• Non ci sono risultati.

5.1: Bisogna attuare delle politiche anticrisi.

Nei suoi saggi e, non meno, nei suoi articoli pubblicati per La

Repubblica, Luciano Gallino si è mostrato un attento e dettagliato

studioso della crisi. Ne ha esaminato le origini, analizzato i fattori strutturali, le cause e le concause, nonché le conseguenze finanziarie, politiche e sociali. Lungi dall’aver fatto un’analisi essenzialmente ed esclusivamente critica e fine a sé stessa, il nostro sociologo si è premurato di fornire, nei saggi pubblicati negli ultimi anni della sua vita, dei rimedi o delle possibili quanto auspicabili vie da imboccare per far fronte alla crisi, indicando delle possibili politiche anti-crisi, delle riforme necessarie benché, a detta sua, probabilmente impossibili, e delle possibili alternative.

Dopo aver impiegato oltre due secoli ad aver affermato il suo dominio in tutto il mondo la doppia crisi, crisi finanziaria e crisi ecologica, manifestatasi a partire dagli anni ’70 è lì a provare che le sue contraddizioni interne l’hanno ormai condannata all’estinzione. Lasciata a sé stessa, la fine del capitalismo potrebbe essere rapida o lunga, pacifica o cruenta, regionale o globale, nessuno può dirlo. Ma essa è inevitabile perché il capitalismo “sta danzando sulla fenditura ecologica”, la seconda crisi da esso provocata.

Per andare oltre bisognerebbe capire intanto che la crisi del capitalismo, resa tale dalla inaudita espansione del capitale fittizio e dalla instabilità radicale che ne deriva, oltre che alla colossale

129

distruzione di forze attive e la crisi ecologica derivante dal sovrasfruttamento selvaggio del pianeta, sono due facce della stessa medaglia. Bisognerebbe farlo, camminando nella direzione giusta, che non è quella della produzione di massa e del consumismo, ma quella del modificare insieme il modo di lavorare e consumare, quindi il sistema finanziario, l’organizzazione del processo politico, la distribuzione all’origine delle risorse. Si deve trattare di un insieme di trasformazioni nel capitalismo che siano in grado, accumulandosi di attivare trasformazioni del capitalismo.

Davanti a questo scenario, afferma Gallino, noi tutti ci troviamo dinanzi a tre scelte:

1) scegliere di schierarci dalla parte dei difensori del capitalismo, a fianco addirittura di coloro che lo accettano passivamente: tra di essi rientra la maggior parte della popolazione sicuramente plasmata e (in)formata dai mezzi di comunicazione, quali tv e giornali, i quali vedono nel capitalismo il sistema economico che ha apportato progresso e benessere in generale sia nei Paesi sviluppato che in quelli in via di sviluppo. Si tratta di una posizione contro cui il nostro sociologo obietta che nell’economia mondo “(…) alcune migliaia di operatori finanziari si affannano ogni giorno per trovare un’occupazione al più impaziente dei disoccupati: il denaro. È una delle vittime della crisi: gli è diventato difficile trovare lavoro. Questo disoccupato ha preso da tempo forma di centinaia di miliardi di liquidità che i clienti mettono a disposizione giorno dopo giorno affinché gli operatori specializzati

gli trovino un lavoro decente.”70.

130

Peccato, è bene precisarlo, che nel frattempo però, milioni di individui sono senza lavoro, a rischio povertà e soffrono la fame e tutto perché il capitalismo è stato in grado sì di produrre un’immensa ricchezza ma è stato ed è tuttora incapace di impiegarla a vantaggio della maggior parte della popolazione. Motivo principale: questo 1% dei ricchi ha espropriato la popolazione dei frutti del suo lavoro e della sua terra, accumulando per sé, attraverso la finanziarizzazione di cui si è parlato, ingenti quantità di capitale fittizio.

2) scegliere di aspettare il crollo del capitalismo pur essendo consapevole della sua dannosità e della sua crisi in corso: Gallino fa riferimento a coloro che, consapevoli dell’irrazionalità del capitalismo, vorrebbero un suo sviluppo in una società più equa nonostante allo stesso tempo essi prevedano un suo futuro e imprecisato, dal punto di vista temporale, crollo a causa delle sue contraddizioni interne. Si tratta in particolare di alcuni studiosi marxisti che ritengono che la crisi del capitalismo potrebbe tradursi in una grossa minaccia scongiurabile solo attraverso un’affermazione sul piano globale di un’alternativa sociale al di là della produzione di merci. Sul piano sostanziale e concreto essi non danno una reale via per concretizzare ciò.

