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Il Regno SHS e l'italianità della Dalmazia

LA COMUNITA' ITALIANA DI SPALATO DALLA NASCITA DEI NAZIONALISMI AI CONFLITTI MONDIAL

5. DALLA PACE DI VERSAILLES ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE

5.1. Il Regno SHS e l'italianità della Dalmazia

Dopo gli incontri di Rapallo del 1920 la situazione della città di Spalato, allora divenuta parte a tutti gli effetti del nuovo Regno di Serbi, Croati e Sloveni, non vide alcun sostanziale cambiamento: la convivenza pacifica tra Italiani e Croati sembrava ormai destinata a scomparire. Il nuovo Regno dalla sua parte però doveva cercare di arginare il problema agli occhi della comunità internazionale, ma allo stesso tempo dimostrare che le rivendicazioni italiane erano pure velleità imperialiste e totalmente infondate. La stampa croata diede vita a una ingente “campagna esplicativa” in cui si cercava di spiegare l'artificialità dell'italianità in Dalmazia.

L'ITALIANITA' DELLA DALMAZIA

Ammesso pure che le famiglie suddette siano d'origine italiana, nel corso delle generazioni d'italiano in esse non rimase che il nome. I discendenti di tali famiglie si sentono Slavi non solo per libera elezione o per mezzo della volontà, ma per il sangue slavo che scorre nelle loro vene, per cultura, per i costumi, per l'educazione, per la lingua e per il sentire all'unisono col popolo jugoslavo. A questi che per naturale evoluzione sono slavi, noi opponiamo gli italianizzanti dalmati in quanto sono dei veri apostati dello slavismo.

[…] ma, perché in Dalmazia, ove l'elemento jugoslavo è così compatto ed uniforme, come non lo è in nessuna provincia (essendovi appena 18.000 italiani sopra una popolazione di 654.000), si vogliono

rinnegati i discendenti di singole famiglie di origine italiana, perché nel volgere di decenni perdettero il carattere italiano? Perché si dimenticano che in Italia vive una popolazione slava sull'Appennino e nella Slovenia italiana: che l'Italia trova naturalissimo se questi Slavi nel corso del tempo, per forza di circostanze vengono un po' alla volta assimilati ed italianizzati? Purtroppo essi sono condannati a morire nazionalmente nel mare italiano, essendo una piccola minoranza.

[…] ma la maggior prova che la Dalmazia tutta è di razza slava sta nel fatto che contadini italiani non ve ne sono e non ve ne furono mai, e che la popolazione nella stragrande sua maggioranza è di condizione contadinesca. Per ciò l'italianità in Dalmazia vive nelle diverse borgate in maggiori o minori raggruppamenti, e specialmente a Zara, la quale città fornisce il maggiore contingente dell'intelligenza italiana. Per la maggior parte figli e nipoti di contadini slavi, oggi camuffati italiani, che occupano oggi in Dalmazia una posizione sociale, per lo più in qualità di pubblici funzionari, avvocati, preti, negozianti, al presente cercano di mistificare le nostre condizioni.

[…] Più che il sentimento di italianità può in essi l'odio e il disprezzo per il proprio passato, che vogliono cancellato dalla memoria, lavorando per ciò con raddoppiato zelo per l'italianità, scartando contro lo jugoslavismo rinnegato ogni sorte di contumelie. E le sartine e i braccianti di Zara? Sono tutti “ich” o “ić” genuini italianizzati nelle scuole italiane dalla Lega, di Santa Maria e di San Grisogono” […] noi però non pretendiamo che ci si creda tutto sulla parola; domandiamo invece che sia data la possibilità alla popolazione in Dalmazia di manifestare liberamente il proprio volere e l'Italia ingannata, ed il mondo intero vedrà quanto poca cosa sia l'Italianità in Dalmazia, e persino a Zara. Una chimera, un mito di centinaia di migliaia di italiani che qui vanno sognando!69

La campagna esplicativa era però destinata a durare ben poco: nel novembre del 1928 due cacciatorpediniere francesi entrarono nel porto di Spalato, acclamati dagli Italiani che in massa esposero il tricolore alle proprie finestre. La guardia jugoslava

69 Novo Doba, 10 gennaio 1919, nr. 7 p. 1, citato in Mladen Čulić-Dalbello, Per una storia..., pp. 90-91. Manca il testo

intervenne immediatamente, entrando con la forza nelle abitazioni, strappando le bandiere e danneggiando mobili.70 Era questa la prima di quelle che il «“Novo

Doba»» battezzò “talijanske provokacije”, che riempirono il giornale fino alla fine degli anni Trenta.

