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R IPERCUSSIONI DELLA GUERRA CIVILE CATALANA NEL R EGNO DI S ARDEGNA E C ORSICA

1. Prima sollevazione catalana (1460-1462)

§ 1.1 Deterioramento dei rapporti tra Giovanni II e Carlo di Viana Il 15 luglio 1458, dopo aver prestato giuramento in qualità di nuovo sovrano della Corona d’Aragona, Giovanni si affrettò a emanare un provvedimento, nel quale riconosceva al secondogenito Ferdinando i titoli di duca di Montblanc, conte di Ribagorza e signore di Belaguer ed escludeva categoricamente qualsiasi ruolo in ambito politico e istituzionale del figlio Carlo di Viana, anticipando nelle intenzioni la volontà siglata due anni dopo dalla Concordia di Barcellona452. Firmata il 26 gennaio 1460, la Concordia decretava il disconoscimento del diritto alla primogenitura al principe di Viana e la sua conseguente esclusione dalla successione al trono catalano-aragonese. L’accordo prevedeva, inoltre, la concessione del perdono da parte di Giovanni al figlio Carlo in seguito alla sua rinuncia definitiva al Regno di Navarra e a quello di Sicilia, quest’ultimo assegnato a Ferdinando; in cambio gli venne riconosciuto solo il principato di Viana453.

452 J. V

ICENS I VIVES, Fernando el Católico, principe de Aragón, rey de Sicilia, 1458-1478, Madrid 1952, p. 76. Probabilmente Giovanni aveva emanato frettolosamente questo provvedimento, mosso dal timore di perdere il Regno di Sicilia, destinato, nei suoi disegni politici, al prediletto Ferdinando. Infatti, quello stesso giorno Carlo giunse nell’isola sicula accolto benevolmente dalla popolazione che, affascinata dalla personalità benigna del principe, gli offrì donativi e persino il trono del regno. Successivamente, Giovanni concesse l’incarico di viceré a Lope Ximénez de Urrea, suo uomo di fiducia, e mandò in qualità di ambasciatori altri due fedelissimi, Bernat de Requesens e Juan de Moncayo, al fine di controllare da vicino le mosse del principe, cfr. VICENS I VIVES, Trajectòria mediterrània cit., p. 15 ss.

453 Z

URITA, Anales de la Corona de Aragón cit., vol. 7, pp. 251-252. OSTOLAZA

ELIZONDO, D. Juan de Aragón cit., p. 603. La questione della primogenitura

catalano-aragonese non era un diritto naturale derivato da una circostanza anagrafica, ma una carica pubblica goduta da colui che veniva riconosciuto erede e che, quindi, poteva esercitare una serie di atti di governo legislativi, economici e amministrativi. Per essere dichiarato primogenito, un infante doveva essere presentato dal re alle Cortes di ciascuno stato aggregato alla Corona

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In seguito a questo accordo, i rapporti tra padre e figlio migliorarono, diventando persino eccellenti e cordiali454. Il riavvicinamento, però, fu effimero perché il principe di Viana tramava con il re di Castiglia, Enrico IV, per realizzare il matrimonio con la figlia Isabella, nella speranza di guadagnare punti agli occhi del padre e di ottenere così la primogenitura. Giovanni, da parte sua, intendeva destinare l’erede castigliana all’altro figlio Ferdinando - designato, com già detto, alla successione catalano-aragonese - in modo da avere un unico sovrano per le due corone, stabilendo, invece, per il fill primer nat un legame con Caterina, erede del Regno di Portogallo455. Venuto a conoscenza dell’inganno nel dicembre del ’60, il sovrano ordinò che Carlo fosse imprigionato, suscitando le reazioni dei catalani che non condividevano la politica autoritaria del dispotico re e ne condannavano i modi totalitari. L'arresto di Carlo di Viana fu il primo errore politico di Giovanni, che contribuì a determinare la prima sollevazione catalana456.

Alla luce di questi fatti, nel Principato di Catalogna la popolazione si schierò totalmente dalla parte di Carlo; venne convocato il Parlamento per decidere la strategia da seguire, e subito diverse ambasciate si diressero dal re per supplicarne la liberazione. Di fronte al suo perentorio rifiuto, nel febbraio del 1461, il Consiglio di Catalogna proclamò il principe di Viana erede universale del Principato e dispose, con il tramite di ambasciatori, affinché si formasse un esercito in tutti i Regni

d’Aragona e da esse accettato come tale, cfr. VICENS I VIVES, Trajectòria

mediterrània cit., p. 20 ss. Capitò, nella storia della Corona d’Aragona,

all’epoca di Jaume II, che un secondogenito avesse esercitato la primogenitura legale catalano-aragonese, cfr. VICENS I VIVES, Juan II cit., p. 215.

