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La struttura: un confronto con altre opere letterarie ellenistiche

II. Il carme 64 nel suo complesso

3. La struttura: un confronto con altre opere letterarie ellenistiche

Ci si può chiedere innanzitutto in quale misura il più famoso degli epilli ellenistici, vale a dire l‟Ecale di Callimaco, abbia influito sul carme 64 a livello della struttura complessiva. Come già detto (cfr. II 1), il testo dell‟Ecale ci è giunto purtroppo in maniera frammentaria. Questo testo era incentrato su un episodio del tutto marginale della leggenda relativa all‟uccisione del toro di Maratona da parte di Teseo. La Diegesis ne riassume il contenuto in questo modo: Θδζεὺξ

θοβὼκ ηὴκ ἐη Μδδείδξ ἐπζαμοθὴκ δζὰ πὰζδξ ἤκ θοθαη῅ξ ηῶ παηνὶ Αἰβεῖ, ἅη‟ αἰθκίδζμκ ἀκαημιζζεὲκ ἐη Σνμζγ῅κμξ ιεζνάηζμκ α὎ηῶ μ὎ πνμζδμηήζακηζ. αμοθυιεκμξ δ‟ ἐπὶ ηὸκ θοιαζκυιεκμκ ηὰ πενὶ Μαναε῵κα ηαῦνμκ ἐλεθεεῖκ ὅπςξ πεζνχζαζημ, ηαὶ εἰνβυιεκμξ, ηνφθα η῅ξ μἰηίαξ ἐλεθεὼκ πενὶ ἑζπένακ ἀπ῅νεκ. αἰθκίδζμκ δὲ ὏εημῦ ῥαβέκημξ ηαη‟ ἐζπαηζὰκ μἰηίδζμκ εεαζάιεκμξ ἗ηάθδξ ηζκὸξ πνεζαφηζδμξ ἐκηαῦεα ἐλεκμδμηήεδ. πνὸξ δὲ ηὴκ ἕς ἀκαζηὰξ ἐλῄε ζ ἐπὶ η῅κ πχνακ, πεζνςζάιεκμξ δὲ ηὸκ ηαῦνμκ ἐπακῄεζ ὡξ ηὴκ ἗ηάθδκ· αἰθκίδζμ κ δὲ ηαφηδκ ε὏νὼκ ηεεκδηοῖακ ἐπζζηε[κάλ]αξ ὡξ ἐρεοζιέκμξ η῅ξ πνμζδμ ηίαξ, ὃ ἐθ[....]εκ ιεηὰ εάκαημκ εἰξ ἀιμζαὴκ η῅ξ λεκίαξ η α φ ηῃ παναζπέζεαζ, ημῦημ ἐπεηέθεζεκ δ[῅]ι μκ ζοκζηδζάιεκμξ ὃκ ἀ π‟ α὎η῅ξ ὠκυια [ζ]εκ, ηαὶ ηέιεκμξ ἱδνφζαημ ἗ηαθείμο Γζ [υ]ξ62

. Da questo riassunto risulta chiaro che Callimaco presentava una tradizionale vicenda eroica in maniera alquanto anti-eroica63. Un po‟ meno chiaro risulta invece in che modo il poemetto fosse veramente composto, perché possediamo dei frammenti che non trovano alcun corrispettivo nelle parole appena citate64. Sembra comunque che Callimaco nell‟Ecale si allontanasse da un modo di raccontare tendenzialmente regolare, presentando delle digressioni65 e un notevole squilibrio tra le parti. Si ritiene generalmente che alla lotta con il toro di Maratona fosse dato assai meno spazio che non all‟ospitalità concessa a Teseo dalla vecchia Ecale nella sua capanna e ai discorsi fra i due personaggi. Che il carme 64 con la sua insolita struttura fosse stato influenzato in qualche modo

Kouremenos 1996, 233-250 (sono prese in considerazione in particolare le similitudini relative a Giasone e a Eracle); Reitz 1996, 7-141; Cusset 1999, 213-257 (non viene preso in cosiderazione solo Apollonio, ma viene dato ampio spazio all‟intertestualità); Stanzel 1999, 249-271; Effe 2001, 147-169; Borgogno 2003, 410-419 (elenco delle similitudini apolloniane); Pice 2003, 95-122 (trattazione schematica). Anche nel carme 64 l‟impiego della similitudine non è banale. Per un quadro d‟insieme sulle similitudini del carme 64 si vedano in particolare Murgatroyd 1997, 75-84; Calzascia 2009, 79-89.

