• Non ci sono risultati.

Il rapporto fra i testi nella critica moderna

I. La critica moderna

8. Il rapporto fra i testi nella critica moderna

Poiché ogni confronto fra testi presuppone una concezione teorica (che può essere più o meno sviluppata o compiuta) alla base del confronto stesso, parallelamente alla storia che abbiamo appena delineato, ne esiste un‟altra importante per il nostro lavoro, quella delle idee che sono state formulate sul rapporto fra le opere (letterarie).

Sebbene questa storia inizi nell‟antichità con varie osservazioni sull‟imitatio274, è alla critica novecentesca (e soprattutto a quella del secondo Novecento) che intendiamo rivolgere in primo

263 E. g. Aesch. Eum. 292; Lycophr. Alex. 648.

264 Λζαοζηζηυξ non si trova in altri luoghi delle Argonautiche. In IV 1753 si trova Λζαοζηίξ (nel discorso di Giasone sulla gloria dei discendenti di Eufemo).

265 Nel carme 60 Catullo si lamenta della mens dura ac taetra del suo interlocutore (o più probabilmente interlocutrice, forse Lesbia), chiedendosi se questi (o questa) sia stato generato (o stata generata) da Scilla o da una leonessa libica. Il verso delle Argonautiche menzionato da Avallone si trova invece all‟inizio dell‟episodio libico.

266 È lo scritto che citiamo come Foster 2008.

267 Cfr. Foster 2008, 156-161. La tesi è assai discutibile. Si veda X 4. 268 Cfr. Ellis 1889, ad 63,31. Si veda anche X 4.

269

Cfr. Morisi 1999, ad 63,39. Si veda anche X 4. 270 Cfr. Morisi 1999, ad 64,59. Si veda anche X 4.

271 Ecco qualche esempio: Syndikus mette in relazione 61,52-53 con I 287-288 (cfr. Syndikus 1990, 24 n. 129); Agnesini, commentando 62,1-2, ricorda I 774-776 e IV 1629 (cfr. Agnesini 2007, 173-174, ad 62,2); Wilamowitz accosta all‟immagine di 65,19-24 le similitudini di I 270 sgg., III 656 sgg. IV 31 sgg. e 167 sgg. (cfr. Wilamowitz 1924, 304); ancora Syndikus riconosce la somiglianza di 68,41-46 con I 20- 23 e IV 1381 sgg. (cfr. Syndikus 1990, 262-263); Sarkissian accosta il cambiamento di referente della similitudine di 68,57-62 alle similitudini di II 70-78 e III 967-972 (cfr. Sarkissian 1983, 15 e 49 n. 37). 272

Cfr. Landolfi 1996, 255-260. 273 Cfr. Massaro 2010, 9-39.

274 L‟antichità naturalmente non è monolitica, ma la concezione che l‟arte in generale, e quindi anche la poesia, sia imitazione è largamente diffusa (cfr. e. g. le famose osservazioni in Aristot. Poet. 1447a 13-18, dove però non si parla di imitazione di altre opere: ἐπμπμζία δὴ ηαὶ ἟ η῅ξ ηναβῳδίαξ πμίδζζξ ἔηζ δὲ

[39]

luogo la nostra attenzione, senza tuttavia pretendere di poter dare un quadro completo. Intendiamo in effetti soffermarci in particolare su quei libri, saggi e articoli che più hanno influenzato il nostro lavoro, hanno fornito qualche spunto, o hanno comunque rappresentato un termine di confronto. È del resto inevitabile che chi scrive all‟inizio del XXI secolo subisca l‟influsso degli sviluppi della cultura novecentesca. Fra i tratti più significativi di questa cultura si possono riconoscere da un lato la reazione alla Quellenforschung di stampo positivista e dall‟altro l‟intensa elaborazione teorica e il conio di un termine di immenso successo (“intertestualità”)275

.