3) decidere di adoperarci affinché venga posta in essere una transizione verso un sistema economico e sociale diverso: in quest’ultimo caso, secondo Gallino, per rendere ciò meno difficile, bisognerebbe essere coscienti del fatto che la crisi del capitalismo e la crisi ecologica non sono due eventi che si possono affrontare separatamente in quanto due facce della stessa medaglia. Infatti il capitalismo non fa altro che trasformare ogni elemento della natura in denaro, assegnando a ciascuno di essi un valore di scambio negoziabile sul mercato (si pensi ai derivati che hanno come sottostante l’emissione di carbonio) e

131

questo in capitale. E inoltre bisogna essere consapevoli del fatto che capitalismo e crisi ecologica distribuiscono tra la popolazione le risorse prodotte dal lavoro sostanzialmente dal basso verso l’alto e, sebbene questa tendenza possa in certi periodi essere attenuata, riemergerà sempre e con più vigore poiché quell’1 % di popolazione incarnata dall’oligarchia ha espropriato il restante 99% della popolazione delle risorse economiche da essa create e del potere politico. Nonostante ciò, afferma Gallino, bisogna comunque essere ben determinati su questa via da seguire e compiere dei passi in avanti che non richiedano come stimolo (com’è avvenuto nel corso della storia) né le produzioni di massa del fordismo, né la paura di un avversario politico come l’Urss.

La letteratura è piena di proposte che rendono urgente una radicalità dei mutamenti necessari: si parla di “rivoluzione”, “grande trasformazione” o “ecosocialismo”. Tutti termini che secondo Gallino non porterebbero a nulla, così come numerose altre proposte presenti in essa. Al massimo, esse possono rivelarsi utili nel trasmettere il messaggio secondo cui trasformazioni conseguenti e coerenti e cumulabili del capitalismo potrebbero portare a una trasformazione positiva di quest’ultima. Tuttavia afferma il nostro autore: “Oltre al modo di produzione bisogna cambiare il modo di lavorare e di consumare, il sistema finanziario, l’organizzazione del processo politico, la distribuzione delle risorse affinché non vadano quasi tutte (come oggi) dalla stessa parte, la struttura e la funzione delle

associazioni intermedie e tante altre cose”71

132

5.2: Ridurre le componenti industriali della crisi attraverso una riforma del sistema dei fondi pensione.

Dal punto di vista squisitamente tecnico Gallino parla di una riforma necessaria innanzitutto dei fondi pensione e dei fondi comuni di investimento.

La crisi finanziaria strettamente connessa alla crisi industriale ha portato a decidere di utilizzare e investire in alcune direzioni i fondi pensione ovvero ad adottare alcune strategie di investimento dei fondi pensione che hanno ulteriormente sia preceduto quanto aggravato le convulsioni del sistema finanziario. Questi modi di operare sono derivati direttamente dalla finanziarizzazione delle imprese industriali avvenuta a danno della loro funzione produttiva. La crisi industriale, attraverso le sue componenti che sono molteplici e sarebbero sintetizzabili nella delocalizzazione di interi settori manifatturieri dai paesi sviluppati a quelli emergenti, nella compressione dei salari con conseguente stagnazione della domanda interna, nella riduzione degli investimenti in ricerca e sviluppo e nel decadimento delle infrastrutture urbane e interurbane ( per esempio i trasporti pubblici) ha contribuito alla diffusione sia negli Usa che nell’Ue, di proposte relative al ruolo del risparmio dei lavoratori accumulato ai fini previdenziali, se investito nelle giuste direzioni, potrebbe svolgere.

133

Ora, data l’accumulazione di ingenti capitali, i fondi pensione, dopo i fondi comuni di investimento, sono diventati in meno di vent’anni uno dei più potenti investitori istituzionali che esistono al mondo.