60 Nelle Argonautiche si trovano due importanti descrizioni, quella del manto di Giasone in I 721-768 (dunque una descrizione di un tessuto come l‟ἔηθναζζξ di Catullo) e quella del palazzo di Eeta in III 215- 241. Per le descrizioni minori si veda Fusillo 1985, 289-326.

61 Sia nel carme 64 che nelle Argonautiche è molto evidente soprattutto la mescolanza di epos e tragedia. 62 P. Med. 18, Dieg. X. 18 - XI. 7 (Hollis 2009, 65). Plutarco, nella Vita di Teseo, presenta dei fatti molto simili, ma fa solo il nome dell‟attidografo Filocoro e non quello di Callimaco (14,2-3): ἟ δ‟ ἗ηάθδ ηαὶ ηὸ πενὶ α὎ηὴκ ιοεμθυβδια ημῦ λεκζζιμῦ ηαὶ η῅ξ ὏πμδμπ῅ξ ἔμζηε ιὴ πάζδξ ἀιμζνεῖκ ἀθδεεῖαξ. ἔεομκ βὰν ἗ηαθ῅ζζκ μἱ πένζλ δ῅ιμζ ζοκζυκηεξ ἗ηαθείῳ Γζί, ηαὶ ηὴκ ἗ηάθδκ ἐηίιςκ, ἗ηαθίκδκ ὏πμημνζγυιεκμζ δζὰ ηὸ ηἀηείκδκ κέμκ ὄκηα ημιζδῆ ηὸκ Θδζέα λεκίγμοζακ ἀζπάζαζεαζ πνεζαοηζη῵ξ ηαὶ θζθμθνμκεῖζεαζ ημζμφημζξ ὏πμημνζζιμῖξ. ἐπεὶ δ‟ εὔλαημ ιὲκ ὏πὲν α὎ημῦ ηῶ Γζὶ ααδίγμκημξ ἐπὶ ηὴκ ιάπδκ, εἰ ζ῵ξ παναβέκμζημ εφζεζκ, ἀπέεακε δὲ πνὶκ ἐηεῖκμκ ἐπακεθεεῖκ, ἔζπε ηὰξ εἰνδιέκαξ ἀιμζαὰξ η῅ξ θζθμλεκίαξ ημῦ Θδζέςξ ηεθεφζακημξ, ὡξ Φζθυπμνμξ ἱζηυνδηεκ [328 F 109 Jacoby]. 63 Cfr. Gutzwiller 1981, 49-50. 64

Per la ricostruzione del poemetto si vedano in particolare Gutzwiller 1981, 49-62 e soprattutto il commento di Hollis (= Hollis 2009).

65 Si pensi ad esempio alla cornacchia che racconta come cadde in disgrazia presso Atena (frr. 70-74 Hollis = 260,16-19; 374; 260,30-43; 346 + 260,44-69 + 351 Pfeiffer - non è sicuro se anche i frr. 75-77 Hollis = 267, 271 e 326 Pfeiffer siano da collegare con questo episodio).

[58]

da quest‟opera letteraria così innovativa sembra probabile66

(per di più anche nell‟epillio catulliano compaiono i personaggi di Teseo e di Egeo).

Poggia invece su basi piuttosto labili l‟ipotesi che propone come modello per la struttura complessiva del carme 64 un‟altra opera callimachea, l‟elegia / epinicio per Berenice che apriva il III libro degli Αἴηζα. Questa ipotesi è stata formulata da Richard F. Thomas in un articolo apparso nel 1983, cioè non molti anni dopo la ricostruzione di Parsons del “Callimaco di Lille”67. Sebbene fra i resti dell‟elegia callimachea68