ηςιῳδία ηαὶ ἟ δζεοναιαμπμζδηζηὴ ηαὶ η῅ξ α὎θδηζη῅ξ ἟ πθείζηδ ηαὶ ηζεανζζηζη῅ξ πᾶζαζ ηοβπάκμοζζκ μὖζαζ ιζιήζεζξ ηὸ ζφκμθμκ· δζαθένμοζζ δὲ ἀθθήθςκ ηνζζίκ, ἠ βὰν ηῶ ἐκ ἑηένμζξ ιζιεῖζεαζ ἠ ηῶ ἕηενα ἠ ηῶ ἑηένςξ ηαὶ ιὴ ηὸκ α὎ηὸκ ηνυπμκ). Un‟esame delle concezioni antiche sull‟imitatio meriterebbe una trattazione specifica, che però esula dai fini della nostra ricerca. Ci limitiamo quindi a dare qualche esempio. Fra le testimonianze collocabili fra l‟età ellenistica e il I secolo d. C., cioè quelle più vicine nel tempo a Catullo, si trovano diverse osservazioni che rivelano una concezione che ritiene l‟imitazione di altre opere assolutamente normale nella composizione dei testi e che valuta però questa imitazione in termini positivi solo qualora non venga fatta in maniera pedissequa, ma con un apporto „originale‟ (aemulatio). Nell‟epigramma 27 Pfeiffer (= AP IX 507 = 1297-1300 Gow / Page) Callimaco fa una presentazione elogiativa dei Fenomeni di Arato in questi termini: ἧζζυδμο ηυ η‟ ἄεζζια ηαὶ ὁ ηνυπμξ· μ὎ ηὸκ ἀμζδ῵κ / ἔζπαημκ, ἀθθ‟ ὀηκές ιὴ ηὸ ιεθζπνυηαημκ / η῵κ ἐπέςκ ὁ ΢μθεὺξ ἀπειάλαημ· παίνεηε θεπηαί / ῥήζζεξ, Ἀνήημο ζφιαμθμκ ἀβνοπκίδξ. Lucrezio si presenta fedele seguace di Epicuro nel contenuto filosofico (III 3-6: te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc / ficta pedum pono pressis uestigia signis, / non ita certandi cupidus quam propter amorem / quod te imitari aveo), e nello stesso tempo orgoglioso della propria originalità (I 924-927: ... et simul incussit suauem mi in pectus amorem / musarum, quo nunc instinctus mente uigenti / auia Pieridum peragro loca nullius ante / trita solo). Cicerone, negli Academica, esprime un giudizio sulle Satire menippee di Varrone, al quale si può dare valenza più generale. Il giudizio viene messo in bocca allo stesso Varrone (I 2 (8)): et tamen in illis ueteribus nostris, quae Menippum imitati non interpretati quadam hilaritate conspersimus, multa admixta ex intima philosophia, multa dicta dialectice. Nel proemio al De finibus bonorum et malorum, l‟imitazione riguarda invece le dottrine filosofiche (I 2 (6)): si nos non interpretum fungimur munere, sed tuemur ea quae dicta sunt ab iis quos probamus eisque nostrum iudicium et nostrum scribendi ordinem adiungimus, quid habent cur Graeca anteponant iis quae et splendide dicta sint neque sint conuersa de Graecis? Orazio, in Epist. I 19,19-20, non critica l‟imitazione in sé, ma solo la cattiva imitazione della propria opera: o imitatores, seruum pecus, ut mihi saepe / bilem, saepe iocum uestri mouere tumultus! Nell‟Ars poetica invita invece l‟aspirante poeta a non copiare pedissequamente la tradizione (vv. 131-134): publica materies priuati iuris erit, si / non circa uilem patulumque moraberis orbem, / nec uerbo uerbum curabis reddere fidus / interpres, nec desilies imitator in artum. Seneca Retore, sulla ripresa di Virgilio da parte di Ovidio, fa la seguente osservazione (Suas. 3,7): ... itaque fecisse illum quod in multis aliis uersibus Vergilii fecerat, non subripiendi causa, sed palam mutuandi, hoc animo ut uellet agnosci. L‟anonimo autore del trattato Sul sublime presenta invece l‟imitazione (originale) come uno dei mezzi per il conseguimento del sublime (cap. 13): ηαὶ ἄθθδ ηζξ πανὰ ηὰ εἰνδιέκα ὁδὸξ ἐπὶ ηὰ ὏ρδθὰ ηείκεζ. πμία δὲ ηαὶ ηίξ αὕηδ; <἟> η῵κ ἔιπνμζεεκ ιεβάθςκ ζοββναθέςκ ηαὶ πμζδη῵κ ιίιδζίξ ηε ηαὶ γήθςζζξ. Seneca, nelle Lettere a Lucilio, parla così dell‟imitazione di più fonti (XI 84,5): nos quoque has apes debemus imitari et quaecumque ex diuersa lectione congessimus separare (melius enim distincta seruantur), deinde adhibita ingenii nostri cura et facultate in unum saporem uaria illa libamenta confundere, ut etiam si apparuerit unde sumptum sit, aliud tamen esse quam unde sumptum est appareat. Quintiliano, nell‟Istituzione oratoria, parla in generale dell‟imitazione in questi termini (X 2,3): et hercule necesse est aut similes aut dissimiles bonis simus. similem raro natura praestat, frequenter imitatio. sed hoc ipsum, quod tanto faciliorem nobis rationem rerum omnium facit quam fuit iis, qui nihil quod sequerentur, habuerunt, nisi caute et cum iudicio adprehenditur, nocet. Quintiliano fa però anche dei riferimenti più specifici all‟imitatio, come ad esempio nel giudizio su Menandro in X 1,69: hunc [scil. Euripiden] et admiratus maxime est, ut saepe testatur, et secutus, quamquam in ope diuerso, Menander, qui uel unus, meo quidem iudicio, diligenter lectus ad cuncta quae praecipimus effingenda sufficiat. Per un quadro più dettagliato rimandiamo a Reiff 1959, 5-122; Russell 1979, 1-16.