Sul suolo italiano questo episodio ebbe una forte ripercussione, tanto da far nascere una corrente di pensiero che richiedeva al governo di inviare delle truppe anche a Spalato, richiesta che giungeva a gran voce anche dal podestà di Zara, Luigi Ziliotto, che auspicava un'occupazione italiana anche della Dalmazia centrale.

Un secondo grave episodio avvenne nel mese successivo, quando una squadra guidata dal giovane Edo Bulat71 organizzò una vera e propria caccia all'italiano,

distruggendo le suppellettili all'interno dei principali edifici italiani, distruggendo le insegne in italiano e picchiando chiunque si trovasse per la strada e fosse colpevole di parlare italiano.

Anche negli anni successivi la tensione rimase molto alta, in una sorta di botta e risposta tra stampa italiana e stampa jugoslava, e spesso nelle città soggette al dominio italiano si svolgevano manifestazioni contro le popolazioni jugoslave, talvolta attraversando delle fasi violente.

Il 1920 fu però l'anno in cui avvennero gli incidenti più gravi, all'occasione di una conferenza tenuta dal comandante Lovrić. Secondo la stampa italiana, il comizio del comandante serbo aveva eccitato talmente tanto gli animi della popolazione che

70 Avvenimento narrato in Luigi Monzali, Italiani di Dalmazia, 1914-1924, Firenze, 2007 71 Futuro gerarca e ministro Ustascia (hr. ustaša)

questa decise di radunarsi in presso i luoghi degli italiani e di attaccarli: fu devastato il caffè Nani, ormai luogo fisso d'incontro per la comunità italiana, e fu issata una bandiera jugoslava proprio davanti alla nave Puglia, subito sequestrata dai militari italiani e portata all'interno della nave. Questo portò ad un veloce passaparola che scatenò un'immediata sollevazione da parte della cittadinanza croata: il comandante Gulli, allora, per evitare il peggio, decise di consegnare la bandiera agli Americani, che a loro volta l'avrebbero restituita alle autorità jugoslave. Partì allora un motoscafo verso le Rive per liberare gli ufficiali che nel frattempo erano stati rinchiusi nel Gabinetto di Lettura. La calca era talmente grande sulle rive che il motoscafo dovette sparare in aria dei razzi illuminanti per distogliere la popolazione e permettere l'accesso alla città. Si creò così il caos, partirono dei colpi e fu esplosa una bomba, causando l'uccisione del motorista Aldo Rossi, di un manifestante croato e del comandante della Puglia Gulli, deceduto poco dopo durante le operazioni di soccorso72. Ecco le sue ultime parole riportate dal Dalmata:

Tanti abbracci ai miei. Il mio pensiero è con loro. Se muoio, muoio tranquillo perché i miei figli saranno bene educati da mia moglie. Se muoio, mando un saluto agli ufficiali e a tutti della Puglia. Io non ho assolutamente provocato nessuno, anzi sono andato io stesso per impedire provocazioni. Se vi sono dei morti non li ho io sulla coscienza73.

La reazione italiana a questi avvenimenti fu molto forte: a Trieste venne assaltato e dato alle fiamme l'hotel Balkan, albergo e circolo culturale dei giovani jugoslavi, il

72 Antonio Denich, Livio Grassi, Storia de Trieste. Una storia che se legi come una fiaba. Trieste, versione online, p. 159, www.storiaditrieste.it consultato il 26/12/2013

Narodni Dom, casa del popolo sloveno e sede del giornale «Edinost»; a Pola fu preso

d'assalto di Narodni Dom cittadino.