454 Gli storici catalani, a partire da Zurita, hanno sempre cercato le ragioni

dell’atteggiamento di ripudio dimostrato da Giovanni nei confronti del figlio Carlo, non trovando motivazione alcuna nella documentazione. Il monarca si difendeva asserendo di avere «bones i suficients causes» ma senza mai dire quali fossero. Si è portati, quindi, ad attribuire le ragioni del rifiuto a un innato odio personale nutrito dal padre verso il figlio, cfr. VICENS I VIVES, Trajectòria

mediterrània cit., pp. 32-33.

455 V

ICENS I VIVES, Juan II cit., pp. 219-222.

456 V

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aggregati alla Corona d’Aragona per chiedere aiuti e appoggi457. Da quel momento nella città condale i fatti precipitarono: per i giureconsulti Giovanni era reo di aver violato gli Usatges catalani e di aver compromesso con il suo atteggiamento dispotico e autoritario «la reintegració, manutenció i conservació dels privilegis del país»458. L’8 giugno 1461, Giovanni chiese al procuratore regio del Regno di Sardegna e Corsica, Francesco Navarro, che gli venissero forniti urgentemente aiuti economici, cavalli, armi e quanto necessario per frenare la sommossa organizzata in Catalogna contro di lui «sens causa o rahó alguna»459.

Malgrado le richieste dei rinforzi, il re non riuscì a tener testa all’esercito dei ribelli, sebbene si presentasse inferiore di numero rispetto a quello regio. Inoltre, temendo un’insurrezione di portata politica più ampia, nel tentativo di sedare qualsiasi minaccia di rivolta, si vide costretto a firmare il 21 giugno 1461 in accordo con la Deputazione di Catalogna la Capitolazione di Villafranca del Penedés. Tale accordo stabiliva in primis la liberazione del principe Carlo dopo mesi di estenuante prigionia, il quale veniva proclamato luogotenente regio perpetuo e capo dell’amministrazione del potere esecutivo catalano. Veniva sancito, inoltre, che Giovanni non si sarebbe potuto recare nei territori del Principato catalano senza il beneplacito degli stessi catalani460.

457 A poco valse l’ambasciata del maestro razionale di Valenza, Lluis de Vic, che

si recò a Barcellona per spiegare ai consiglieri le cause della detenzione del principe di Viana e per distogliere i ribelli dal loro intento. In tale occasione il de Vic lesse un lunghissimo memoriale del sovrano, nel quale si evinceva non tanto una difesa alle accuse mossegli, quanto l’affermazione del proprio autoritarismo: «Jatsia la prefata magestat no sia streta ne obligada donar rahó dels seus actes, sinó sols a Nostre Senyor Déu, com a rey e príncep qui en aquest món no reconeix altre superior», VICENS I VIVES, Trajectòria

mediterrània cit., pp. 39-40.

458 V

ICENS I VIVES, Trajectòria mediterrània cit., p. 41.

459 ACA, Canc. reg. 3397, ff. 112-112v. 460 ACA, CRD, Sin fecha, n. 1. C

ASULA, La Sardegna aragonese cit., p. 332. Con la Capitolazione di Villafranca si cercò di stabilire apparentemente un equilibrio politico; in realtà si limitarono fortemente i poteri attribuiti al monarca. Infatti, i poteri politici furono distribuiti nel seguente modo: quello legislativo venne attribuito alle

Corts, di fronte alle quali doveva rispondere il Consell, che a sua volta era incaricato

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Carlo, considerando ancora irrisolta la questione della primogenitura, approfittò del clima a lui favorevole che si era creato con la Capitolazione, per esortare i rappresentanti della Deputazione affinché lo aiutassero a ottenere anche il legittimo riconoscimento della primogenitura dal padre461. Tuttavia, la speranza del principe di vedere riconosciuti quelli che considerava a tutti gli effetti suoi diritti fu vana, poiché nel settembre dello stesso anno morì ufficialmente vittima di una polmonite, sebbene la popolazione barcellonese accusasse la regina Giovanna di averlo fatto assassinare462.

