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L A POLITICA MEDITERRANEA DI G IOVANNI II D ’A RAGONA TRA IL 1458 E IL

2. Il Mediterraneo al tempo di Giovanni

§ 2.1 La situazione catalana alla vigilia della guerra civile

Il Principato di Catalogna era sconvolto da tensioni sociali ed economiche piuttosto gravi a causa della politica assenteista del suo sovrano continuamente impegnato nelle campagne svolte in Italia. Questa situazione, che nel corso del XV secolo raggiungerà un punto cruciale, aveva origini più antiche ed era dettata da esigenze complesse e difficili che interessavano l’intero territorio catalano e le classi sociali in maniera totalitaria89.

Agli inizi del XIV secolo, la crescita delle realtà urbane catalane e l’espansione della Corona d’Aragona nel Mediterraneo provocò un vertiginoso calo della popolazione rurale, accentuato dalla Peste Nera del 1348, che aveva mietuto numerosissime vittime. La situazione che si presentava nelle campagne era piuttosto grave: ancora una parte dei contadini era in una condizione di servitù, sottoposti a quelli che erano definiti mals usos, voluti dai proprietari terrieri che volevano sfruttare il più possibile l’ampia riserva di manodopera offerta dai contadini in un momento in cui essa stessa era scarsa e a bassi costi, se non addirittura gratuiti. Inoltre, la nobiltà approfittando delle

88 ACA, CRD, Papeles varios, n. 1.

89 L’emancipazione dei paesi soggetti ancora alla servitù fu una problematica

piuttosto contorta, che interessava non solamente l’ambito economico dei paesi a carattere agricolo, ma rappresentava un mero problema globale di tutto il Principato catalano, sull’argomento si veda J. VICENS VIVES, Historia de los Remensas (en el siglo XV), Barcelona 1978, p. 11.

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difficoltà della situazione, cominciò a rafforzare con durezza le regole cui dovevano sottostare i contadini e ad aumentare i diritti e i privilegi dei baroni90. Esisteva poi un’altra classe di contadini non liberi, chiamati di remença, alcuni dei quali benestanti dal punto di vista economico e che, sentendo maggiormente l’umiliazione del loro stato, aspiravano alla libertà, sperando di poter utilizzare le proprie ricchezze per convincere le autorità a decretare il riscatto del loro status91. All’inizio del XV secolo questa categoria di contadini contava circa 20.000 unità familiari solo nel Principato di Catalogna, cifra su cui i re della Corona d’Aragona speravano di rimpinguare le proprie casse. Alla monarchia, sempre in lotta con la nobiltà, interessava accattivarsi la fiducia dei contadini per avere dalla sua parte una forza indipendente92. Tuttavia i signori altolocati, che si opponevano a qualunque concessione che favorisse i contadini, intrapresero una lunga resistenza che avrebbe dato luogo a un periodo di profonde tensioni. Da parte loro, tra i remenças vi era un gruppo oltranzista e radicale che non era disposto a rinunciare alle proprie pretese sotto la minaccia di una sommossa popolare. La monarchia, divisa tra i desideri di

90 A

BULAFIA, I Regni del Mediterraneo cit., p. 212.

91 Il termine remença, dal latino redimentia, aveva originariamente l’accezione

del riscatto che i contadini dovevano pagare al proprio signore per abbandonare la terra che lavoravano; successivamente tale significato si estese a tutti i coltivatori che si trovavano in questa condizione. Giuridicamente erano uomini liberi, ma limitati dai vincoli che li univano alla proprietà che coltivavano e, quindi, dal signore presso cui lavoravano. Sull’origine e il processo di formazione di questa classe sociale ci sono molti studi oltre al già citato Vicens i Vives: E. DE HINOJOSA, El régimen señorial y la cuestión agraria en