non vi sia alcuna esplicita indicazione al riguardo, Thomas ha ipotizzato che la parte centrale della Victoria Berenices con Eracle e Molorco possa essere stata un‟ἔηθναζζξ, anzi l‟ἔηθναζζξ di un tessuto, forse un peplo dedicato da Berenice (prima e dopo questa descrizione vi sarebbe la «outer story» dedicata a Berenice e alla sua vittoria con il carro ai giochi nemei). Siccome però i frammenti rimasti sulla storia di Eracle e Molorco69 presentano un carattere più narrativo che descrittivo70, lo studioso ha dovuto anche ipotizzare che questa ἔηθναζζξ fosse fortemente innovativa. L‟elegia ricostruita da Thomas è dunque strutturalmente molto simile al carme 64 (il quale pure presenta una descrizione di un tessuto dal carattere più narrativo che descrittivo e una outer story che tende ad essere un po‟ sopraffatta dalla inner story), tanto simile da poterne essere considerata un modello71. C‟è però un grave problema: il carme 64 è uno dei testi che Thomas utilizza per ricostruire la struttura della Victoria Berenices72. Che la struttura del carme 64 possa essere un‟imitazione di quella della Victoria Berenices non è dunque, nelle pagine di Thomas, la conclusione che segue l‟esame dei frammenti callimachei rimasti, bensì la premessa (o piuttosto una delle premesse) per ricostruire il testo di Callimaco73. Finché non avremo dei nuovi ritrovamenti papiracei che possano confermare la presenza di un‟ἔηθναζζξ nella Victoria

Berenices, quella appena illustrata non può che rimanere una suggestiva ipotesi74.

Per quanto riguarda invece le opere di Callimaco conservate per intero, un confronto con il carme 64 sembra opportuno solo per gli Inni. Questo confronto non dà però risultati di rilievo. Certo, anche in Callimaco ci sono delle apostrofi75 e degli interventi del poeta76, ma mancano delle coincidenze veramente significative con il testo catulliano. E persino per quello che è forse il dato più interessante, vale a dire la presenza negli Inni callimachei della medesima tecnica ad incastro che si trova anche nell‟epillio latino, si possono notare delle divergenze fra il poeta greco e quello romano. Einlagen come quella della storia di Britomarti nell‟Inno ad Artemide (Hymn. 3,190-205)77, quella sull‟acciecamento di Tiresia nell‟Inno per i lavacri di Pallade (Hymn. 5,57-131), o quella che racconta la tragedia di Erisittone nell‟Inno a Demetra (Hymn. 6,24-115) sono infatti tutte un po‟ diverse dall‟ἔηθναζζξ catulliana. Nell‟Inno ad Artemide la storia di Britomarti viene direttamente aggiunta alla seguente osservazione (Hymn. 3,189-190):

66

Syndikus riconosce la presenza di analoghe caratteristiche strutturali nell‟Ecale e nel carme 64. Cfr Syndikus 1990, 101.

67 Cfr. Parsons 1977, 1-50. In nuovo frammenti sono stati poi inseriti nel Supplementum Hellenisticum di Lloyd-Jones e Parsons (SH 254-268). Una Victoria Berenices più completa di quella pubblicata da Pfeiffer si trova dunque solo in edizioni callimachee più recenti. Cfr. Aper 2004, 116-131; Massimilla 2010, 71-95; Harder 2012a, 198-223.

68 Sulla Victoria Berenices si veda il recente commento in Harder 2012b, 384-497. 69 Cfr. SH 256-265; frr. 59-66 Asper; frr. 148-156 Massimilla; frr. 54b-i Harder. 70

Cfr. Harder 2012b, 409. 71 Cfr. Thomas 1983, 92-113.

72 Fra gli altri testi utilizzati da Thomas per la ricostruzione si trovano dei passi latini (Verg. Georg. III 1- 48; Prop. III 1; Stat. Silv. III 1) e alcuni frammenti callimachei (frr. 84-5, 384 e 666 Pfeiffer).

73 L‟ipotesi di Thomas viene riportata anche in Thomson 1997, 390-391. Argomentazioni contro di essa si trovano in Harder 2012b, 409-410. Si veda anche infra.

74 A proposito dell‟ipotesi di Thomas Annette Harder osserva: «this is hard to prove» (Harder 2012b, 409).

75

Che negli inni vengano apostrofate le divinità e l‟isola alle quali essi sono dedicati è del tutto normale. Negli Inni callimachei si trovano però anche delle altre apostrofi. Cfr. e. g. Hymn. 2,6-8; 5,1-4; 6, 1-6 e 83.