275 La bibliografia sull‟intertestualità è sterminata e sono diversi gli studi che presentano (o presentano anche) un quadro storico più o meno ampio. Si vedano ad esempio D‟Ippolito 1985, 10-23; Still / Worton 1990, 1-44; Holthuis 1993, 12-28; Allen 2000, 1-209; Edmunds 2001, 8-17; Schmitz 2002, 91-99; Hartz 2007, 5-19.

[40]

Al 1942 risale la pubblicazione del famoso saggio di Giorgio Pasquali intitolato Arte

allusiva276, dove, in termini molto netti, viene formulata la distinzione tra reminiscenza, imitazione e allusione: «le reminiscenze possono essere inconsapevoli; le imitazioni, il poeta può desiderare che sfuggano al pubblico; le allusioni non producono l‟effetto voluto se non su un lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono»277. Pasquali reagiva in questo modo ad una critica che mirava in primo luogo ad un paziente e meticoloso reperimento di loci

similes, senza poi interrogarsi veramente sul significato dei parallelismi. Grazie all‟idea di

allusione, posta come intenzionale, l‟utilizzo delle Quellen fatto dagli autori, poteva diventare un elemento costitutivo della composizione poetica in sé278. E quanto tale presupposto sia importante per la comprensione di una poesia come quella ellenistica o quella romana non è necessario sottolineare. È dunque da ritenersi un bene che lo scritto di Pasquali abbia lasciato un‟impronta negli studi successivi, tanto da far diventare d‟uso corrente “arte allusiva”, “allusione” e “alludere”, non solo nel ristretto ambito della filologia classica279

. Ed è certo degno di nota che ancora in anni più recenti ci si sia confrontati direttamente con le categorie di Pasquali, anche dissentendo parzialmente o interamente da esse280. Ma non è la visione (un po‟ schematica) di Pasquali a dominare l‟orizzonte della critica letteraria contemporanea, bensì varie teorie (e pratiche) generalmente collegate al termine, tutt‟altro che univocamente inteso281, di “intertestualità”.

