II. Dal gusto al disgusto
3. Il romanticismo e la nuova prospettiva sul disgusto
A partire dagli anni ’80 del Settecento e poi per tutto l’Ottocento, l’ideale della bellezza classica decade e il disgustoso viene incorporato nell’arte attraverso le poetiche del grottesco, della defigurazione e dell’ironia. I motivi di questa trasformazione, a cui accennavamo già nel primo capitolo, sono sostanzialmente tre: il primo è legato alla gerarchia delle arti, poiché il posto che nel Settecento occupavano la pittura e la scultura, viene ora occupato dalla musica, la quale ha un legame più debole con il disgusto, dal momento che quasi nessun teorico ha preso in considerazione la possibilità di disgusto per l’udito e Kolnai sembra addirittura escludere questa possibilità; il secondo fattore è costituito dal fatto che il genio trionfa sul gusto, vale a dire che viene ricercata la capacità di essere sempre nuovi e diversi e questo si oppone alla ricerca settecentesca di un ideale classico di bellezza da fissare. Il genio, infatti, è colui che rompe le regole e funge da regola a se stesso. Infine, il terzo motivo è costituito dal fatto che l’estetica passa dall’essere soggettiva all’essere oggettiva, vale a dire che il bello non è più concepito come il correlato del sentimento di piacere, bensì come l’apparire oggettivo dell’Idea, dell’Assoluto. Scrive Menninghaus:
L’ermeneutica e la dialettica danno quindi il proprio contributo all’incorporazione del disgustoso. Anzi, la comprensione ermeneutica si realizza proprio di fronte all’estraneo e al diverso e,
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generalmente, mira a un’integrazione totalizzante, invece che a una purificazione artistica realizzata attraverso l’esclusione. Similmente, l’estetica dialettica tende a non lasciare che il negativo rimanga semplicemente negativo, ma lo riporta nella dinamica del positivo.67
Il disgusto viene percepito come l’esito estremo di una estetica classica ormai in crisi e come l’elemento caratterizzante di una nuova estetica moderna dello shock. In questo contesto, si inserisce il capitolo Sul disgusto appartenente a L’estetica del brutto di Rosenkranz. Si tratta di una trattazione unitaria del tema, la prima dopo lo scritto di Schlegel e la ottantaduesima lettera sulla letteratura di Mendelssohn, e che, quindi, va tenuto in seria considerazione. La sua analisi del disgusto è guidata esclusivamente dal tema della putrefazione ed egli non sembra conoscere e riprendere nessuno degli elementi presi in considerazione negli scritti precedenti del dibattito settecentesco sul tema. Riporto uno stralcio del passo citato da Menninghaus: «Ma per il concetto di nauseante in senso stretto dobbiamo aggiungere la determinazione della corruzione: essa contiene quel divenire della morte che non è tanto uno sfiorire e un morire, quanto piuttosto l’imputridire del già morto.»68
Il dibattito ottocentesco, dunque, si sofferma molto sulla distinzione tra organismo e meccanismo: solo la vita organica può essere disgustosa, poiché essa sfugge al determinismo di causa ed effetto e lascia spazio alla libertà, la quale è proprio ciò che decade quando compare il disgusto. Non è la morte in quanto tale a costituire un problema per Rosenkranz, bensì il rifiorire di ciò che è già morto nella putrefazione, che rappresenta un percorso inverso e perverso rispetto al normale corso delle cose.
Già Tieck, che può essere considerato un pre- romantico, nell’ Alten Buch del 1835, ritiene che il disgusto abbia il significato di una tendenza a scambiare la vera libertà con quella falsa e lo definisce come un desiderio malato. E infatti Menninghaus commenta:
il diletto deliberato per l’“abiezione” e il “bel disgusto” riproducono nelle strade e nei salotti la stessa immagine “di una terribile putrefazione”, di una putrefazione dell’“uomo di oggi” nel suo stesso corpo ancora vivente. Gli elementi di questa putrefazione non sono più liquame, ratti e vermi, ma un’avida impotenza, una noia satura, un cinismo altezzoso, una viziosa sconsideratezza, un’immoralità sfacciata e geniale, una beata dedizione al male.69
67 Ibidem, P. 181 68 Ibidem, P. 193 69 Ibidem, Pp. 195-196
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L’estetica del romanticismo porta con sé un profondo disgusto per il disgusto da lei integrato, quello che Menninghaus definisce «un’avversione normativa per il suo stesso oggetto»70 e la
descrive in questo modo:
Il romanticismo vede chiaramente l’attualità del disgustoso e l’universalità metapsicologica di un piacere per la propria decomposizione, ma allo stesso tempo attribuisce a sé stesso una resistenza alla complicità fiera e “indulgente” con questo potere del disgustoso. Questa resistenza nel campo del disgusto al disgusto assume regolarmente l’aspetto di una fedeltà (conservatrice) a un “autentico” romanticismo, che da parte sua è vincolato alla regola classica del bello.71
Va presa in considerazione anche l’accusa rivolta da Schopenhauer nei confronti del disgustoso inteso come eccitazione della volontà, che rende il soggetto schiavo della volontà stessa. Scrive Schopenhauer:
Il sentimento del sublime, abbiamo visto, deriva dal fatto che una cosa recisamente ostile alla volontà, diviene oggetto di contemplazione pura; contemplazione che si può prolungare soltanto in virtù di un completo distacco dalla volontà e di un’elevazione al disopra del proprio interesse: il che costituisce, appunto, la sublimità di un simile stato d’animo. L’eccitante, al contrario, distoglie lo spettatore dallo stato di contemplazione pura che si richiede alla concezione del bello, seducendo la volontà con la vista di oggetti che immediatamente la lusingano; così lo spettatore non si mantiene più all’altezza di puro soggetto di conoscenza, ma si riduce a semplice soggetto del volere, asservito a tutti i bisogni e a tutte le dipendenze.72
È proprio questa servitù del soggetto alla volontà che rende malato il sentimento e produce quel disgusto per il proprio disgusto, tipico del romanticismo.
Nonostante i tentativi, tra i quali spicca quello rappresentato dalla poesia di Baudelaire, che «libera il piacere per il disgustoso, […] da ogni forma trascendentale di redenzione»73, alla
fine, anche il romanticismo si ritrova a rigettare ciò che aveva cercato di incorporare, poiché ricorre ai caratteri del comico e del grottesco, oppure all’esclusione stessa del disgustoso.
70 Ibidem, P. 192 71 Ibidem, P. 191
72 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Antologia sistematica a cura di Giorgio Brianese, La
nuova Italia Editrice, Firenze, 1998. P. 124
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