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I L R EGNO DI S ARDEGNA E C ORSICA ALL ’ ASCESA AL TRONO DI G IOVANNI

1. Il riassetto amministrativo e istituzionale

§ 1.1 Profilo generale

La conquista del Regno di Sardegna e Corsica e la sua aggregazione all’interno di una confederazione “pluralista coordinata” secondo l’accezione coniata qualche tempo fa da Lalinde Abadia140, chiamata Corona d’Aragona, determinò radicali trasformazioni nel lavoro di riassetto politico, istituzionale e amministrativo effettuato dalla monarchia. Nel suo studio sugli ufficiali regi sotto Alfonso IV, Olla Repetto afferma che «i nuovi dominatori introdussero nell’isola ex novo il feudalesimo, il reggimento autonomo dei municipi di tipo barcellonese, nonché l’amministrazione governatoriale articolata in una serie numerosa di uffici diretti rappresentanti del potere regio»141. Le istituzioni introdotte all’indomani della conquista furono destinate a reggere l’isola per ben quattro secoli, seppure con qualche modifica, apportata soprattutto nel corso del Quattrocento, relativa ad alcuni uffici. Il Regno di Sardegna e Corsica venne profondamente trasformato dal punto di vista istituzionale e governatoriale, fino a subire un progressivo processo di assimilazione dovuto alla creazione di istituti mutuati dalla tradizione iberica o a essa uniformati142.

Nel quadro di queste trasformazioni governative periferiche deve essere valutata la politica di Giovanni II di Sardegna adottata a un secolo e mezzo dalla conquista. Al fine di

140 J. L

ALINDE ABADIA, L'influenza dell'ordinamento politico-giuridico catalano in

Sardegna, in Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX), Atti del Convegno (Alghero, 30 ottobre-2

novembre 1985), a cura di A. Mattone-P. Sanna, Sassari 1994, p. 274.

141 G. O

LLA REPETTO, Gli ufficiali regi durante il Regno di Alfonso IV, Cagliari 1969, p. 3.

142 P. C

ORRAO, Stati regionali e apparati burocratici nella Corona d’Aragona

(secc. XIV e XV), in La Mediterrània de la Corona d’Aragó, segles XIII-XVI. VII Centenari de la sentència arbitral de Torrellas, 1304-2004. Atti del XVIII

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consolidare l’unione tra il regno sardo e la Corona d’Aragona, il monarca ordinò che fosse celebrato l’atto formale di incorporazione perpetua del regno nelle Corts di Fraga nel 1460, impegnandosi per sé e per i suoi discendenti143. Con tale atto il re intendeva avviare un profondo e ulteriore processo di trasformazione dell’assetto istituzionale, accostando ancora di più di quanto già non lo fosse l’apparato burocratico sardo ai modelli catalani.

Nell’accingersi a realizzare l’ordinamento organico e ad articolare l’apparato amministrativo, il monarca tenne conto dell’estrazione di alcuni gruppi sociali e della posizione delle famiglie feudali, di origine iberica ma trasferitesi nel Regno di Sardegna e Corsica subito dopo la conquista o nel corso del XV secolo, che miravano oltre che a un ampliamento dei possedimenti territoriali anche a una scalata in ambito istituzionale. In questo contesto e limitatamente al ventennio di governo del terzo Trastamara, si è ritenuto opportuno sviluppare uno studio relativo ai funzionari regi, talvolta personaggi di spicco della società sarda, che ressero gli incarichi istituzionali e amministrativi più importanti. Tali funzionari rivestivano il ruolo di rappresentanti dei titolari degli uffici regi - se non addirittura di sostituti di essi - e godevano della fortunata condizione di governare in completa anarchia a causa della politica di assenteismo del re144.

Anatra sottolinea che anche per il Regno di Sardegna e Corsica, come per Barcellona, la seconda metà del Quattrocento fu un’epoca di grave crisi interna che trovò le sue radici nella

voll., I, València 2005, pp. 108-110.

