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Il ruolo dello Stato nella gestione della crisi

CAPITOLO 3: LA CRISI PROSPETTATA AL MONDO DA MEDIA E POLITICI.

3.3 Il ruolo dello Stato nella gestione della crisi

È stato evidente, dice il nostro sociologo, come il salvataggio delle banche si sia potuto attuare prosciugando i bilanci pubblici in misura tale da rendere ulteriormente necessari prelievi di massa sui redditi dei cittadini, presentando questa come unica soluzione necessaria e giustificandola con una teoria fallace secondo cui quest’ultimi avrebbero goduto e approfittato per almeno una generazione di un eccesso di spesa pubblica, puntando così sulla diffusione tra la popolazione di un senso di colpa. Anche qui appare lampante il ruolo economico svolto dai politici e come essi abbiano agito primariamente quali attori finanziari.

Sia in Europa sia negli Usa, lo Stato ha avuto un ruolo decisivo nella gestione della crisi. Il governo americano e i governi europei hanno agito in modo rapido ed efficace per salvare le banche in difficoltà. Essi hanno sostenuto con apposite leggi la creazione di decine di banche guaste; sono stati prediletti sia versamenti a fondo perduto sia prestiti da rimborsare a condizioni favorevolissime, ed è stata altresì intrapresa la strada della nazionalizzazione di buona parte delle banche: essa è cominciata non negli Stati Uniti ma in Europa nel febbraio 2008 con la nazionalizzazione della Northern Rock, la prima banca britannica dal 1866, teatro tra l’altro di una vera e propria corsa

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agli sportelli. Un po’ più avanti, nel settembre dello stesso anno, il governo britannico nazionalizza le casse di risparmio. Anche in Germania ci sono stati casi di nazionalizzazione cospicui, come ai primi di ottobre del 2009, quando fu nazionalizzata la Hypo Real Estate, una banca specializzata in operazioni immobiliari, attraverso il canale della politica con il versamento, messo a bilancio, di 124 miliardi di euro di garanzie e 8 miliardi di aiuti diretti. Non si può fare a meno di notare, sottolinea Gallino che mettendo insieme tutte queste voci, soltanto tra il 2008 e il 2010, i Paesi dell’Eurozona hanno presentato alla commissione europea domande di impegno o di erogazione da bilanci pubblici per 4600 miliardi di euro, una cifra esorbitante dunque. Non a caso, è qui che il nostro autore si abbandona a una considerazione personale un tantino pungente ma che rende l’idea dell’enorme portata politica ed economica dell’intervento dello Stato:

«Altro che Keynes, viene da dire di fronte all’enormità dell’intervento pubblico messo in opera per salvare le banche. Governi che si astengono dall’investire un euro al fine di creare occupazione, perché a loro giudizio spetta soltanto al mercato provvedere alla bisogna, hanno effettuato una colossale socializzazione di perdite private mediante un esborso di denaro pubblico quale non si era mai vista nella storia»49

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3.4: Le reazioni dei politici di fronte al grave disastro economico e finanziario.

Gallino prosegue la sua trattazione sferrando un duro attacco contro gli interventi, effettuati dai Paesi europei, per far fronte alla crisi e affermando che ci siamo trovati proprio dinanzi a un colpo di Stato bello e buono. Si tratta indubbiamente di un’affermazione molto forte e cruda ma, come sempre nei suoi scritti, essa è sorretta da dettagliate informazioni, documenti e spiegazioni, ragion per cui non appare, agli occhi del lettore, per nulla azzardata.

Egli parla di “colpo di Stato a rate” ovvero di quell’usurpazione di poteri fondamentali attinenti alla sovranità costituzionale dello Stato realizzato dalle istituzioni europee (e in particolare dal Consiglio europeo in collaborazione con la Ce, Bce e Fmi) attraverso l’elaborazione di accordi, patti e trattati internazionali che hanno contribuito sempre di più a erodere la sovranità dei singoli Stati Ue. Secondo Gallino si può far partire questa erosione di sovranità dal Trattato dell’Unione europea, poi integrato e modificato successivamente dal più recente Trattato di Lisbona. In esso, infatti, il nostro autore sostiene che sia già possibile rintracciare gli effetti distorsivi che ha avuto non solo nelle politiche economiche dei rispettivi Paesi europei quanto la perdita di una di quelle caratteristiche alla base della sovranità statale riguardante la facoltà di creare denaro. In effetti, è proprio l’Art. 123 del Trattato50, citato dal nostro autore, a