Cataluña durante la Edad Media, Madrid 1905; ID., La servidumbre en Cataluña

durante la Edad Media, in «Obras» I, (1948), pp. 217-229; ID., La pagesia de

remensa en Cataluña, in «Obras» II, (1955), pp. 11-31; W. PISKORSKI, El problema

de la significación y del origen de los seis malos usos en Cataluña, Barcelona

1929; A. JORDÁ FERNÁNDEZ, Los remensas: evolución de un conflicto jurídico y

social del campesinado catalán en la Edad Media, in «Boletín de la Real Academia

de Historia» CLXXXVII, Cuaderno II, (mayo-agosto 1990), pp. 217-229; G. FELIU I

MONFORT, El pes ecònomic de la remença i dels mals usos, in »Anuario de Estudios Medievales» 22, (1992), pp. 145-160; ID., Els antecedents de la remençai els

mals usos, in «Quaderns de la Selva. Estudi en honor de Pons Guri» 13, (2001),

pp. 209-228; L. TO FIGUERAS, Drets de justícia i masos: hipòtesi sobre els orígens

de la pagesia de remença, in «Revista d’Història Medieval» 6, (1995), pp. 141-

149.

92 A

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emancipazione dei contadini e il delirio di onnipotenza dei signori, determinati a difendere i privilegi di cui godevano, decise di proseguire con la politica di compromesso intrapresa dai sovrani sin dal XIV secolo, politica che avrebbe assicurato una moderata concordia fra le parti. Alfonso decise, infine, di concedere ai remenças di riunirsi in una sorta di sindacato e di limitare gli abusi degli aristocratici, passo che faceva preludere l’intenzione regia di affrancarli; ciò avvenne nel 1455 quando il re emanò il decreto di emancipazione93.

Il disagio della situazione si manifestò anche in ambito costituzionale, quando le Corts catalane, che rappresentavano l’opposizione degli aristocratici ai contadini di remença, obbligò la monarchia a ritirare il suo sostegno ai contadini con la revoca del decreto di emancipazione, erogando in cambio l’assegnazione di 400.000 fiorini. Una volta che il sovrano ebbe ritirato il decreto, però, le corts fecero un passo indietro e ritrattarono il generoso conferimento, riproponendo una nuova emanazione del decreto nel 145794.

Alla crisi sociale e costituzionale si aggiunsero anche tensioni di carattere economico nelle città dove ci furono chiari e significativi segni di malcontento tra i cittadini intransigenti. Nella città di Barcellona la situazione economica, pur essendo ancora brillante per molti aspetti, manifestava già da qualche tempo veri e propri squilibri strutturali. Si crearono due fazioni contrapposte: quella popolare di Barcellona, chiamata Busca, formata da mercanti, bottegai e artigiani, che aspirava a controllare il governo municipale barcellonese, al fine di ottenere privilegi e misure protezionistiche e di far cedere l’antagonista Biga, formata dalla vecchia aristocrazia e dall’oligarchia urbana. La Busca aveva un ricco programma di riforma economica, chiamato redreç, volto a risolvere i problemi quali il fabbisogno di denaro e il ribasso dei prezzi dei

93 Alfonso concesse nel 1448 il permesso di aggregarsi in sindacato e reperire

denaro da versare alla curia, al fine di ottenere l’intervento regio per abolire i mals usos, cfr. VICENS VIVES, Historia de los Remensas cit., p. 49.

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beni di prima necessità, mentre la Biga, foraggiata dal governo municipale, tendeva a intimorire la monarchia e a obbligarla a rettificare la sua linea di condotta a favore della fazione rivale. Il sovrano catalano-aragonese, infatti, mantenne al principio un atteggiamento ambiguo appoggiando ora l’una ora l’altra fazione; alla fine si schierò dalla parte della Busca nei suoi provvedimenti antioligarchici, nella speranza di piegare alla sua autorità le Corts95.