143 Z

URITA, Anales de la Corona de Aragón cit., vol. 7, pp. 277-279. Tale

incorporazione, che contemplava anche l’aggregazione perpetua alla Corona catalano-aragonese del Regno di Sicilia, «por si y por todos sus sucessores» diventerà un elemento non trascurabile del disegno di reintegrazione mediterranea delineato dal figlio di Giovanni, Ferdinando il Cattolico, basato sulla politica di redreç che prevedeva un rilancio del commercio mediterraneo, di cui l’isola sarda era una fondamentale pedina, e un rinnovamento sostanziale del quadro politico e istituzionale del Regno di Sardegna e Corsica, cfr. F. MANCONI, L’identità catalana della Sardegna, in «Mediterranea» XV, (2003): Isole

nella storia, p. 105.

144 O

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prolungata assenza del re e che determinò, tra le altre cose, delle turbolenze feudali. Nacquero delle fazioni signorili, simili a quelle sorte nel napoletano alla vigilia della ‘rivolta dei baroni’ che, lamentando il proprio malcontento, provocarono un rafforzamento dell’autoritarismo monarchico anche nel Regno sardo. Per quel che concerne, invece, le oligarchie urbane, essendo prive di coesione, mostravano una labile inclinazione a un orientamento di governo autonomista, subendo in parte il fascino dei partiti feudali, in parte quello della politica regia che mirava, a sua volta, a contenere l’anarchia baronale145.

La monarchia dei Trastamara, in particolare sotto il governo di Alfonso e Giovanni, trovò il suo punto di forza nella rifondazione, sebbene vincolata, del ‘pattismo’ tradizionale, che fu adottato per poter continuare a esercitare nel Regno sardo un certo autoritarismo con il paradosso dell’assenza dei sovrani. I ceti privilegiati, da parte loro, contavano sul pattismo per accrescere il proprio controllo sugli apparati amministrativi e istituzionali, al fine di condizionare e limitare le tendenze governative della Corona146. Il pattismo così inteso dai ceti privilegiati fu contrastato da Alfonso prima e da Giovanni poi, sostenendo l’ascesa dei ceti intermedi e mediando in qualità di super partes nelle crisi che si verificarono a livello locale. In tal senso tale prassi politica avrebbe determinato un’autorità sovrana imprescindibile e illimitata nelle dinamiche interne del Regno di Sardegna e Corsica147. Il pattismo, contraddistinto da una continua negoziazione fra Corte e autonomie locali, costituì

145 B. A

NATRA, La Sardegna dall'unificazione aragonese ai Savoia, in La Sardegna

medioevale e moderna, a cura di J. Day-B. Anatra-L. Scaraffia, in Storia d'Italia, X, a cura di G. Galasso, Torino 1987, p. 366.

146 Sul pattismo come forma originale di dominio politico e regio si veda C

ORRAO,

Stati regionali e apparati burocratici cit., pp. 125-128 con le relative note di

riferimento, nelle quali viene riporta la vasta letteratura che si è prodotta nelle diverse epoche. L’Autore si sofferma sulla pratica del pattismo, intesa come contrattazione non fra due soggetti - il re e il regno - ma fra una pluralità di protagonisti, che si svolge durante le Corts, e sull’equilibrio fra le esigenze acquisitive della monarchia e gli interessi di ristrette oligarchie.

147 Sappiamo da Anatra che nessuno dei quattro Trastamara riuscì a praticare

totalmente tale forma di potere a causa degli interessi sempre prioritari della politica espansionistica della Corona d’Aragona, Ibidem.

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l’elemento guida del governo di Giovanni nel Regno di Sardegna e Corsica. Egli adoperò una logica di dominio ben calcolata e un’astuta strategia politica, fatta di alleanze e relazioni diplomatiche con personalità nobili e potenti dell’isola, cui affidare la guida del regno dietro la sua presente, seppure lontana, supervisione.