vietare alle banche centrali, la cui funzione originaria era quella di

50 Versione consolidata del Trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento

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creare denaro per coprire i disavanzi del bilancio statale, di prestare denaro agli Stati. L’effetto distorsivo emerge proprio dalla facoltà delle banche centrali di prestarlo alle banche commerciali a un tasso di interesse dell’1% o meno; al contrario, gli Stati, qualora ne avessero bisogno, devono rivolgersi alle banche commerciali a un tasso di interesse molo più alto, in media del 3-6%. Il divieto agli Stati contenuto nell’articolo, di prendere in prestito denaro dalla loro Banca Centrale dimostra dunque, secondo Gallino, che gli Stati europei hanno perso una quota cospicua di sovranità democratica già nel momento della firma di quel Trattato.

Tuttavia, altri patti e trattati, come ho già accennato in precedenza, hanno contribuito a svuotare la sovranità statale avallando sempre di più la tesi di un Colpo di Stato a rate. In ordine, Gallino fa riferimento

al Patto Euro Plus51, varato dal Consiglio europeo, il 25 marzo 2011, i

cui obiettivi da raggiungere interessavano diverse aree. In particolare:  In tema di competitività, il Patto suggeriva in maniera non troppo

celata di eliminare i contratti nazionali di lavoro.

 In tema di occupazione, esso prevedeva di ridurre il lavoro sommerso e promuovere la “flessicurezza”.

 In tema di finanze pubbliche, il testo auspicava a una valutazione della sostenibilità dei regimi pensionistici e di assistenza sanitaria in relazione al debito pubblico di ciascuno Stato.

Punti questi, miranti a regolare in maniera omogenea settori che hanno ricadute sulle politiche economiche e sociali di Paesi che presentavano

51 Patto Euro Plus. Coordinamento più stretto delle politiche economiche per la competitività e la

convergenza, allegato al Documento di economia e finanza deliberato dal Consiglio dei ministri il

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e presentano realtà e situazioni nazionali assai diverse. Oltretutto, si tratta di decisioni prese da organi ristretti come il Consiglio europeo e la Commissione, di fatto escludendo il Parlamento, organo democratico per eccellenza.

Nella disamina dei Trattati rientrano poi in successione anche il Six Pack, approvato il 13 dicembre 2011, in cui vengono elencate le sanzioni comminate ai Paesi che non rispettano i limiti del 3% del deficit di bilancio nonché i piani per ridurre, nell’arco di 20 anni, a non più del 60% del Pil l’ammontare del debito; il Mes, il trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità con cui viene data vita a un’istituzione comunitaria che fornisce assistenza finanziaria agli Stati membri in difficoltà di bilancio, seppur a condizioni durissime: ciascuno Stato dovrà contribuire con uno stock di capitale azionario cospicuo. Però poi gli viene altresì richiesto di tagliare la spesa pubblica per l’insostenibilità della spesa sociale. Contraddizione durissima, fa notare il nostro autore, il quale con pungente ironia si abbandona a questo parallelismo:

«In verità, quale organismo finanziario, il Mes pare concepito dal dottor Frankenstein tornato in carriera con un master in business

administration. Come sappiamo, gli Stati membri dell’Unione non

possono ricevere prestiti dalla loro Banca centrale, ma le banche private sì – al tasso dell’1 per cento o meno. Però il Mes ha facoltà di chiedere prestiti alle banche private, le quali li concederanno, è dato supporre, al tasso corrente di mercato, di certo superiore all’1%. Dopodiché lo stesso Mes potrà prestare denaro agli Stati che ne fanno domanda, a un tasso che – altra supposizione non gratuita – sarà

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superiore a quello delle banche, poiché l’istituzione dovrà pur

rientrare, al minimo, dalle spese di funzionamento».52

Infine Gallino cita il Fiscal Compact, entrato in vigore il 1 gennaio 2013, in cui è evidente più che mai lo svuotamento del processo democratico nel momento in cui si prendono in considerazione l’automatismo delle decisioni in merito al meccanismo di verifica dello sforamento del deficit (il famoso 3%), alle misure prese per ridurre il debito pubblico di un ventesimo l’anno in media, all’erogazione di sanzioni in caso di mancato rispetto di questi. Ancora una volta è la Commissione a decidere quasi per intero.