76 Cfr. e. g. Hymn. 1,4 e 69; 3, 136-137; 4,9-10 e 28-29. 77

[59]

ἔλμπα δ‟ ἀθθάςκ Γμνηοκίδα θίθαμ κφιθδκ, / ἐθθμθυκμκ Βνζηυιανηζκ ἐφζημπμκ. Il racconto, poi,

si segnala come tale grazie all‟avverbio πμηε e il lettore è condotto subito in medias res (Hymn. 3,190-191): ἥξ [scil. Βνζημιάνηεςξ] πμηε Μίιςξ / πημζδεεὶξ ὏π‟ ἔνςηζ ηαηέδναιεκ μὔνεα Κνήηδξ

... Nell‟insieme dell‟inno le vicende di Britomarti sono un aspetto piuttosto marginale. Dopo di

esse il testo continua come se non vi fosse stata alcuna digressione (Hymn. 3,206): ηαὶ ιὴκ

Κονήκδκ ἑηανίζζαμ (il poeta si rivolge ad Artemide). Lo stesso non si può dire delle storie di

Tiresia e di Erisittone, che occupano tutta la parte centrale dei rispettivi testi, come la storia di Arianna in Catullo. Ma in questi inni, diversamente da quanto avviene nel poeta romano, non c‟è veramente una seconda storia, perché la cornice, del resto relativamente breve78

, si presenta come la rappresentazione fittizia di una cerimonia (un immaginario rito ad Argo nell‟Inno per i

lavacri di Pallade e una processione del ηάθαεμξ non ben localizzata nell‟Inno a Demetra). La

storia di Tiresia viene anticipata dagli ammonimenti di Hymn. 5,51-5479 e introdotta da queste parole (Hymn. 5,55-56): ιέζηα δ‟ ἐβς ηζ / ηαῖζδ‟ ἐνές· ιῦεμξ δ‟ μ὎η ἐιυξ, ἀθθ‟ ἑηένςκ. Il testo assume poi l‟andamento tipico del racconto (Hymn. 5,57-58): παῖδεξ, Ἀεακαία κφιθακ ιίακ ἔκ

πμηα Θήααζξ / πμοθφ ηζ ηαὶ πένζ δὴ θίθαημ ηᾶκ ἑηανᾶκ ... La linearità del racconto è spezzata solo

dall‟anticipazione degli eventi futuri in Hymn. 5,68-69 e dalla profezia di Atena (Hymn. 5,107- 130)80, che contiene un breve excursus, la storia di Atteone, molto simile a quella di Tiresia, ma più tragica (Hymn. 5,107-118). Dopo il racconto, l‟anello di congiunzione con la cornice è rappresentato da un‟osservazione sui poteri di Atena (Hymn. 5,131-133). La vicenda di Erissitone, invece, è preceduta da una sezione che loda Demetra, la dea che ha dato all‟umanità le leggi e l‟agricoltura. Con un μὔπς (Hymn. 6, 24) iniziale la vicenda viene collocata nel passato. Il racconto è molto lineare. In questo caso l‟anello di congiunzione con la cornice81

è dato da un‟ἀπμπμιπή (Hymn. 6,116-117).

Dà risultati molto più concreti un confronto della struttura del carme 64 con gli Idilli di Teocrito. Sono soprattutto gli idilli 1 e 24 a presentare delle interessanti coincidenze strutturali con l‟epillio catulliano.

Nell‟idillio 1 sono presenti ben due elementi strutturali che si trovano anche nel carme 64, l‟ἔηθναζζξ e un canto con brevi strofe divise da un ritornello. Tematicamente l‟idillio con la sua ambientazione pastorale è molto distante dal carme 64 (comune è in pratica solo il motivo dell‟amore infelice). Teocrito mette in scena il pastore Tirsi e un capraio che dialogano fra di loro. I due non esitano a farsi reciprocamente dei complimenti sulla loro arte musicale (vv. 1- 11). Tirsi propone al capraio di suonare la zampogna, ma questi rifiuta per non svegliare Pan (vv. 12-14). Il capraio prega poi a sua volta Tirsi di cantare per lui, promettendogli una capra e una splendida coppa di legno (vv. 15-63). Tirsi esegue quindi un canto sulle pene d‟amore e la morte di Dafni (vv. 64-142) e alla fine del canto chiede i doni promessi (vv. 143-145). L‟idillio si conclude con una battuta del capraio che loda ancora una volta l‟abilità nel canto di Tirsi. Da questa stessa battuta veniamo anche a sapere che Tirsi ha ricevuto la coppa e la capra (vv. 146- 152). L‟ἔηθναζζξ fa in questo caso parte di un discorso diretto, perché il capraio descrive la coppa (ααεὺ ηζζζφαζμκ, ζηφθμξ, δέπαξ) nel momento in cui la promette in dono (vv. 27-56). La parte principale della descrizione riguarda le scene raffigurate e solo una piccola parte le fattezze materiali. A differenza di quanto avviene nel carme 64, le immagini sulla coppa non rappresentano scene mitologiche (sono infatti raffigurati, circondati da motivi vegetali, una donna con accanto due uomini, un vecchio pescatore e una vigna con un ragazzo distratto e due

78 Nell‟Inno per i lavacri di Pallade la cornice comprende i vv. 1-55 e 134-142, mentre nell‟Inno a

Demetra i vv. 1-23 e 117-138.