Questa impostazione governativa del re rispecchiava fedelmente la ripartizione amministrativa sarda che era stata configurata, dopo la conquista catalano-aragonese, in due grandi settori sulla base di un modello già sperimentato in terraferma: il settore regio, che prevedeva che le città e gli insediamenti fossero amministrati direttamente dal sovrano attraverso la mediazione di funzionari od officiales, e quello feudale, che contemplava i territori e le ‘ville’ infeudati ai nobili locali148. A tale proposito, è bene ricordare che dopo la sua aggregazione alla Corona d’Aragona, il controllo e l’amministrazione dei territori del Regno di Sardegna e Corsica furono assegnati a quanti avevano partecipato, a vario titolo, alle principali fasi di realizzazione del regno, secondo diverse modalità di infeudazione stabilite sulla base di un’efficiente collaborazione dimostrata dai partecipanti alla spedizione e dalle esigenze di tipo strategico-militare149. La decisione di adottare questo sistema feudale si era palesata piuttosto efficace, come si evince dalla

148 A. C

ASTELLACCIO, L'amministrazione della giustizia a Sassari nel periodo aragonese, in Gli studi Sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell'Età m o d e r n a . Atti del Convegno di Studi (Sassari, 12-14 maggio 1983), a cura di

A. MATTONE-M. TANGHERONI, Cagliari 1986, p. 766.

149 M. T

ANGHERONI, Il feudalesimo, in I Catalani in Sardegna, Cagliari1984, p. 159. Sull’introduzione del sistema feudale nel Regno di Sardegna e Corsica all’indomani della conquista, e sulla sua evoluzione si annoverano tra gli altri G. SORGIA, Sardenya i Còrsega des de la infeudació fins a Alfons el “Magnànim”, Barcelona 1968; A. BOSCOLO, Le strutture sociali dei paesi della Corona d'Aragona: la

feudalità in Sicilia, in Sardegna e nel napoletano, in La Corona d'Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico (1416-1516). Atti del IX Congresso di Storia della Corona d'Aragona

(Napoli, 11-15 aprile 1973), 3 voll., III, (Napoli 1978-1982), Palermo 1984, pp. 181-190; A. BOSCOLO, La feudalità in Sicilia, in Sardegna e nel Napoletano nel

Basso Medioevo, in «Medioevo. Saggi e Rassegne» 1, (1975); Feudi di Sardegna. Registro storico dei feudi del Regno di Sardegna e Corsica, Sassari 1991; F.

FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna, Cagliari 1996; F. FLORIS, Il sistema

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ripetuta adesione dei diversi esponenti di varia estrazione sociale, nobili e mercanti in prima linea, dei regni appartenenti alla confederazione catalana-aragonese, che avevano partecipato e cooperato energicamente alle spese di allestimento della dispendiosa spedizione. I motivi che spinsero i partecipanti erano i più disparati, dettati da sentimenti ideologici e romantici o verosimilmente da concrete intenzioni economiche, allettati dalle promesse di concessioni di vasti territori del regno di nuova acquisizione. Secondo i disegni dei primi sovrani catalano- aragonesi, il metodo feudale avrebbe dovuto rappresentare uno strumento di governo fondamentale per la gestione del nuovo regno, il cui territorio sarebbe stato amministrato e difeso da uomini fedeli alla Corona che avevano l’obbligo di risiedere nell’isola150. In quest’ottica storiografica trova ampio riscontro la tendenza del re Giovanni II di rafforzare i rapporti con i personaggi più illustri dell’isola per assicurarsi il controllo diretto dei territori, regi e non, senza alcuna ulteriore spesa