È altresì interessante notare come Gallino rilevi due casi in cui risultano particolarmente invadenti i diktat europei in materie di politica economica provenienti da organismi europei, non eletti da nessuno. Uno è il caso italiano, in cui in seguito alla lettera di Olli Rehn, il commissario dell’economia della Commissione europea inviata a Tremonti il 4 novembre 2011, contenente richieste di riforme strutturali in diversi settori dell’economia, queste vengono prontamente e immediatamente soddisfatte e attuate alla lettera dal governo Monti, l’allora governo in carica: allungamento dell’età pensionabile, abolizione delle pensioni di anzianità; spostamento dell’onere fiscale dall’Irpef all’Iva; reintroduzione della tassa di proprietà sulla prima casa; riforma del lavoro introdotta dal ministro Fornero; modernizzazione della pubblica amministrazione.

L’altro caso su cui si sofferma il nostro autore è quello greco. In particolare egli fa riferimento al Memorandum di intesa sulle politiche

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economiche da adottare quali condizioni per ricevere assistenza finanziaria, inviato il 9 febbraio 2012 dalla Troika. In esso sono state imposte alla Grecia condizioni durissime da rispettare che riguardano principalmente il consolidamento del debito e una serie di riforme strutturali in campo fiscale, finanziario per promuovere la crescita nonché la sottoposizione a una regolazione e monitoraggio sulle riforme messe in atto. Particolarmente penalizzanti sono state le misure imposte in tema di condizioni di lavoro: riduzione del 22% se non del 32%, nel caso di giovani al di sotto dei 25 anni, del salario minimo dei contratti collettivi che potranno inoltre avere una durata massimo di tre anni. Ma, sottolinea il nostro autore, ancora più assurda è “l’ossessione per il dettaglio evidente in alcune richieste su cui verrebbe facile ironizzare: ridurre, al fine di migliorare l’ambiente del business, le distanze tra le stazioni di carburante e i luoghi pubblici. E prosegue:

«Ma a ben guardare il contenuto di tali disposizioni è assai più grave. Sta a significare che il governo di un Paese non ha più il potere di decidere nemmeno su una questione, tutto sommato marginale, quale stabilire la distanza minima tra pompe di benzina e luoghi in cui si radunano gruppi di persone. Si noti che nell’intero testo le disposizioni vagamente maniacali, assomiglianti ora a un diktat militare, ora a un rapporto della gendarmeria locale sulle norme antincendio, sono

decine».53

Gallino sostiene che tutte queste operazioni intraprese potrebbero rientrare nella definizione di colpo di Stato per diversi motivi. Innanzitutto sarebbero stati i governi stessi a compiere suddette azioni,

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dunque a prendere il potere sono stati proprio soggetti che all’atto della sua esecuzione hanno già determinate funzioni all’interno di uno Stato, e dunque un colpo di stato viene attuato da soggetti interni per antonomasia e non esterni. In secondo luogo, gli stessi governi hanno mentito in merito all’origine della crisi e all’aumento del debito pubblico imputando ciò, come ben sappiamo, all’eccessiva spesa sociale, in luogo degli aiuti forniti alle banche. Per non parlare poi del fatto che le banche sono riuscite a convincere i governi Ue che un loro eventuale fallimento avrebbe messo a repentaglio l’intera economia e società europea, nonostante siano state loro stessa causa dei loro debiti, soprattutto tramite la finanza ombra e, per di più (punto tutt’altro che da sottovalutare) la Troika ha avallato le tesi dei governi per rendere credibile la storia dell’eccessiva generosità del welfare negli anni precedenti.

Ma, si badi bene, mette in guardia Gallino, la Troika non gode di nessuna legittimazione democratica né tanto meno le sue istituzioni sono soggette ad alcun controllo democratico in quanto si tratta di organizzazioni internazionali i cui membri non sono eletti su base nazionale o internazionale, come succede per i membri del Parlamento europeo.