Non potendosi recare a Barcellona, Giovanni inviò la moglie Giovanna in qualità di tutriu del figlio Ferdinando, ancora minorenne ed erede del titolo di luogotenente dopo la morte di Carlo, al fine di cercare di dissipare gli effetti dell’accordo e garantire una maggiore adesione alla causa reale, facendo leva su un partito realista oltranzista formato dalla popolazione che provava una particolare dedizione per la monarchia463. Tuttavia, mentre l’entrata nella capitale del Principato del giovane Ferdinando fu celebrata con solennità nel novembre del 1461, la presenza della madre fu altrettanto aborrita e, secondo alcuni storici, questo fu il motivo che fece esplodere una situazione già incandescente. Giovanna, donna tenace e determinata, nei suoi tentativi di concordia per riportare all’obbedienza regia la Catalogna, dopo essere riuscita a farsi accettare in qualità di tutrice del figlio, chiese alla Deputazione di poter accogliere il marito a Barcellona464. Per ottenere ciò, la regina praticò

quello che ruotava intorno al primogenito; quello esecutivo venne destinato al primogenito-luogotenente, al quale fu negato solo di poter convocare le Corts, o nominare ufficiali o funzionari pubblici, compiti spettanti al re; quest’ultimo, che era rivestito di «plenitud de la real potestat», non aveva alcuna voce in capitolo nelle questioni relative alla vita politica del Paese, cfr. VICENS I VIVES, Juan II cit., p. 231.

461 ACA, CRD, Corrispondencia, n. 8. 462 V

ICENS I VIVES, Juan II cit., p. 255.

463 La Capitolazione di Villafranca del Penedès prevedeva che in caso di morte di

Carlo di Viana il fratellastro Ferdinando avrebbe automaticamente ereditato il titolo di luogotenente del Principato, S. SOBREQUES I VIDAL, El setge de la Força

de Gerona en 1462, Barcelona 1962, p. 5.

464 È probabile che i coniugi Trastamara considerassero -o meglio lo speravano-

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un’azione diplomatica che mirava ad accattivarsi quella parte di deputati e parlamentari cosiddetti “realisti” (tra questi l’arcivescovo di Tarragona e il conte di Prades) che ancora parteggiavano all’interno della Deputazione in favore del monarca. Tuttavia, esisteva in seno alla Deputazione anche una parte, altrettanto potente, di dirigenti catalani che non intendeva arrivare ad un accordo con i Trastamara, ma anzi mirava a liquidare una dinastia considerata incapace di governare in sintonia con i princìpi del pattismo e in favore di un altro re meno autoritario465.

Al malcontento provocato dalla politica sovrana, che si respirava anche tra le fila della popolazione, si aggiunse contemporaneamente la ribellione dei contadini di remença (prima guerra di remença) che approfittarono della situazione di totale anarchia per avanzare le loro pretese466. Data la situazione difficile, Giovanna fu costretta a questo punto a trasferirsi a Girona e guadagnarsi l’appoggio di una vecchia e ricca fazione che deteneva un ruolo importante negli alti ranghi della municipalità. La decisione del Consiglio del Principato nel 16 febbraio 1462 fu quella di organizzare un esercito, al fine di castigare ferocemente i ribelli e far fallire contemporaneamente l’intento della monarchia di ristabilire le proprie funzioni in Catalogna, decretando, in questo modo, l’inizio della rottura tra realisti e indipendentisti467. A nulla valse l’ulteriore disperato tentativo compiuto da Giovanna il 27 marzo di risolvere diplomaticamente le agitazioni catalane rivolgendosi direttamente ai consiglieri della città di Barcellona, affinché facessero eseguire il provvedimento

VIVES, Juan II cit., p. 243; SOBREQUES I VIDAL, El setge de la Força cit., pp. 4-6.

465 Il sogno era quello di organizzarsi in repubblica governata dal patriziato,

sul modello veneziano e genovese, VICENS I VIVES, Juan II cit., p. 249.

466 Quando ci furono i primi sentori della guerra civile, la bassa nobiltà

appoggiò il sovrano, il quale ne approfittò per guadagnarsi ampi consensi anche tra la popolazione contadina e dei cosiddetti labradores. A capo delle truppe di

remença ci fu un personaggio famoso di nome Francesc Vernallat, militare

catalano, membro della bassa nobiltà che lottò contro le forze militari della

Generalitat in supporto di quelle di Giovanni, cfr. J.S. SOBREQUÉS I CALLICO, La guerra civil catalana, I, p. 58.

467 S

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da lei emanato che prevedeva l’immediata cessazione delle persecuzioni «contra los homnes dits de remença e per assistència fer als seniors e més per punir tots aquells qui han tractat, tracten e tractaran contra e en derogació de la capitulació per la magestat del senyor rey al dit Principat»468.