150 Il tipo di feudalesimo introdotto nel regno sardo aveva caratteristiche

peculiari rispetto a quelle di alcuni tipi di concessione di chiara matrice feudale, sperimentate nel periodo precedente dalle entità statuali presenti nell’isola. Di origine franca, era regolato secondo i principi del cosiddetto

mos Italiae o Sardiniae che al contrario del mos Cathaluniae, vigente negli

Stati iberici della Corona d’Aragona, comportava notevoli limitazioni. Il beneficio feudale era trasmissibile soltanto in linea maschile e doveva essere confermato dall’autorità regia ogni qual volta avveniva la successione; ciò rendeva possibile un ritorno del feudo alla curia regia, che lo avrebbe potuto infeudare a persone di suo gradimento. Per evitare inopportuni accrescimenti territoriali e la concentrazione di territori troppo vasti nelle mani di un unico feudatario e per sottolineare la dipendenza dei feudatari dal re, il feudo era inalienabile, cioè non poteva essere venduto o donato, se non ad aragonesi o a catalani e non poteva essere incrementato con terre acquisite con matrimonio senza il consenso regio. Il feudatario doveva giurare fedeltà e fare atto di omaggio al re, al quale era tenuto a corrispondere ogni anno un determinato censo in denaro o in natura e prestare servizio militare con un certo numero di soldati, a piedi e a cavallo, e una certa quantità di vettovaglie. Da parte sua, il re concedeva al feudatario l’immunità, per cui gli ufficiali regi non potevano entrare nei confini del feudo, alcuni poteri giudiziari e la sua protezione. Il feudatario, inoltre, aveva l’obbligo di risiedere stabilmente nel suo feudo, al fine di controllare e difendere adeguatamente il territorio, e su di esso esercitava la giurisdizione civile alta e basse e quella penale solo bassa, cioè il mixtum imperium. Sull’introduzione del feudalesimo in Sardegna si veda supra. Sulla situazione politica delle istituzioni presenti nell’isola prima della dominazione catalano-aragonese si veda l’intramontabile A. SOLMI,

Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Cagliari 1917, pp.

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per la casa reale e senza privarsi di curare in prima persona i suoi interessi continentali, in linea, quindi, con la sua politica autoritaria e assenteista.

§ 1.2 Gli ‘uomini del re’

La politica del terzo Trastamara si inquadra pienamente nell’ambito di una profonda trasformazione che si compie nel corso del XV secolo, in cui si assiste al rafforzamento del potere monarchico esercitato da sovrani sempre più assolutisti e freddi calcolatori che amavano circondarsi, per esercitare astutamente il proprio potere, di abili ministri e fidati consiglieri, i quali si valevano a loro volta di un corpo di funzionari competenti151.

Per quanto riguarda gli studi sui funzionari regi, sebbene le conoscenze attuali sui personaggi di governo del primo Quattrocento siano piuttosto esaustive - almeno per quel che concerne il regno di Alfonso il Magnanimo nei suoi possedimenti mediterranei - non è altrettanto soddisfacente, in merito alla sua completezza, la storiografia per il periodo successivo, nonostante la disponibilità di fonti documentarie che attendono di essere consultate e interpretate; tale lacuna storiografica impedisce, pertanto, di avere un quadro generale d’impostazione istituzionale e prosopografico chiaro152. Questa carenza è ancora più grave in ambito storiografico sardo, per il quale scarseggiano studi organici di taglio prosopografico relativi al personale amministrativo anche per il periodo precedente153. Manca, infatti,

151 R

OMANO-TENENTI, Alle origini cit., pp. 164-169.

152 P. C

ORRAO, Gli ufficiali nel Regno di Sicilia del Quattrocento, in Gli

ufficiali negli stati italiani del Quattrocento, a cura di F. LEVEROTTI, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Serie IV, Quaderni I, Pisa 1997, p. 314. Si consiglia la lettura dell’intero volume miscellaneo, frutto del seminario dal titolo Il corpo degli officiali negli Stati italiani del

Quattrocento tenutosi nell’anno accademico 1996-97, che mette a confronto le

forme istituzionali degli stati regionali italiani che si differenziano a seconda della tipologia di governo.