Inoltre il Fiscal Compact, nonostante sia stato firmato da capi di Stato e di governo eletti a loro volta democraticamente, per la portata delle conseguenze economiche e sociali nei diversi Paesi, avrebbe dovuto quantomeno essere sottoposto a un referendum popolare. Unico tentativo greco in merito al Memorandum del 2012, è stato respinto da Bruxelles e dai governi europei che hanno addirittura minacciato che

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qualora il testo fosse stato sottoposto a referendum, la Grecia non avrebbe ricevuto gli aiuti già stabiliti.

Infine Gallino mette l’accento anche su ulteriori due elementi a favore della sua tesi. Da un canto infatti, il nostro autore afferma che i vari Trattati e documenti del Consiglio europeo e della Commissione hanno sottratto una prerogativa un tempo appannaggio del Parlamento e cioè quella di decidere in merito alle entrate e alle spese dello Stato, accrescendo i poteri della Commissione a discapito dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo.

D’altro canto, non è da sottovalutare, quando si parla di attacco alla democrazia nella Ue a opera di trattati e direttive, che i rappresentanti del potere di grandi società finanziarie e siano diventati parte integranti di tali istituzioni, sorvegliando e regolando così le società che essi rappresentano, salvaguardando ovviamente gli interessi di quest’ultime.

Dinanzi allo svuotamento democratico a cui si è assistito nell’Ue vi sono due interpretazioni che sono state sposate. Una che giustifica le politiche di austerità intraprese come un assoggettamento del potere alla finanza, in considerazione degli scenari apocalittici prospettati dalle banche e dalla crescita del debito pubblico. Un’altra, che poi è anche esplicitamente sostenuta dal nostro autore, è appunto quella secondo cui si sia trattato di un colpo di Stato «(...) concretatosi nell’espropriazione subitanea e categorica delle prerogative dei cittadini e dei Parlamenti, effettuato solidarmente dalle banche e dai

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governi con la regia del Consiglio europeo e l’appoggio della Troika

di Bruxelles».54

A dimostrazione del fatto che i governanti europei non siano stati né sono sottomessi o espropriati dalla finanza dei loro poteri, Gallino riporta un passo particolarmente significativo del discorso tenuto dalla cancelliera Angela Merkel (ma ripetuti similmente in quasi tutti i Parlamenti Ue dai vari rappresentanti), nel settembre 2011, al Parlamento tedesco in cui la stessa dichiara sì che la legge di bilancio è un diritto del Parlamento, ma che si deve trovare una strada affinché questa sia conforme ai mercati. Inutile dire che, secondo Gallino, dunque ciò porta inevitabilmente a sostenere che non solo i governanti Ue sono dei “consapevoli e volenterosi rappresentanti” al servizio della finanza ma che essi siano altresì “portatori ed esecutori in sede politica delle dottrine neoliberali fondamentaliste”; quelle stesse dottrine che hanno accresciuto il peso della finanza sull’economia e causato la crisi finanziaria. Detto ciò il nostro autore giunge a un’ulteriore conclusione: i governanti europei rappresentato le classi dominanti e ne salvaguardano gli interessi. Non solo, Gallino arriva ad affermare che alla base di questo colpo di Stato non vi sia stato solo l’obiettivo di riconquistare quel dominio di classe perduto dopo il ritiro imposto dal ’45 fino agli anni ‘80 dalla democrazia sociale europea ma anche quello di privatizzare i sistemi di protezione sociale, gestiti per lo più da enti pubblici e i servizi pubblici erogati dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province o Comuni per far affluire l’enorme bilancio che da questi ne deriverebbe verso le banche e le imprese. Addirittura Gallino considera lo smantellamento dello stato sociale,

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effettuato sapientemente attraverso tagli e privatizzazioni come” un obiettivo prioritario del colpo di Stato” per due motivi: l’interesse a far confluire masse di capitali dalla gestione pubblica a quella privata e la sottomissione dei cittadini alle esigenze e agli interessi delle classi dominanti.

3.5: Quelle politiche di austerità giustificate da un evidente “stato di eccezione”.