Com‟è noto, “intertestualità” è una parola coniata dalla studiosa di origine bulgara Julia Kristeva. La parola appare in un articolo che esamina due opere di Michail Bachtin282, Bakhtine,

le mot, le dialogue et le roman, pubblicato nella rivista Critique nel 1967. Sebbene questo

articolo si confronti principalmente con Bachtin e con il suo concetto di “dialogicità”283

, non mancano in esso formulazioni più autonome, come appunto quella in cui compare il neologismo “intertestualità”: «tout texte se construit comme mosaïque de citations, tout texte est absorption et transformation d‟un autre texte. A la place de la notion d‟intersubjectivité s‟installe celle d‟intertextualité, et le langage poétique se lit, au moins, comme double»284

. È in effetti proprio a partire dalle idee di Bachtin (a cui bisogna aggiungere però anche Saussure) che la Kristeva formula nella Francia della seconda metà degli anni Sessanta, in un contesto culturale che vede il passaggio dallo strutturalismo al post-strutturalismo, la propria teoria del testo e dell‟intertestualità. Secondo la studiosa, gli autori non creerebbero i testi dalle loro menti, ma sulla base di testi preesistenti. Ogni testo non sarebbe quindi che «une permutation de textes, une intertextualité»285 inseparabile dalla più ampia „testualità‟ (culturale e sociale) che l‟ha prodotto. Così la Kristeva, ritenendo che il testo si trovi «dans (le texte de) la société et de l‟histoire», propone l‟abbandono di un tipo di studio „tradizionale‟ che parla di fonti e di influenza di un contesto286.

276 Il breve scritto è stato pubblicato nel numero 25 della rivista Italia che scrive. Noi lo citiamo in base alla successiva edizione in Pasquali 1968, 275-282.

277 Pasquali 1968, 275. 278

Cfr. Pasquali 1968, 277-282. Si vedano inoltre D‟Ippolito 1985, 9; Bonanno 1990, 11. 279 Cfr. e. g. Hebel 1991, 135-158.

280 Cfr. infra.

281 Diversi studiosi mettono esplicitamente in rilievo la problematicità del termine. Cfr. e. g. Broich / Pfister 1985, IX; Plett 1991b, 3; Holthuis 1993, XI; Hinds 1998, XII; Allen 2000, 2; Edmunds 2001, 133. 282 Le due opere sono Проблемы поэтики Достоевского (“Problemi della poetica di Dostoevskij”) e

Творчество Франсуа Рабле (“L‟opera di François Rabelais”), pubblicate entrambe a Mosca, rispettivamente nel 1963 e nel 1965.

283 Cfr. Kristeva 1967, 438-465 (= Kristeva 1969, 143-173). 284 Kristeva 1967, 440-441 (= Kristeva 1969, 146).

285 In Le texte clos la Kristeva fa la seguente osservazione: «le texte est donc une productivité, ce qui veut dire: 1. son rapport à la langue dans laquelle il se situe est redistributif (destructivo-constructif), par conséquent il est abordable à travers des catégories logiques plutôt que purement linguistiques; 2. il est une permutation de textes, une intertextualité: dans l‟espace d‟un texte plusieurs énoncés, pris à d‟autres textes, se croisent et se neutralisent». Cfr. Kristeva 1969, 113.

286 Cfr. Kristeva 1969, 113-116. Si vedano anche Pfister 1985, 1-11; Still / Worton 1990, 15-18; Holthuis 1993, 12-16; Allen 2000, 8-60; Schmitz 2002, 91-92; Hartz 2007, 7-11.