153 Questa carenza fu già denunciata da A.M. O

LIVA-O.SCHENA: «Mancano sostanzialmente nella storiografia sarda sia analisi strutturali e sociologiche sull’articolazione della società isolana, sia studi tesi alla costituzione di un repertorio prosopografico dei diversi gruppi oligarchici nel loro complesso relazionarsi ed interagire, fatto salvo il bel lavoro di Anatra sui ceti dirigenti sassaresi», Il Regno di Sardegna tra Spagna e Italia nel Quattrocento

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un’opera di sintesi sui funzionari che ricoprirono gli incarichi dell’amministrazione regia durante la dominazione catalano- aragonese, la cui bibliografia esistente ha un carattere generale, ancora piuttosto carente, relativa a periodi limitati e circoscritta per lo più a un’impostazione istituzionale e giurisdizionale delle diverse magistrature154. I registri di Cancelleria si sono rivelati, nel contesto che ci riguarda, una fonte preziosa per comprendere l’orientamento politico del monarca e i provvedimenti da lui emanati, tendenti a regolamentare i rapporti tra l’indirizzo governativo del re e gli ufficiali del Regno di Sardegna e Corsica.

Come evidenzia A.M. Oliva, nel corso del Quattrocento «il grande serbatoio da cui attinsero i sovrani per le nomine dei più alti funzionari dell’amministrazione regia fu la nobiltà e il patriziato dei grandi centri urbani catalano-aragonesi»155. Anche il terzo Trastamara si circondava di officiales generalmente laici, appartenenti a famiglie di estrazione nobiliare o mercantile, che esercitavano svariate funzioni e spesso cumulavano varie cariche - il più delle volte acquisite grazie ai favori concessi al re. Questi funzionari alternavano incarichi politici e diplomatici,

cit., pp. 106-107. Il contributo delle due autrici, unitamente all’altro articolo, già ricordato delle stesse su I Torrella, una famiglia di medici cit., e al contributo di A.M. OLIVA, su Il consiglio regio nel Regno di Sardegna cit.,

effettua una prima ricostruzione prosopografica della società sarda nel Quattrocento con particolare riguardo agli aspetti storici, istituzionali e culturali.

154 Le ricerche finalizzate alla storia personale e familiare dei funzionari

regi, compresa la loro formazione culturale e professionale, non è stata indagata abbastanza. Gli studi realizzati su questo argomento si sono basati prevalentemente sugli aspetti politici, istituzionali e burocratici delle diverse cariche regie, cfr. OLIVA-SCHENA, Il Regno di Sardegna tra Spagna e Italia nel Quattrocento cit., p. 123. Per una visione d’insieme sull’argomento si veda,

inoltre, G. OLLA REPETTO, La storiografia sugli ufficiali regi della Sardegna

catalano-aragonese e la nascita dell’istituto del governatore nella Corona d’Aragona, in «Archivio Storico Sardo» XXXVI, (1989), pp. 105-127 e il relativo

l’apparato bibliografico. Un approccio prosopografico concernente il personale del Consiglio regio del Quattrocento è stato avviato da A.M. OLIVA, Il consiglio

regio nel Regno di Sardegna cit., pp. 205-238, inserito nell’ambito del progetto

di ricerca presentato da M.E. CADEDDU-L. GALLLINARI-M.G. MELE-M.G. MELONI-A.M. OLIVA- O. SCHENA, Élites y representaciones parlamentarias en la Cerdeña del siglo XV,

in 53 Congreso de la Comisión Internacional para el estudio de la Historia de las Instituciones Rapresentativas y Parlamentarias, Barcelona 3-6 setiembre 2003 (c.d.s.).

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giudiziari o di natura economica; talvolta erano membri della sua stessa famiglia, come nel caso di Giovanni, figlio bastardo del re, per il quale il padre si batté affinché in Valenza ottenesse il vescovato156; altre volte venivano scelti tra gli alti dignitari ecclesiastici, spesso per reggere le redini di diocesi sarde, espressamente voluti dal sovrano per il loro forte prestigio e alto ascendente presso il papa157.