Essi ricevono trilioni di dollari ed euro dai lavoratori di tutto il mondo, i quali vengono investiti a loro totale discrezione, seguendo criteri di razionalità economica che, per lo più vanno comunque a nuocere gli interessi dei lavoratori. Infatti, i fondi pensione investono tali capitali, con l’obiettivo di incrementarli, in azioni di società quotate e obbligazioni private e pubbliche e anche in prodotti della ormai famosa finanza ombra. Si tratta di strategie che hanno recato danni non solo ad altri lavoratori ma anche ai sottoscrittori dei fondi stessi. Si pensi al fatto che, per esempio, gli investimenti dei fondi sono in primis diretti preferibilmente a imprese che offrono, sul breve periodo, un rendimento maggiore di qualche decimo di punto portando così alla chiusura di fabbriche seppur efficienti dal punto di vista produttivo con il conseguente licenziamento dei dipendenti; o alle fusioni e acquisizioni di imprese per motivi finanziari e quindi sostenute dai fondi stessi che portano a tagli sulla forza lavoro; o ancora alla delocalizzazione di imprese nazionali indotte da investimenti dei fondi diretti all’estero; ai contributi dei fondi alla privatizzazione di beni comuni e per finire alla massimizzazione del valore delle azioni in portafoglio perseguita dai gestori dei fondi senza prendere in considerazione gli altri portatori di interessi. Ormai gran parte dell’economia contemporanea è proprietà dei fondi pensione. Tuttavia, emerge una contraddizione non di poco conto dovuta al fatto che, da un lato, i lavoratori che sono i proprietari ultimi del capitale dei fondi pensione, nella maggior parte dei casi non sono a conoscenza

134

delle modalità in cui questo viene effettivamente investito e al contempo gli investimenti finiscono spesso per avere ricadute negative su altri lavoratori. A mutare, dunque, dovrebbero essere secondo Gallino, le strategie di investimento dei fondi pensioni attraverso l’intervento reale dei lavoratori nel governo dei fondi stessi tramite i sindacati che li rappresentano i quali dovrebbero non solo essere più attivi nella difesa degli interessi dei lavoratori ma puntare, allo stesso tempo, a realizzare per via legislative le modifiche al governo dei fondi consistenti nell’orientare le strategie di investimento dei gestori dei loro capitali in diversi settori industriali, imprese e tecnologie affinché queste vadano a influire positivamente su occupazione, salari, ricerca e sviluppo e tutela dei beni comuni. Gallino vede in due strategie la strada da seguire per migliorare le ricadute industriali degli investimenti dei fondi:

1) Una versione moderna dell’Investimento Socialmente Responsabile72

2) L’Investimento Economicamente Mirato

Sebbene il nostro autore precisi che forme di investimento socialmente responsabile esistano sin dagli anni venti del Novecento, spesso e volentieri sebbene propugnati come investimenti responsabili, essi non si sono rivelati effettivamente tali.

Bisognerebbe, ad onta delle difficoltà interposte dal fenomeno della globalizzazione riguardanti la difficoltà di appurare le conseguenze sociali di investimenti dal momento che azioni e obbligazioni sono in

72 “Un investimento è definito «socialmente responsabile» quando l’attore che lo effettua tiene

conto in anticipo sia del genere di prodotti e di servizi offerti dall’impresa cui è destinato, compresi i fornitori, sia delle possibili conseguenze di esso sulle condizioni di lavoro e sui rapporti con la comunità in cui l’impresa è insediata” v. L.Gallino, finanzcapitalismo. La civiltà del denaro

135

possesso di numerose sussidiarie e numerosi fornitori, che gli investitori prima di effettuare un investimento che consiste nell’acquisto di azioni o obbligazioni di una tale corporation o una sua sussidiaria che ne controlla centinaia di queste paghi o meno salari dignitosi: se sfrutta del lavoro minorile; se l’ambiente di lavoro offerto è adeguato o se provoca danni all’ambiente.

Tutto alquanto difficile e ciò è dimostrato dal fatto che attualmente gli investimenti socialmente responsabili costituiscano, in media, sul totale del portafoglio degli investitori istituzionali pochissimi punti percentuali che si aggirano massimo al 3-4 %.