[41]

Espressione del medesimo contesto culturale in cui operò Julia Kristeva sono diversi scritti di Roland Barthes, peraltro collaboratore della stessa Kristeva. I contributi di Barthes alla teoria dell‟intertestualità sono fortemente influenzati dalla sua concezione che mette in dubbio che lo strutturalismo di stampo saussuriano possa veramente essere utile. Come per la Kristeva, anche per Barthes ogni testo «est un intertexte»: «d‟autres textes sont présents en lui, à des niveaux variables, sous des formes plus ou moins reconnaissables: les textes de la culture antérieure et ceux de la culture environnante; tout texte est un tissu nouveau de citations révolues». E l‟intertesto sarebbe «un champ général de formules anonymes, dont l‟origine est rarement repérable, de citations incoscientes ou automatiques, données sans guillemets»287. In Barthes vengono inoltre meno delle nozioni come una stabile opposizione fra lo scrivere e il leggere e fra il significato e l‟interpretazione. Al lettore viene attribuito un ruolo importantissimo nella determinazione del significato di un testo, ma ogni significato stabile viene meno, perché ogni nuova lettura produce una nuova interpretazione di qualcosa che già di per sé è plurale, in quanto intertesto288. La «signifiance» di un testo non ha dunque limiti. Tutto ciò conduce alla «mort de l‟auteur». Per Barthes la figura dell‟autore non sarebbe in effetti una manifestazione naturale, ma l‟invenzione di una società più individualista come quella capitalistica289

. Nonostante la radicalità delle sue affermazioni, Barthes rappresenta certamente una tappa importante nell‟affermazione dell‟intertestualità come concetto della critica letteraria e della teoria della letteratura290.

Degno di essere ricordato è poi Laurent Jenny, che in un articolo del 1976, La stratégie de la

forme, in alcune formulazioni non troppo lontano da Barthes, cerca di dare definizioni più

precise291. Jenny distingue tra un‟intertestualità esplicita, che caratterizzerebbe le opere esplicitamente intertestuali, come ad esempio le parodie e le imitazioni, e un‟intertestualità implicita292, sottolinea il carattere critico dell‟intertestualità293, si interroga sulle «frontières» dell‟intertestualità294

e analizza quel che l‟intertestualità opera concretamente sul testo295. Interressante è in particolare il modo in cui Jenny mostra come l‟intertestualità faccia venire meno una lettura lineare del testo296.

287 Cfr. Barthes 1973, 1015.

288 Barthes oppone alla concezione tradizionale la propria: «on peut attribuer à un texte une signification unique et en quelque sorte canonique; c‟est ce que s‟efforcent de faire en détail la philologie et en gros la critique d‟interprétation, qui cherche à demontrer que le texte possède un signifié global et secret, variable selon les doctrines: sens biographique pour la critique psychanalytique, projet pour la critique existentielle, sens socio-historique pour la critique marxiste, etc.; on traite le texte comme s‟il était dépositaire d‟una signification objective, et cette signification apparaît comme embaumée dans l‟oeuvre- produit. Mais dès lors que le texte est conçu comme une production (et non plus comme un produit), la “signification” n‟est plus un concept adéquat. Déjà, lorsque l‟on conçoit le texte comme un espace polysémique, où s‟entrecroisent plusieurs sens possibles, il est nécessaire d‟émanciper le statut monologique légal, de la signification et de la pluraliser». Cfr. Barthes 1973, 1015.

289

Cfr. Barthes 1984, 61-67.

290 Su Barthes si vedano anche Still / Worton 1990, 18-22; Holthuis 1993, 16-17; Allen 2000, 61-94; Schmitz 2002, 92-93; Hartz 2007, 11-12.

291 Su Jenny si veda anche Allen 2000, 112-115. 292

Cfr. Jenny 1976, 257-258. 293 Cfr. Jenny 1976, 258-262.