Il personale del monarca, altamente specializzato e competente, era in prevalenza di estrazione iberica, in particolare catalana, ma stanziato nel Regno oramai da generazioni con interessi, possedimenti e ricchezze nell’isola ormai consolidati.

Le nomine degli officiales che afferivano all’ambito dell’amministrazione regia, sia periferica che centrale, erano sempre regie; solamente i sostituti dei titolari degli uffici, chiamati luogotenenti, per i quali i titolari dovevano garantire di fronte al re, o i funzionari sottoposti ad altri potevano essere scelti dai titolari stessi158. Le nomine erano triennali ad eccezione di quella del procuratore regio, il cui incarico era vitalizio, con una precisa definizione delle competenze e dei poteri e con un salario stabilito dal sovrano. Accadeva anche che il monarca riconfermasse un secondo mandato agli ufficiali o per provata fiducia o per ricompensare un sostegno finanziario che veniva concesso in caso di necessità. La carica viceregia, come quella della procurazione regia dotata di ampie deleghe di potere,

155 O

LIVA, Il consiglio regio cit., p. 208.

156 N

AVARRO, Callisto III cit., p. 194.

157 È il caso di Barnabò Perpinyà, cardinale valenzano appartenente all’ordine

dei Frati Predicatori e molto vicino al papa Pio II; Perpinyà venne nominato vescovo di Santa Giusta nel 1466 dopo la morte del titolare, malgrado l’opposizione del marchese di Oristano, Salvatore d’Alagón, cfr. ACA, Canc. reg. 3397, ff. 171-171v. Nello stesso anno il re ordinò al viceré Carròs di riservare qualche carica ecclesiastica, semmai fosse rimasto vacante qualche vescovato o arcivescovato in Sardegna, a fra’ Gonsalvo Desplugues, luogotenente del cappellano maggiore regio, distintosi per aver servito fedelmente il re, ACA,

Canc. reg. 3399, f. 31v ss.

158 S. M

ORELLI, Gli ufficiali del Regno di Napoli nel Quattrocento, in Gli ufficiali negli stati italiani del Quattrocento, a cura di F. LEVEROTTI, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Serie IV, Quaderni I, Pisa 1997, p. 299; J. LALINDE ABADIA, La gobernación general en la Corona de Aragón, Madrid-

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era anch’essa riservata a personale iberico; così anche le più alte cariche dignitarie (giudiziarie o territoriali) venivano assegnate di preferenza a esponenti di un ceto nobiliare e feudale altolocato, come vedremo dalla disamina dei documenti.

Invece, per quanto riguarda le cariche amministrative secondarie, gli officiales venivano scelti tra le fila del ceto cittadino o mercantile; soprattutto quest’ultima “casta” stava prendendo piede nel Regno sardo come anche in altre realtà mediterranee appartenenti alla Corona d’Aragona, ad esempio nel Regno di Napoli, tanto da consentire ai territori appartenenti alla Corona d’Aragona di essere dei poli del sistema di traffici internazionali e ai sovrani di avvicinare la periferia al centro, rivitalizzando le aree feudali e agricole del Mezzogiorno159. Il ceto mercantile era in forte ascesa nella realtà sarda quattrocentesca e molti esponenti, che avevano accumulato abbondanti ricchezze nel corso degli anni, reinvestirono i propri soldi vincolandoli all’acquisto di terre o di titoli feudali160.

In questo contesto sono state inserite le notizie biografiche dei funzionari tratte dalle fonti consultate, confortate con quanto già pubblicato, al fine di ricostruire un quadro collettivo concernente il corpo degli officiales sardi che operavano per conto del re. Di alcuni di questi personaggi non si hanno che scarse notizie e per lo più legate all’attività istituzionale che svolgevano nell’isola, desunta dai documenti, mentre mancano dati tangibili sugli aspetti sociali e culturali dei singoli membri o delle famiglie cui appartenevano.