Dal momento che, però, l’Investimento socialmente responsabile potrebbe andare a favore degli interessi dei lavoratori affinché un fondo pensione, alimentato in toto dai loro risparmi, tenga conto delle conseguenze sociali e ambientali degli investimenti ma non appare tuttavia capace di influire sulle politiche industriali da seguire per uscire dalla crisi, per raggiungere questo scopo, afferma Gallino, sarebbe più idoneo l’investimento economicamente responsabile. Esso «propone in modo esplicito ai fondi pensione di dirigere le loro strategie di investimento verso obiettivi quali: la creazione di posti di lavoro: la fondazione o il finanziamento di imprese in settori innovativi; i progetti di edilizia popolare; il sostegno alla ricerca pubblica, in specie quella universitaria; il miglioramento del sistema

sanitario; lo sviluppo di infrastrutture urbane e interurbane.»73

136

Tuttavia, ricorda Gallino, trattandosi di un Investimento strettamente connesso alla posizione geografica in cui viene effettuato, esso investe non in quei settori appena elencati, ma concentra gli investimenti in una determinata regione o provincia. Oltretutto un piano di Investimento economicamente mirato può essere complicato se un fondo deve essere in grado di rintracciare, tra le migliaia di imprese quotate in borsa, quelle che farebbero, secondo il suo interesse, fruttare il capitale in portafoglio effettuando in esse investimenti che promettono di migliorare il destino dei lavoratori in un dato settore. Al contrario, un piano del genere può essere semplice laddove sia orientato all’emissione o all’acquisto di obbligazioni comunali o regionali che hanno come fine la costruzione di una determinata infrastruttura.

Nondimeno non avrebbe senso parlare di controllo democratico del sistema economico o dell’intero capitalismo, secondo il nostro autore, se non si progettano quelle che sono le attività produttive verso cui la finanza dovrebbe orientarsi in luogo di quelle parassitarie predilette fino ad ora. In particolare lo Stato dovrebbe intervenire in due grandi campi.

Il primo, fortemente trascurato dalla finanziarizzazione dell’economia prima e dalle politiche di austerità poi, è quello delle infrastrutture. Secondo Gallino sarebbe importante investire nella manutenzione di ponti, dighe strade, ferrovie; nella coibentazione delle abitazioni per accrescere l’isolamento termico; nella cura del dissesto idrogeologico che oltre ad essere un interesse collettivo, offrirebbe un numero significativo di posti di lavoro; nella messa in sicurezza delle scuole; nella ristrutturazione di ospedali se non altro per un migliore utilizzo

137

delle nuove tecnologie biomediche e una riduzione del tasso di infezioni giornalmente contratte in ambiente ospedaliero.

Il secondo campo sarebbe quello di investire in attività di ricerca e sviluppo insieme a nuove politiche industriali per trasformare altresì il capitalismo in senso socio-ecologico che comprendono: lo sviluppo dello sfruttamento di energie pulite e rinnovabili quali l’eolica e la fotovoltaica; lo sviluppo di tecnologie di smaltimento meno inquinanti rispetto a quelle dei termovalorizzatori insieme a tecniche di confezionamento delle merci che riducano il volume dei rifiuti prodotti; nuove e più grandi centrali di energia elettrica integrata con la produzione domestica e aziendale di energia fotovoltaica; la costruzione di parchi eolici di grandi dimensioni da collocare in zone ventose.

Per perseguire efficacemente tali scopi gli Stati dovrebbero essere altresì coadiuvati da nuovi tipo di istituti finanziari, pubblici e privati, profit e no profit, distribuiti nel territorio e capaci di convogliare fondi di investimento a centri di ricerca e imprese che svolgono studi e la messa a punto di queste nuove tecnologie. Prosegue Gallino:

“È essenziale che essi amministrino e gestiscano volumi grandi e piccoli di “capitale paziente”, lasciando da parte i cosiddetti “investimenti” a breve termine e alta mobilità in cui si sono specializzati i cosiddetti investitori istituzionali. È lo Stato innovatore”, proprio perché portatore di capitale paziente, ad aver

svolto un ruolo determinante nello sviluppo di nuove tecnologie.”74

138

A parte una nuova organizzazione bancaria e una riforma del denaro e del credito, la realizzazione di politiche tecnologiche e industriali di questo tipo potrebbe concretizzarsi anche sviluppando il numero e lo statuto di banche di proprietà collettiva che si fondino sul principio secondo cui l’attività bancaria è un servizio pubblico che andrebbe svolto in stretto rapporto con il territorio e moltiplicando altresì nel ruolo di proprietari, accanto allo Stato, i Comuni, le Regioni, le cooperative.

Secondo Gallino un ruolo attivo nel promuovere suddetti tipi di investimento dovrebbe essere svolto dai sindacati i quali dovrebbero porsi il problema di formare dei quadri indipendenti che abbiano una competente e approfondita conoscenza e preparazione professionale nel campo di questi investimenti, attraverso cui ottenere dai gestori dei fondi delle modifiche concrete delle strategie di investimento di un fondo pensione.