§ 1.2 L’assedio di Girona

Giovanni II, dichiarato oramai nemico dei catalani e deposto dal trono, per tentare di risolvere la situazione che era oramai precipitata, cercò un rifugio nella torbida alleanza offerta da Luigi XI di Francia, per cercare di accordarsi con lui469. L’accordo di Baiona, firmato il 9 maggio 1462, garantiva l'aiuto della Francia al rinnegato re catalano-aragonese, al fine di restaurare la autorità del Trastamara nel Principato di Catalogna, in cambio della restituzione alla Francia dei contadi di Rossiglione e Serdagna470. Il risultato negativo dei tentativi di accordo con il

Consell de Cent aveva provocato panico e disperazione in Giovanna che pensò dapprima di fuggire da Girona poi, davanti alle garanzie di soccorso da parte della fazione realista cittadina, si rifugiò insieme al figlio alla Força Vella di Girona, confidando in un repentino aiuto del marito e sperando in quello della città di Perpignano. Infatti, aveva fatto pervenire ai consoli e ai consiglieri della città francese una lettera dai toni sconfortati in cui, «sabents lo perill e necessitat en que siam», veniva richiesto un immediato soccorso militare al fine di «restituir e defendre nostra reyal persona e del dit illustrissimo

468 ACA, CDR, Corrispondencia, n. 16.

469 Vennero emanati bandi che dichiaravano nemici pubblici anche tutti coloro che

coadiuvavano il re in questa impresa bellica, tra gli altri: Pere de Urrea, arcivescovo di Tarragona, Lluis Despuig, maestro di Montesa, Joan de Cardona i de Prades, conte di Prades, si veda J.S. SOBREQUÉS I CALLICO, Extraterritorialitat

del poder polític del consell de cent durant la guerra civil catalana del segle XV, in El món urbà a la Corona d’Aragó del 1137 als decrets de nova planta. XVII

Congrés d’Historia de la Corona de Aragón (Barcelona-Lleida, 7-12 septembre 2000), 3 voll., III, Barcelona 2003, p. 926.

470 «L’accordo di Baiona è il segno di come il sollevamento catalano mise un

punto finale alla prima fase della politica mediterranea di Giovanni II d’Aragona, incominciata male e proseguita peggio», cfr. CASULA, La Sardegna

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primogènit»471.

I deputati del Consell de Cent, da parte loro, cominciarono una strategia diplomatica che aveva come obiettivo quello di attirare a poco a poco dalla parte del Principato e contro il Trastamara tutti gli stati facenti parte dell’Unione catalano- aragonese. Il 21 luglio, in accordo con tale piano, fu inviato nei Regni di Sardegna e di Sicilia il cittadino barcellonese Manuel Fenolleda, al fine di informare le autorità locali della guerra appena scoppiata e per accattivarsi la complicità loro e dei nobili che avrebbero potuto prestare un supporto finanziario, nella speranza di vedere concretizzarsi i loro sogni di autonomia feudale472.

Allarmato da questo disegno strategico, il re emanò - e la regina successivamente confermò - la proibizione di esportare cereali da tutte le terre del Regno di Sicilia verso i territori ribelli appartenenti alla Corona d’Aragona: «Prohibió el rey que forment o altres vitualles o cavalls alguns sien trets d’aqueix regne nostre de Sicília en anvils o fustes per portar los en la ciutat de Barcelona», stabilendo di dirottare tutte le merci siciliane esportate verso il porto di Valenza473. Simili provvedimenti furono presi anche per il Regno di Sardegna e Corsica, come testimonia un memoriale emanato da Giovanni il 15 dicembre 1462, nel quale ordinò al viceré Nicolò Carròs di perseguire penalmente contro i consiglieri di Castel di Cagliari che avrebbero impedito volontariamente il rifornimento di frumento a discapito della città di Tarragona, in quel momento in difficoltà per la sommossa appena scoppiata, e dispose perentoriamente che venissero puniti tutti coloro che in qualsiasi modo si fossero resi complici di tale reato. Stabilì pene severe anche per chiunque avesse aiutato e difeso i ribelli regi sia in territorio catalano che in quello sardo. Inoltre, il re estese il divieto di effettuare qualsiasi esercizio commerciale o di

471 ACA, CRD, Corrispondencia, n. 20. 472 S

OBREQUÉS I CALLICO, Extraterritorialitat del poder polític cit., p. 926.