Anche le banche delle città erano in crisi sin dagli anni ‘80 del XIV secolo e neppure la creazione nel 1401 di un istituto di credito pubblico, denominato Taula de Canvi, aveva contribuito a far acquisire la fiducia nelle finanze pubbliche, sebbene tale istituto riuscisse a ottenere un pieno controllo del bilancio della città96. In effetti, era in atto una tendenza che rallentava gli investimenti diretti nel commercio - o talvolta gli fermava - a favore di una politica di acquisizione di obbligazioni e contratti assicurativi, che alcuni hanno considerato nocivi per le infrastrutture economiche. Barcellona, nello specifico, insieme a Valenza, Maiorca e Siviglia, era una grande piazza finanziaria e sede di aziende impegnate anche nelle operazioni bancarie, che si consolida proprio nel corso del ‘400. La città catalana si afferma come una piazza dirigente, che guida gli affari, comanda le altre piazze e dove si concludono le operazioni finanziarie e quelle assicurative97. La questione tanto discussa del declino che

94 V

ICENS I VIVES, Els Trastamaras cit., pp. 166-167.

95 D

EL TREPPO, L’espansione catalana cit., p. 286. Una delle prime misure della

Busca fu quella di decretare l’aumento del valore della moneta chiamata

‘croats’, aumento che il Magnanimo approvò senza indugio, SOBREQUÉS I CALLICO, La guerra civil cit., I, p. 46.

96 A

BULAFIA, I Regni del Mediterraneo cit., pp. 212-213.

97 F. M

ELIS, L’area catalano-aragonese nel sistema economico del Mediterraneo

occidentale, in La Corona d’Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni da Alfonso il Magnanimo e Ferdinando il Cattolico (1416-1516). Atti del IX

Congresso di Storia della Corona d’Aragona, 3 voll., I, Napoli 1978, pp. 191- 209. Sulle piazze finanziarie dove si svolgevano numerose operazioni bancarie si legga anche W. KÜCHLER, Les finances de la Corona de Aragón al segle XV. (Regnats

d’Alfons i Joan II), València 1997, trad. sp. Per una visione d’insieme si

rimanda a M. TANGHERONI, Aspetti economici dell’espansione catalano-aragonese

nel Mediterraneo, in La Corona de Aragón en el Mediterráneo. Un legado común para Italia y España (1282-1492), Catalogo della mostra (Barcellona, novembre-dicembre

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Barcellona subirà a partire dalla seconda metà del XV secolo, declino aggravato dalla guerra civile del 1462-’72 e da cui non si riprenderà, è da rintracciare nella sua struttura a carattere prettamente commerciale e nel suo inserimento, ormai saldo, all’interno di un’economia di grandi spazi. Infatti, mutuando le considerazioni cui è giunto Del Treppo, dieci anni di guerra civile non avrebbero causato conseguenze così disastrose per un’economia di tipo agricolo e pastorale, che può riprendersi dalle distruzioni di una guerra in tempo relativamente breve; la prosperità di Barcellona, invece, era fondata, come abbiamo avuto già occasione di dire, sul grande commercio internazionale, su attività di tipo speculativo, in correlazione alla sua particolare posizione (banca, cambio, assicurazione …); attività in gran parte legate al capitale straniero, alla marina e all’industria tessile e, quindi, fondate inevitabilmente sul mantenimento di relazioni internazionali con altre potenze, relazioni che si interromperanno bruscamente durante il decennio della guerra98. Durante i dieci anni di guerra la Catalogna, e soprattutto Barcellona, precipitarono in uno stato di economia di sussistenza, che segnò un’interruzione delle suddette attività. L’unica che riuscì a resistere, grazie al supporto politico, fu l’industria che subito riprese il controllo dei mercati mediterranei occidentali (Sicilia, Sardegna, napoletano) e orientali. Il motivo della paralisi economica si evince considerando che l’economia mercantile di Barcellona aveva «limiti e deficienze intrinseche alla sua struttura», che si erano palesate anche nei periodi di maggior sviluppo. I successi dell’espansione mediterranea, ottenuti nel corso dei secoli XIII e XIV grazie all’appoggio della Corona, mascherarono queste lacune. Solo nel XV secolo con l’emergere di altre potenze economiche europee (Genova, ma soprattutto Maiorca e Valenza), Barcellona non fu più in grado di