79 Ecco il testo: ἀθθά, Πεθαζβέ, / θνάγεμ ιὴ μ὎η ἐεέθςκ ηὰκ ααζίθεζακ ἴδῃξ. / ὅξ ηεκ ἴδῃ βοικὰκ ηὰκ

Παθθάδα ηὰκ πμθζμῦπμκ, / ηὦνβμξ ἐζμρεῖηαζ ημῦημ πακοζηάηζμκ.

80 Per il nostro confronto con Catullo può essere interessante notare come nel testo di Callimaco siano mezionate le Moire e la loro filatura (Hymn. 5,104).

81 A differenza di quanto avviene nel canto delle Parche del carme 64, il ritornello Γάιαηεν, ιέβα παῖνε,

[60]

volpi)82. Il canto di Tirsi, che inizia pochi versi dopo l‟ἔηθναζζξ, ha una struttura veramente molto simile a quella del canto delle Parche nel carme 6483. Il ritornello teocriteo, però, ricorre già all‟inizio del canto (mentre nel carme 64 currite ducentes subtegmina, currite, fusi compare per la prima volta appena dopo i primi quattro versi) e si modifica leggermente (all‟inizio è

ἄνπεηε αμοημθζηᾶξ, Μμῖζαζ θίθαζ, ἄνπεη‟ ἀμζδᾶξ, a partire dal v. 94 ἄνπεηε αμοημθζηᾶξ, Μμῖζαζ, πάθζκ ἄνπεη‟ ἀμζδᾶξ, e a partire dal v. 127 θήβεηε αμοημθζηᾶξ, Μμῖζαζ, ἴηε θήβεη‟ ἀμζδᾶξ).

Notevole è l‟analoga ripetizione del verbo che si ha nei due poeti. La lunghezza delle strofe è inoltre leggermente più varia nel poeta greco che in quello romano, perché tra un ritornello e l‟altro possono trovarsi anche due soli versi84

. Sebbene ritornelli si trovino anche in altri testi ellenistici85, ci sembra altamente probabile che per la struttura del canto delle Parche Catullo abbia preso a modello in primo luogo proprio l‟idillio 1 di Teocrito86

. Più difficile è invece connettere complessivamente la descrizione della coppa di legno fatta dal capraio teocriteo alla storia di Arianna sulla coltre catulliana. Di estremo interesse rimane comunque la combinazione nello stesso testo di un‟ἔηθναζζξ e un canto con delle strofe divise da un ritornello che si trova sia nell‟idillio 1 di Teocrito che nel carme 64 di Catullo87

.

Quanto all‟idillio 24 (ἧναηθίζημξ), esso è interessante perché, come il carme 64, è un epillio (o comunque comunemente definito come tale dalla critica moderna) e presenta una profezia relativa al futuro di un famoso eroe direttamente riportata nel testo. Come nel carme 64 c‟è la profezia delle Parche su Achille, così nell‟idillio teocriteo c‟è la profezia di Tiresia su Eracle. La struttura complessiva del testo del poeta greco è però un po‟ diversa da quella del poemetto di Catullo. L‟episodio di Tiresia (vv. 64-102) è infatti preceduto dal racconto relativo allo strangolamento da parte del piccolo Eracle dei serpenti mandati da Era per ucciderlo (vv. 1-63)

82 Per l‟interpretazione di queste scene si vedano e. g. Gow 1952, 6-14; Webster 1964, 160-161; Gallavotti 1966, 421-433; Nicosia 1968, 15-38; Arnott 1978, 129-134; Halperin 1983, 161-189; Zanker 1987, 79-81; Hughes Fowler 1989, 5-15; Manakidou 1993, 51-83; Payne 2001, 263-278; Schmale 2004, 120-122; Kossaifi 2006, 119-126; Petrain 2006, 256-263.

83 Si veda anche VIII 5.

84 Si tenga però presente che nella tradizione manoscritta del carme 64 fra il v. 377 e il v. 379 si trovava il ritornello (v. 378), che però in questo luogo viene normalmente espunto (a partire da Bergk).