Modificare le strategie di investimento dei fondi pensione potrebbe essere un buon punto di partenza per alleviare le componenti industriali della crisi nonostante sia un impegno lungo e difficile e nonostante non vi sia la benché minima presenza di politiche industriali da parte dei nostri governi, sottolinea Gallino. Se poi venisse affiancato dall’attivismo del sindacato affinché si adoperi per promuovere strategie di investimento in cui i proprietari del capitale del lavoro abbiano voce in capitolo nella gestione dei fondi pensione, ciò sarebbe anche un’importante conquista politica.

«Nondimeno, il problema di modificare gradualmente le strategie di investimento dei fondi pensione in modo che non danneggino né i sottoscrittori né altri lavoratori in attività avrebbe il vantaggio di essere

139

un impegno relativamente circoscritto, e di non presentare ostacoli politici formidabili.»75

5.3: L’architettura finanziaria necessita di essere riformata.

Come ha esaustivamente spiegato Gallino, all’interno del sistema finanziario mondiale vi sono una serie di difetti strutturali che hanno avuto un peso notevole nello scoppio della crisi.

Ciò che propone il nostro autore, dunque, sono una serie di riforme e interventi di ristrutturazione dell’attuale architettura finanziaria, per alleviare gli effetti della crisi attuale e per evitare, al contempo, che si ci possa trovare dinanzi a una crisi futura con conseguenze ancora più distruttive e disastrose di quelle attuali.

In particolare, le riforme principali sarebbero quelle di:

1) Ridurre le dimensioni ormai eccessive del sistema finanziario in quanto ci siamo trovati dinanzi a un sistema in cui il cui valore complessivo ha superato il valore prodotto dall’economia, di fatto distorcendone il suo funzionamento, e le cui dimensioni dimostrano che la maggior parte delle sue operazioni hanno una finalità speculativa e non produttiva. Questa sarebbe un’operazione necessaria per riportarlo allo stesso tempo alla sua funzione originaria di mezzo necessario a sostegno dell’economia reale. In questa riforma rientrebbero anche la riduzione delle dimensioni delle maggiori bank holding companies, la ridefinizione dei loro campi di attività, separando le attività di deposito e prestiti dalle attività di investimento e, infine, la predisposizione altresì di linee di intervento affinché si

140

riduca il rischio che un loro possibile collasso vada a danno dei contribuenti, costretti a pagarlo, e che esso si propaghi all’intero sistema.

2) Ridurre il valore della finanza ombra riportando in bilancio, se non tutti, quanto meno la maggior parte dei capitali posseduti dalle società finanziarie quindi procedere con la riduzione dei veicoli adibiti a “investimenti strutturati” e del commercio di titoli non registrati in bilancio poiché destinati a essere venduti a breve scadenza, imponendo allo stesso tempo il rispetto della quota di capitale da tenere come riserva.

3) Regolare il mercato dei derivati attraverso l’introduzione di strumenti di controllo più efficaci, proibendo al contempo la vendita di titoli, come i Cdo, troppo complessi per essere venduti in borsa.

4) Vietare o quantomeno limitare la cartolarizzazione dei crediti che ha permesso alle banche di creare ingenti masse di denaro dal nulla. 5) Cambiare il rapporto stabilito tra criteri di erogazione del credito

bancario, modelli di gestione del rischio e valutazioni delle agenzie (si noti bene private) a ciò preposte, innovazione dei prodotti finanziari e compensi dei manager.

Gallino si mostra abbastanza scettico in merito alle probabilità che queste riforme possano essere adottate dall’Unione Europea e ciò è lampante se si volge lo sguardo al lavoro svolto in questi anni dalla Troika.

Forse un barlume di speranza proviene dalla riforma americana e dalle proposte provenienti dal paese europeo in cui l’impatto della crisi è stato più disastroso, ovvero il Regno Unito.

141

In particolare in Europa, per molto tempo la Commissione si è

soffermata sul Rapporto Larosière76 e sui rapporti del Comitato di

Basilea sulla Supervisione Bancaria.

Il primo presentato dalla stessa nel febbraio del 2009, a detta del nostro autore, lungi dal trattare soluzioni per superare i difetti strutturali del

Documenti correlati