98 Sebbene tali condizioni fossero già state compromesse dalla politica del

Magnanimo, M. DEL TREPPO, I mercanti catalani e l’espansione della Corona d’Aragona

nel XV secolo, Napoli 1972, pp. 587-588. Sulla crisi interna a Barcellona si veda

anche la fondamentale opera di C. BATLLE GALLART, La crisi social y económica de

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nascondere la sua inferiorità tecnica e mercantile99.

§ 2.2 Il Mediterraneo alla vigilia della guerra civile

La tendenza di Giovanni II era quella di seguire una politica continentale piuttosto che mediterranea. Il monarca avrebbe evidentemente rinunciato agli inconvenienti della politica mediterranea da cui, invece, era sempre stato attratto suo fratello Alfonso, al quale aveva più volte consigliato di abbandonare le sue intenzioni espansionistiche nel Mare Nostrum.

L’assoluta incompatibilità politica dei due fratelli si evince dal principale, e unico, affare che il terzo Trastamara, diventato nuovo sovrano della Corona d’Aragona nel 1458, voleva intraprendere: la conquista - e la conseguente annessione alla confederazione catalano-aragonese - del Regno di Castiglia. In questo senso il nuovo sovrano incarnava l’indole continentale dei Trastamara e realizzava concretamente il disegno che gli era stato affidato dal padre in punto di morte: la difesa dell’eredità castigliana della famiglia100.

Tuttavia, c’era un elemento che rendeva vincolante il suo intervento politico e diplomatico nelle questioni mediterranee e che lo persuaderà, suo malgrado, ad avere cura e a tutelare i territori del bacino occidentale del Mediterraneo che i suoi predecessori avevano conquistato nei secoli precedenti: la flotta reale catalano-aragonese, che rappresentava un patrimonio prezioso per molte potenze europee negli anni 1458-1462101.

§ 2.2.1 Napoli

Soprattutto dopo la scissione dei possedimenti della Corona d’Aragona voluta da Alfonso, il mantenimento di una dinastia catalano-aragonese sul regno napoletano era legata indissolubilmente all’egemonia della flotta catalana nel Mediterraneo occidentale. Il Regno di Napoli, infatti, senza la

99 D

EL TREPPO, I mercanti catalani cit., p. 589.

100 V

ICENS I VIVES, Joan II cit., p. 215; ID., Els Trastamàres cit., p. 150.

101 J. V

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protezione di un imponente esercito marittimo sarebbe stato preda delle aspirazioni dei genovesi, che vantavano la complicità della Francia e che guardavano con molta attenzione i territori del Mediterraneo occidentale, dopo le difficoltà incontrate in Oriente a causa della pressione mongola e turca; dei veneziani che proseguivano con il programma di espansione verso l’interno della penisola italiana102; infine, dei turchi ottomani che, dopo la caduta di Costantinopoli del 1453 da parte di Maometto II, rappresentavano il precipuo pericolo occidentale e cristiano103.

§ 2.2.2 Papato

All’indomani dall’ascesa al trono di Giovanni II, anche il papa Pio II, il celebre umanista Enea Silvio Piccolomini, scelto per amministrare la vita della Chiesa, si rivolse alla flotta catalano-aragonese nel tentativo disperato di riprendere convenientemente l’antico progetto del suo predecessore Callisto III di bandire una crociata per debellare definitivamente il pericolo turco e incitare i principi cristiani a intraprendere l’offensiva con un’armata invincibile104. Il papa, in virtù della sua politica filoaragonese che lo portava ad appoggiare nel napoletano Ferrante contro le rivendicazioni angioine, indisse un’assemblea a Mantova nel 1459, al fine di organizzare le forze crociate e decidere chi sarebbe stato il capitano designato per comandare vantaggiosamente la formidabile spedizione. Nell’autunno del 1459, si credeva che la persona più adatta a condurre l’impresa fosse Francesco Sforza, il duca di Milano, e che la decisione della Santa Sede si indirizzasse verso di lui. Invece, Pio II pensava al nuovo re della Corona d’Aragona, e,

1458-1478, Madrid 1952, p. 45.