85

Nell‟idillio 2 di Teocrito (Φανιαηεφηνζα) si trovano due ritornelli (ἶοβλ, ἕθηε ηὺ η῅κμκ ἐιὸκ πμηὶ δ῵ια ηὸκ ἄκδνα e θνάγευ ιεο ηὸκ ἔνςε‟ ὅεεκ ἵηεημ, πυηκα ΢εθάκα) molto diversi da quello catulliano. Il ritornello che si trova nell‟἖πζηάθζμξ Βίςκμξ dello pseudo-Mosco (ἄνπεηε ΢ζηεθζηαί, η῵ πέκεεμξ ἄνπεηε, Μμῖζαζ) è con ogni evidenza modellato sull‟idillio 1 di Teocrito. Nell‟἖πζηάθζμξ Ἀδχκζδμξ di Bione si ha invece un ritornello che si modifica alcune volte e di nuovo molto diverso da quello catulliano: αἰάγς ηὸκ Ἄδςκζκ· ἐπαζάγμοζζκ Ἔνςηεξ (vv. 6 e 15); „αἰαῖ ηὰκ Κοεένεζακ‟, ἐπαζάγμοζζκ Ἔνςηεξ (v. 28); αἰαῖ ηὰκ Κοεένεζακ· ἀπχθεημ ηαθὸξ Ἄδςκζξ (vv. 37 e 63); αἰάγς ηὸκ Ἄδςκζκ, „ἀπχθεημ ηαθὸξ Ἄδςκζξ‟ (v. 67); „αἰαῖ ηὰκ Κοεένεζακ‟, ἐπαζάγμοζζκ Ἔνςηεξ (v. 86). Per un‟analisi più approfondita di questi ritornelli si veda Gow 1952, 15-17.

86 Il monologo di Simeta nell‟idillio 2 è strutturalmente più distante da Catullo. Il primo ritornello (ἶοβλ,

ἕθηε ηὺ η῅κμκ ἐιὸκ πμηὶ δ῵ια ηὸκ ἄκδνα) ricorre regolarmente sempre dopo quattro versi, e il secondo (θνάγευ ιεο ηὸκ ἔνςε‟ ὅεεκ ἵηεημ, πυηκα ΢εθάκα) dopo cinque.

87

Gli studiosi di Catullo normalmente menzionano l‟idillio 1 di Teocrito e il suo ritornello (o comunque Teocrito) in relazione al canto delle Parche (cfr. Riese 1884, ad 64,327; Baehrens 1885, ad 64,326-327; De la Ville de Mirmont 1893, 167; Kroll 1980, ad 64,323-381; Wilamowitz 1924, 303; Lenchantin 1938, ad 64,323-381; Perrotta 1931, 212; Beyers 1960, 87; Fordyce 1961, ad 64, 323-381; Avallone 1967, 174; Della Corte 1996, ad 64,323-381; Clausen 1982, 191; Michler 1982, 85; Syndikus 1990, 189-190; Godwin 1995, ad 64,323-381; Thomson 1997, ad 64,323-381; Lefèvre 2000a, 189; Lefèvre 2000b, 76-77; Nuzzo 2003, ad 64,326-327; Perutelli 2003, 322-323; Schmale 2004, 229-230) e spesso fanno riferimento anche all‟ἔηθναζζξ della coppa del capraio in relazione alla descrizione catulliana della coltre del letto nuziale di Peleo e Teti o al carme 64 nel suo insieme (cfr. Ellis 1889, ad 64,50 sgg.; Baehrens 1885, 377; Pasquali 1920, 19; Wilamowitz 1924, 301; Lenchantin 1938, 140; Wheeler 1934, 135; Quinn 1970, ad 64,326-327; Clausen 1982, 191; Deroux 1986b, 248; Laird 1993, 22; Landolfi 1998, 17 e 21-22; Schmale 2004, 120-122; Nowak 2008, 10). Solo di rado, però, l‟ἔηθναζζξ e il canto sono stati associati al carme 64 combinati fra di loro (cfr. Avallone 1967, 160; Clausen 1982, 191).

