua utilità dipende dalla concreta applicazione in termini didattici.
Una scuola inclusiva necessita sicuramente di risorse umane, e di strumenti di lavoro, ma anche di una formazione più adeguata, che richiede al personale un opportuno investimento nella specializzazione, e nella certificazione di competenze.
La formazione, in tutto questo, trova la sua espressione più congeniale e propositiva, potendosi così realizzare come prospettiva di vita professionale, personale e culturale.
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