102 M. T

ANGHERONI, Il Mediterraneo bassomedievale, in Storia medievale, Roma, Donzelli 1998, p. 480.

103 Sul graduale processo dell’espansione ottomana che culminerà con la caduta di

Costantinopoli del 1453 considerato come il catastrofico inizio di una nuova era, si veda E. ASTHOR, Storia economica e sociale del Vicino Oriente nel

Medioevo, Torino 1982.

104 V

ICENS I VIVES, La politique mediterranéenne cit., pp. 184-196; E. PONTIERI,

Alfonso I d’Aragona e la “crociata” di Callisto III, in «Atti della Accademia

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successivamente, mediante gli ambasciatori aragonesi e il suo fedele nunzio Stefano de Pardines, invitò Giovanni II ad accogliere il suo invito e prendere nelle sue mani la direzione e il comando dell’impresa cristiana105. Il sovrano, sebbene non fosse per niente interessato a una crociata antiturca e tanto meno agli affari italiani, non poteva ignorare la richiesta del papa e soprattutto aveva l'interesse di praticare una politica di prestigio che lo accreditasse agli occhi dello stesso Pio II, del nipote Ferrante, del re di Francia e della popolazione del Regno di Sicilia, presso cui si trovava in quel momento per sistemare il figlio Ferdinando sul trono e per ingraziarlo agli occhi dei siciliani al posto di Carlo di Viana106. Perciò, rientrato a Valenza, il 23 marzo 1459, Giovanni II scrisse una lettera a Jaucme Garcia, «scrivà e tenint les claus» dell’Archivio regio di Barcellona, nella quale gli ordinava di recuperare dall’archivio della capitale catalana tutte le istruzioni e procure emanate nel corso dei secoli dei suoi predecessori attestanti i giuramenti e gli omaggi di fede prestati ai Capi della Chiesa di Roma, disponendo di inviarli per conoscenza ad Antonio Nogueras, consigliere e protonotario: «…pregam, encarregam e manam que ab exactissima cura e diligència de continent ho requieu en los registres e altres scriptures de nostre archiu de Barchinona, de que vos haveu carrech per nós e de quesvulla, que sobre açò trobareu o de instructions o procures que per los dits nostres predecessors tocant aquesta materia…»107.

Ciononostante, il 4 giugno 1460 Pio II emanò una bolla dove dichiarava che Giovanni II era obbligato a rispettare la sua decisione non come sovrano della confederazione catalano-

filologiche» 29, (1975), pp. 61-68; NAVARRO SORNÍ, Callisto III cit., pp. 417-423.

105 V

ICENS I VIVES, La politique mediterranéenne cit., pp. 184-196; ABULAFIA, I Regni

del Mediterraneo cit., pp. 221-222. Sul Congresso di Mantova si legga anche ID.,

Ferrante I of Naples, Pope Pius II and the Congress of Mantua (1459), in Studies in the crusades in honour of H.E. Mayer, a cura di B.Z. KEDAR E J. RILEY-SMITH, Aldershot 1997.

106 A

BULAFIA, I Regni del Mediterraneo cit., p. 222.

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aragonese, ma come re di Sardegna e Sicilia108.