L’intensificarsi delle politiche di austerità attuate dai governi europei, soprattutto a partire dal 2010, è stato giustificato da questi ultimi e dalle istituzioni europee dal cosiddetto “stato d’eccezione” che sarebbe derivato dall’eccessivo debito pubblico e dal conseguente rischio di insolvenza. Di fatto, afferma Gallino, suddette politiche non solo hanno nettamente portato a una non indifferente violazione dei diritti umani, ma hanno altresì acuito l’impoverimento della maggior parte della popolazione ad onta dell’arricchimento di quell’1 per cento di essa. Ciò rientrerebbe, secondo il nostro autore in un progetto politico o “guerra di classe” contro quelle politiche sociali sorte negli anni ’30 negli Usa e in Europa negli anni ’60-’70 che avevano nettamente migliorato le condizioni di vita dei lavoratori ma che avevano in un certo senso sottoposto il capitalismo a un controllo democratico che mal si conciliava con gli interessi delle classi dominanti. Così Gallino ritiene che quest’ultime abbiano volutamente sottoposto a un contrattacco le riforme in questione, attraverso le suddette politiche di austerità, invocando come pretesto il debito pubblico e diffondendo slogan che inneggiavano alla riduzione della

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spesa sociale, definita la causa principale dell’eccessivo debito pubblico.

Che si sia trattato di un progetto politico è fuori discussione per Gallino, il quale afferma che le politiche di austerità si fondano su idee neoliberali secondo cui gli Stati, i governi e i cittadini devono essere disciplinati dai mercati in primis quelli finanziari; ed è proprio sul dogma della disciplina dei mercati che l’oligarchia europea conferisce legittimazione politica e morale alle sue azioni. Quella che è stata definita “la dittatura dei creditori” si è tradotta in una riduzione della spesa pubblica e ha interessato principalmente lo stato sociale, i servizi pubblici, le retribuzioni e tutto ciò è stato imposto con la “promessa” che la ripresa non avrebbe tardato ad arrivare. Riforme queste, attuate da tutti i governi europei, che non si sono rivelate altro che fallimentari:

«Il fatto è che, essendo l’austerità in primo luogo un progetto politico, non esiste nessun ragionamento assennato in grado di convincere i suoi fautori che sotto il profilo economico e sociale essa è stata un

clamoroso fallimento, pagato dall’intera popolazione».55

Infine un punto poco considerato ma che il nostro autore vuole mettere in evidenza è la manifesta violazione dei diritti umani, ovvero quelli civili, politici e sociali sanciti da innumerevoli Trattati Ue e diverse Convenzioni a causa delle politiche di austerità imposte che si sono dunque tradotte in disoccupazione, miseria, tagli spregevoli ai salari e alle pensioni, denutrizione di bambini. Essa è stata denunciata in più casi da un attivista dei diritti umani greco dinanzi alla Corte penale

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internazionale, il quale si è scagliato contro i dirigenti delle maggiori istituzioni europee, il Fmi e il governo tedesco accusandoli di crimini contro l’umanità. Tuttavia il nostro autore con amara rassegnazione, ha affermato che purtroppo l’oligarchia europea troverà di sicuro il modo di “seppellire” tale denuncia.

3.6: Neoliberalismo: che ruolo ha giocato e gioca nella crisi.

In Finanzcapitalismo già Gallino si era mostrato abbastanza scettico nei confronti dell’interpretazione corrente secondo cui la politica si è trovata ad essere invasa dall’economia ed è stata dunque costretta ad adeguarsi ad essa. Il nostro autore, infatti, pur ammettendo che la politica sarebbe stata sopraffatta dall’economia la quale ne ha decisamente attraversato i confini grazie allo sviluppo di nuovi strumenti di risparmio, di investimento e gestione dei patrimoni che hanno consentito sempre più la penetrazione della finanza sia nelle imprese di ogni settore dell’economia, sia nelle famiglie, il tutto coadiuvato anche dalle tecnologie dell’informazione che permettono trasferimenti di capitale con un solo click di tastiera, dalla delocalizzazione dei processi produttivi che rende impossibile il controllo di questi e dal fatto che il mercato delle merci e dei capitali non ammettono interventi da parte della politica, afferma che questa interpretazione descrive certamente gli effetti di questa penetrazione ignorandone di fatto le cause. Come già accennato nel paragrafo

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