[61]

e seguito dai versi sull‟educazione dell‟eroe (vv. 103-140)88

. La parte su Tiresia presenta comunque delle singolari analogie con alcuni elementi che si trovano in 64,303-383. La esaminiamo quindi più nel dettaglio. La mattina dopo la notte drammatica che ha visto il piccolo Eracle strangolare i serpenti inviati da Era, Alcmena, madre premurosa89, chiama l‟indovino Tiresia per sapere che significato possa avere quanto accaduto per il futuro (vv. 64- 71). In Teocrito, prima della profezia, Tiresia viene presentato come indovino ἀθαεέα πάκηα

θέβςκ (v. 65), mentre in Catullo similmente, prima dell‟inizio del canto delle Parche, viene detto

(64,306): ueridicos Parcae coeperunt edere cantus. L‟ineluttabilità della parola delle dee del Destino, alla quale Catullo accenna in 64,322 (carmine, perfidiae quod post nulla arguet aetas), trova in qualche modo un corrispondente nelle seguenti parole di Alcmena (vv. 69-70): ηαὶ ὣξ

μ὎η ἔζηζκ ἀθφλαζ / ἀκενχπμζξ ὅ ηζ Μμῖνα ηαηὰ ηθςζη῅νμξ ἐπείβεζ. In queste parole anche

l‟immagine della Moira che fila può essere accostata a Catullo, che descrive le Parche al lavoro in 64,305-31990. Teocrito per di più poco dopo riprende l‟immagine della lavorazione della lana, collegandola però alle donne achee (vv. 76-77). Il discorso diretto di Tiresia è riportato ai vv. 73-100, preceduto da qualche parola introduttiva (v. 72: ὃ δ‟ ἀκηαιείαεημ ημίμζξ)91. Esso ha una struttura tripartita: dapprima l‟indovino parla della futura fama di Alcmena (vv. 73-78), poi dell‟ascesa al cielo di Eracle dopo il superamento delle fatiche (vv. 79-87) e infine dà le istruzioni per eliminare i cadaveri dei due serpenti uccisi (vv. 88-100). Solo le prime due parti sono profetiche. La profezia di Teocrito, come quella di Catullo, inizia con una solenne apostrofe ad un genitore dell‟eroe (da un lato abbiamo o decus eximium magnis uirtutibus

augens, / Emathiae tutamen, Opis carissime nato e dall‟altro εάνζεζ, ἀνζζημηυηεζα βφκαζ,

Πενζήζμκ αἷια), accompagnata da parole molto rassicuranti92

(da un lato accipe, quod laeta tibi

pandunt luce sorores, / ueridicum oraclum e dall‟altro ιεθθυκηςκ δὲ ηὸ θχζμκ ἐκ θενζὶ εέζεαζ)93. C‟è poi una certa somiglianza fra la presentazione del valore di Achille in 64,339

(hostibus haud tergo, sed forti pectore notus) e la precisazione che si trova al v. 80 dell‟idillio teocriteo (ἀπὸ ζηένκςκ πθαηὺξ ἣνςξ)94. In entrambe le profezie c‟è inoltre un riferimento funerario. Catullo si sofferma infatti piuttosto a lungo sulla tomba di Achille (64,362-370), mentre Teocrito ricorda il rogo sul monte Eta sul quale sarebbe salito Eracle (v. 83): εκδηὰ δὲ

πάκηα πονὰ Σναπίκζμξ ἕλεζ95. L‟uscita di scena delle figure profetiche è infine assai rapida sia in

Catullo che in Teocrito. Il poeta romano riprende quanto già detto sopra (64,382-383): talia

praefantes quondam felicia Pelei / carmina diuino cecinerunt pectore Parcae. Il poeta greco

condensa invece ogni riferimento al precedente discorso in un θᾶ (v. 101) e segue Tiresia che si alza e allontana, ricordando la sua vecchiaia (vv. 101-102): ηαὶ ἐνςήζαξ ἐθεθάκηζκμκ ᾤπεημ

δίθνμκ / Σεζνεζίαξ πμθθμῖζζ αανφξ πεν ἐὼκ ἐκζαοημῖξ. Proprio quest‟ultimo dato è interessante,

perché può essere accostato alla minuta descrizione della vecchiaia delle Parche che si trova in

88 Una trentina di versi (per l‟esattezza i vv. 141-172) alla fine del testo trasmesso dalla tradizione manoscritta sono stati recuperati in maniera fortemente lacunosa grazie al papiro di Antinoe. Sappiamo così che l‟opera doveva concludersi con una preghiera ad Eracle per ottenere la vittoria in un agone poetico (probabilmente fittizio).

89 Nella parte precedente del testo, Teocrito presenta Alcmena come una buona madre borghese che mette a letto i figli (vv. 1-10) e che subito si sveglia preoccupata quando Ificle inizia a gridare (vv. 34-37). 90 Cfr. Ellis 1889, ad 64,326; Kroll 1980, ad 64,326; Perutelli 2003, 325.