473 ACA, CRD, Corrispondencia, n. 22; V

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intraprendere attività mercantile tra la città di Alghero e quella di Barcellona, stabilendo, peraltro, di indirizzare i prodotti sardi verso altre rotte favorevoli al re, così come era stato già ordinato anche relativamente ai Regni di Maiorca, Aragona, Valenza e Sicilia. Ammonì a questo proposito il marchese di Oristano, insieme ai suoi vassalli, colpevoli di aver rifornito di 2.000 quintars di formaggio, lana e altri prodotti al mercante barcellonese Oliver, la cui nave era approdata a Capo San Marco, di fronte a Oristano, per esercitare come di consueto la sua attività di scambio. All’ammonimento sarebbe seguita l’imposizione di una grave pena se il marchese avesse proseguito nelle sue attività dichiarate da quel momento illecite474.

A questa vera e propria dichiarazione di guerra, seguì una serie di istanze di aiuto da parte dei sovrani catalano-aragonesi, in virtù dell’obbligo di fedeltà e obbedienza a cui dovevano assoggettarsi tutti i vassalli regi e i sudditi. Il 22 maggio, infatti, la regina ordinò al fedele Francesc Gilabert de Centelles, conte di Oliva e massimo esponente feudatario del Capo di Logudoro nel Regno di Sardegna e Corsica, di provvedere «a la custodia e defensió nostra e del dit illustre primogènit e que en la persona nostra e sua no sia feta alguna violència, iniúria o contumèlia»475. Si rivolse, inoltre, ai fedeli religiosi del Regno di Aragona, ai jurats e buoniuomini di Saragozza, allo stamento ecclesiastico e militare del Regno di Valenza e ai jurats e buoniuomini della città valenzana, per chiedere soccorso poiché «el tiempo no lo comporta e nostra turbación és tanta»476. Come

135.

474 ACA, Canc. reg. 3398, ff. 95-97, ff. 98-98v.

475 ACA, CRD, Corrispondència, n. 21. Il conte di Oliva partecipò attivamente

all’assedio della fortezza di Girona. Sappiamo, inoltre, che fu presente anche in altre circostanze ufficiali come, ad esempio, in occasione del giuramento dell’infante Ferdinando in qualità di luogotenente nel Regno di Valenza, cfr. VICENS I VIVES, Historia critica cit., p. 253. Per questo motivo, il sovrano ebbe

sempre un occhio di riguardo verso tale nobile famiglia anche verso i familiari più stretti del conte: il 19 maggio del 1470, il Trastamara informò il viceré e il veguer di Castel di Cagliari di aver assegnato l’ufficio di «cap de guayte» della suddetta città a Giovanni Gilabert de Centelles per i servigi resi dal fratello Francesc alla persona del re, cfr. ACA, Canc. reg. 3402, ff. 4-5v.

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segno di riconoscenza del suo aiuto, nel novembre 1462, Giovanni ordinò ai consiglieri e probiuomini di Alghero di consentire al conte di Oliva di transitare verso le acque catalane per trasportare una certa quantità di frumento dal porto della città del corallo in direzione del Regno di Valenza per far fronte all’urgenza di approvvigionare le terre in difficoltà a causa della guerra477.

Seguì il primo tragico episodio bellico, passato tristemente alla storia come l’assedio della fortezza di Girona durante i mesi di giugno e luglio. Precisamente, il 5 giugno l’esercito del Principato, guidato dal conte Pallars che annoverava 3.000 uomini, arrivò all’Hostal Nou de Riudellots de la Selva, a pochi chilometri da Girona, per proseguire l’indomani, giorno di Pentecoste, verso la città, dove vi giunse riuscendo a oltrepassare le mura della fortezza chiamata Força Vella, malgrado la disperata resistenza dei cittadini votati alla causa regia. Contemporaneamente il re detronizzato entrava a Lleida a capo di un esercito composto da quanti avevano risposto alla sua richiesta disperata di soccorso militare, determinando l’impossibilità di raggiungere una risoluzione pacifica e dando inizio ad una lunga lotta armata478.

L’assedio alla fortezza di Girona durò ben sei settimane, durante le quali la regina e il figlioletto poterono avvalersi del sostegno morale e materiale di diverse personalità provenienti da tutte le parti dei territori della confederazione che resistettero alla ribellione. L’anima della resistenza fu Lluís Despuig, maestro di Montesa, che ebbe il merito di salvare la monarchia da un destino di decadenza, se la regina e l’infante fossero caduti sotto le armi del conte di Pallars479. Tra i tanti personaggi che si

477 ACA, Canc. reg. 3398, ff. 181v-182.