Il re decise, quindi, di inviare un'ambasciata presso il papa condotta dal vescovo d'Elna, Joan Margarit, il vicecancelliere Joan de Gallach, il procuratore reale alla corte romana Francesc Ferrer e il connestabile di Navarra, Pierres de Peralta, al fine di stabilire i tempi e le modalità di una campagna antiturca da intraprendere via mare e via terra in accordo con il duca di Milano Sforza109. L’obiettivo di Giovanni II era quello di consolidare la sua amicizia con Pio II per avere un prezioso e potente alleato che in qualche modo seguisse per lui le vicende italiane e, nella fattispecie, le questioni napoletane. Così, Giovanni II abolì la disposizione di Alfonso il Magnanimo che stabiliva il placet regio sui diplomi e su tutti gli scritti papali, disposizione che tanto aveva disturbato Callisto III, riservando alla decisione regia, però, certe preminenze, diritti e prerogative. Ma per quel che concerne la guida della crociata antiturca, Giovanni II, impegnato nella sua politica continentale, scrisse al papa da Tudela comunicandogli che non avrebbe accettato il suo invito, garantendogli, tuttavia, il suo supporto con l’invio di 30 galere e 10 navi, al fine di perorare la causa antiturca110.

§ 2.2.3 Firenze

Anche Firenze conosceva bene il peso della flotta catalano- aragonese nella politica mediterranea contemporanea. La città medicea, la cui tradizionale inclinazione francofila era stata la causa di una recente rottura con Alfonso il Magnanimo, aveva considerevoli interessi commerciali, soprattutto verso i lidi del Mediterraneo orientale. In seguito alla caduta dell’impero bizantino, caduta che imponeva una nuova valutazione dei problemi

108 V

ICENS I VIVES, Joan II cit., p. 171.

109 J.S. S

OBREQUÉS I CALLICO, L’afer de les diocesis catalanes vacants en 1457-1460 i la politica italiana de Joan II, in La Corona d'Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico (1416-1516), Atti

del IX Congresso di storia della Corona d'Aragona (Napoli 11-15 aprile 1973), 3 voll., III, Palermo 1984, pp. 327-345.

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del Mediterraneo, le principali vie di comunicazione battute dai mercanti fiorentini divennero quasi impraticabili, e mantenere rapporti commerciali con il ricco mercato asiatico risultò praticamente impossibile111.

Inoltre, vi era il problema sempre più grave dei pirati e dei corsari, che attendevano sulle loro rotte le navi fiorentine che tornavano dai porti levantini verso Porto Pisano. Mancando di una flotta propria, Firenze aveva cercato un ammiraglio straniero per proteggere i suoi marinai dagli attacchi della pirateria provenzale, genovese e sarda112. Come Pio II, anche i Medici si rivolsero a un catalano per chiedere protezione, scegliendo l’illustre ammiraglio del re Bernat de Vilamarí dotato di capacità tecniche e di lunga esperienza, il quale già sotto Alfonso il Magnanimo aveva comandato la vittoriosa controffensiva catalano- aragonese contro i Genovesi degli anni 1456-1458113. Sappiamo dalle stesse fonti fiorentine, che nel febbraio 1460 il governo della Repubblica chiese al Vilamarí di liberare alcuni prigionieri fiorentini catturati da uno dei suoi luogotenenti, mossèn Siscallo, appellandosi alla buona e lunga amicizia che da sempre esisteva tra l’ammiraglio e la Signoria. I rapporti pacifici tra Vilamarí e Firenze, si fecero ancora più stretti tra il 1461 e il

111 G. C

IPRIANI, Firenze, capitale dell’Umanesimo e dell’equilibrio italiano, in I

secoli del primato italiano: il Quattrocento, vol. 8, parte terza di Storia della società italiana, Milano 1988, p. 354.

112 Nel corso del XV secolo i pirati e i corsari incrementarono la loro presenza

nel Mare Nostrum approfittando degli scontri tra le potenze cristiane e musulmane per guadagnarsi il predominio nel bacino del Mediterraneo, aiutando convenientemente ora l’una ora l’altra potenza, si veda a tale proposito P.F. SIMBULA, Corsari e pirati nei mari di Sardegna, Cagliari 1993; ID., Commercio,