294 Lo studioso opera la seguente distinzione: «nous proposons de parler d‟intertextualité seulement lorsqu‟on est en mesure de repérer dans un texte des éléments structurés antérieurement à lui, au-delà du lexème, cela s‟entend, mais quel que soit leur niveau de structuration. On distinguera ce phénomène de la présence dans un texte d‟une simple allusion ou réminiscence, c‟est-à-dire chaque fois qu‟il y a emprunt d‟une unité textuelle abstraite de son contexte et insérée telle quelle dans un nouveau syntagme textuel, à titre d‟élément paradigmatique» (Jenny 1976, 262). Cfr. Jenny 1976, 262-265.

295

Cfr. Jenny 1976, 266-281.

296 «Le propre de l‟intertextualité est d‟introduire un nouveau mode de lecture qui fait éclater la linéarité du texte. Chaque référence intertextuelle est le lieu d‟une alternative: ou bien poursuivre la lecture en ne voyant là qu‟un fragment comme un autre, qui fait partie intégrante de la syntagmatique du texte - ou bien retourner vers le texte-origine en opérant une sorte d‟anamnèse intellectuelle où la référence intertextuelle

[42]

Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento si colloca la formulazione di alcune idee sull‟intertestualità di Michael Riffaterre, professore negli Stati Uniti. A differenza di Barthes, Riffaterre presenta una teoria dell‟intertestualità di matrice strutturalista297

. Il suo approccio è semiotico e si basa sulla convinzione che i testi letterari non siano referenziali o mimetici, cioè non siano connessi al mondo o a concetti reali, ma ad altri testi e segni298. Riffaterre ha impiegato il termine “intertestualità” in relazione alla formulazione di una teoria della ricezione del testo. Questa teoria comporta una distinzione fra una lettura euristica e una lettura ermeneutica299. La distinzione è importante per comprendere l‟intertestualità di Riffaterre, che è collegata al secondo tipo di lettura300.

Legato allo strutturalismo è anche Gérard Genette, che, nella sua famosa opera Palimpsestes.

La littérature au second degré, apparsa a Parigi nel 1982, ha formulato una complessa teoria

dell‟intertestualità basata sulle varie forme dei rapporti fra i testi. La teoria comporta una terminologia propria. Alla base viene posta la «transtextualité, ou transcendance textuelle du texte», definita «tout ce qui le [scil. il testo] met en relation, manifeste ou secrète, avec d‟autres textes»301. La transtestualità viene poi suddivisa in cinque sottocategorie: l‟intertestualità come compresenza di due o più testi, come la chiara presenza di un testo in un altro; la paratestualità, che comprende i rapporti del testo con elementi „esterni‟ come il titolo, la prefazione o simili; la metatestualità come il rinvio, in forma di commento o critica, a un pretesto; l‟ipertestualità, che riguarda la ripresa di un testo da parte di un altro sotto forma di imitazione, parodia, adattamento o simili; l‟architestualità come relazione di un testo con il genere letterario. In

Palimpsestes, Genette si occupa principalmente dell‟ipertestualità, che corrisponde a quel che

più comunemente viene definito “intertestualità”302

. Ecco la sintetica definizione che Genette dà della sua «hypertextualité»: «j‟entends par là toute relation unissant un texte B (que j‟appellerai

hypertexte) à un texte antérieur A (que j‟appellerai, bien sûr, hypotexte) sur lequel se greffe

d‟une manière qui n‟est pas celle du commentaire»303

.

Fra le opere teoriche relative ai rapporti fra i testi apparse fra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta vorremmo infine ricordare The Anxiety of Influence. A Theory of Poetry del critico americano Harold Bloom. Anche Bloom ha una visione intertestuale della letteratura, perché anch‟egli ritiene che un‟opera letteraria non possa fare a meno di imitare testi precedenti. Bloom spiega però il processo compositivo (di un‟opera letteraria moderna) in termini soprattutto psicologici: un autore dapprima aspirerebbe ad imitare il suo predecessore / modello, poi cercherebbe di essere originale. Da qui nascerebbe l‟«anxiety of influence». Così per Bloom «the profundities of poetic influence»304 non possono coincidere con uno studio delle fonti, o con la storia di idee o immagini305.

A partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento parlare di intertestualità o comunque occuparsi di rapporti fra i testi è diventato quasi una moda. Gli studi su questi argomenti si sono così notevolmente moltiplicati. In questa sede non è possibile neppure dare solo un quadro sommario dei libri, degli articoli, delle analisi e delle ricerche apparse in quest‟ultimo

apparaît comme un élément paradigmatique “déplacé” et issu d‟une syntagmatique oubliée» (Jenny 1976, 266).

297 Rapide esposizioni delle idee dello studioso si trovano in Still / Worton 1990, 24-27; Holthuis 1993, 20-22; Allen 2000, 115-132; Schmitz 2002, 92-94; Hartz 2007, 13-16.

298 Cfr. Allen 2000, 115; Hartz 2007, 13. 299 Cfr. Riffaterre 1978, 1-7.

300

Si legga ad esempio quel che lo studioso afferma all‟inizio del saggio La syllepse intertextuelle: «l‟intertextualité est un mode de perception du texte, c‟est le mécanisme propre de la lecture littéraire. Elle seule, en effet, produit la signifiance, alors que la lecture linéaire, commune aux textes littéraire et non littéraire, ne produit que le sens». Cfr. Riffaterre 1979, 496.

301 Cfr. Genette 1982, 7. 302

Cfr. Genette 1982, 7-453. Su Genette si vedano anche Pfister 1985, 16-17; Still / Worton 1990, 22-23; Allen 2000, 97-115; Schmitz 2002, 94-97; Hartz 2007, 16-18.

303 Genette 1982, 11-12.

304 L‟espressione si trova in Bloom 1973, 7. 305

[43]

trentennio. Numerosissimi sono gli scritti nati al di fuori della filologia classica e non pochi sono quelli di filologi classici che si occupano di questioni teoriche. Fra i primi segnaliamo rapidamente alcuni libri che sono stati molto utili per ricostruire un quadro generale dell‟evoluzione della critica letteraria: le raccolte di saggi, uscite fra la metà degli anni Ottanta e l‟inizio degli anni Novanta, curate rispettivamente da Ulrich Broich e Manfred Pfister306

, da Michael Worton e Judith Still307 e da Heinrich E. Plett308, il libro sull‟intertestualità considerata soprattutto dal punto di vista della ricezione di Susanne Holthuis309, lo studio sistematico sul modo in cui l‟intertestualità viene segnalata di Jörg Helbig310

, il lavoro sulla lettura intertestuale di Peter Stocker311 e infine la storia dell‟intertestualità di Graham Allen312. Sugli scritti dei filologi classici vorremmo invece soffermaci un po‟ più a lungo, senza pretendere di delineare una storia esaustiva di come i rapporti fra le opere letterarie siano stati valutati negli ultimi quarant‟anni, ma piuttosto esaminado alcuni saggi particolarmente interessanti e significativi. Nella scelta di questi saggi l‟impiego dei „moderni‟ termini di “intertestualità”, “intertesto” o “intertestuale” non è stato però un criterio determinante.

Una caratteristica (forse non sempre negativa) della filologia classica, o perlomeno di buona parte di essa, è quella di recepire di solito le nuove teorie letterarie con un certo ritardo (o di non recepirle affatto)313. Non è quindi un caso che in questa disciplina il termine “intertestualità” si affermi appena negli anni Ottanta314 e che termini più tradizionali, come “imitazione” e “allusione”, continuino ad essere impiegati315

.

Uno dei testi più importanti che la filologia classica abbia prodotto negli ultimi decenni sulla

Documenti correlati