91

In Catullo il canto delle Parche è introdotto da tre versi (64,320-322), molto più carichi di significato: haec tum clarisona pellentes uellera uoce / talia diuino fuderunt carmine fata, / carmine, perfidiae quod post nulla arguet aetas.

92

Secondo Alessandro Perutelli, sarebbe proprio il legame con il testo di Teocrito a poter spiegare la contraddizione (o presunta contraddizione) presente in Catullo tra la definizione di canto felice data dalle Parche al loro canto (in 64,325 c‟è laeta ... luce) e il contenuto del canto stesso, che profetizza ai genitori la morte del figlio in giovane età. Cfr. Perutelli 2003, 330. Ma questa ipotesi attribuisce probabilmente un ruolo eccessivo al testo teocriteo nell‟epillio catulliano.

93

Cfr. Syndikus 1990, 177; Perutelli 2003, 325-326. Per un confronto più generale fra la profezia di Tiresia di Teocrito e il canto delle Parche catulliano si veda Perutelli 1979, 58-60. Un accostamento dei due testi si tova inoltre in Fernandelli 2012, 91-93.

94 Cfr. Avallone 1967, 175; Perutelli 2003, 326-327. 95

[62]

64,305-319. Certo, se Catullo ha ripreso l‟idillio 24 di Teocrito componendo il carme 64, lo ha fatto in maniera molto libera. Saremmo tuttavia propensi a credere che una tale ripresa vi sia stata.

Dovuta in parte a Teocrito è probabilmente anche la sproporzione delle parti che caratterizza il carme 64. Un tipo di architettura piuttosto diffuso nel poeta bucolico è in effetti quella che vede una cornice (o eventualmente un‟introduzione) di dimensioni piuttosto ristrette combinata con altri elementi (come ad esempio canti, dialoghi, monologhi, parti descrittive e narrative), a cui viene dato uno spazio ben maggiore96. La ricerca deliberata dello squilibrio può essere considerata una caratteristica della poesia alessandrina.

Sull‟accostamento, nel carme 64, di parti non sempre dotate di legami strettissimi fra di loro, accostamento tanto spesso messo in rilievo dalla critica97, può gettare luce soprattutto lo pseudo- teocriteo idillio 25 (ἧναηθ῅ξ Λεμκημθυκμξ), componimento poetico con una struttura della narrazione alquanto originale. Si tratta anche questa volta di un epillio. Apparentemente il poemetto dovrebbe narrare una delle fatiche di Eracle, quella della pulizia della stalle di Augia, ma in realtà si occupa di tutt‟altro. Il testo si apre ex abrupto98

con una scena di conversazione

fra un vecchio contadino e l‟Anfitrionide che si sta recando presso le stalle di Augia. In un lungo discorso diretto il contadino dà ad Eracle informazioni sul bestiame e le altre proprietà del re Augia e gli chiede quindi, ben disposto ad aiutarlo, il motivo della sua venuta (vv. 3-41). La conversazione procede anche nei versi successivi. Il tono è molto cordiale (vv. 52-61). I due poi si incamminano verso la stalla presso cui possono incontrare il re. Il contadino, pur incuriosito dalla clava e dalla pelle di leone di Eracle, evita di fare troppe domande all‟eroe (vv. 62-67). Prima di giungere alla stalla i due personaggi devono anche affrontare dei cani aggressivi (vv. 68-84). C‟è poi uno stacco narrativo segnato da un‟indicazione temporale (vv. 85-86). Subito dopo il narratore fa seguire una lunga rassegna del bestiame del re Augia (vv. 86-137). Ad un certo punto l‟attenzione si concentra su una bestia in particolare, il bue Fetonte, e sul suo attacco contro Eracle (vv. 138-149). Il narratore conclude questo episodio soffermandosi sulla meraviglia che provano i presenti di fronte alla smisurata forza dell‟eroe (vv. 150-152). Incomincia poi la terza sezione principale del poemetto, nella quale viene incastrata una nuova storia. Il narratore si concentra su Eracle che, in compagnia di Fileo, il figlio di Augia, si dirige verso la città. In questa sezione si trovano due nuovi discorsi diretti, uno di Fileo, che esprime il sospetto che il suo compagno sia l‟uccisore del leone nemeo (vv. 162-188), e uno di Eracle, che

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