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IL SEMINARIO DI PERGOLA

Nel documento Una vita per la scuola (pagine 67-122)

“Il seminario di Pergola, non so per quali vicende, era rimasto chiuso per alcuni anni:

ampliato e restaurato, si riaperse il giorno appunto

ch’io v’entrai.”

(pag. 45)

L’ottobre del 1864 mio padre ottenne per me un posto gra-tuito nel seminario vescovile di Pergola, ove fui condotto la vigilia di Ognissanti. Partii dunque la prima volta dal paese nativo tra le benedizioni dei nonni e degli zii e tra i baci di mia madre, la quale del distacco ebbe un dolore indicibile, ed anzi provò tale un accoramento, che, essendo incinta di pochi mesi, perdé, poveretta, pochi giorni dopo, il frutto delle sue viscere.

Il seminario di Pergola, non so per quali vicende, era rima-sto chiuso per alcuni anni: ampliato e restaurato, si riaperse il giorno appunto ch’io v’entrai. Quando vi misi piede, per l’a-trio, per le scale, pel corridoio era un formicolio di persone e, nel dormitorio un movimento confuso, un trasportar di roba, un mettere a posto lettiere, strapunti, bauli ed altri mobili; di che venivano arredate le stanzette o celle. Confuso, a fianco di mio padre, io stavo guardando tutta quella gente, tra cui si aggiravano preti e signori, che discorrevano insieme e ammi-ravano il nuovo dormitorio.

Era questo un gran vano rettangolare, in cui luce ed aria en-travano in abbondanza per quattro finestre, che guardavano la facciata del Duomo: due all’ordinaria altezza del pavimento e due sopra, vicino al soffitto. Per aprire e chiudere queste fine-stre così alte, bisognava salire su un ballatoio di legno sporgen-te dalla paresporgen-te a mo’ di orchestra. Addossasporgen-te ai lati maggiori del dormitorio erano le celle, divise da sottili pareti con so-pra delle correnti e davanti un cancello. Alla parete in fondo, era appesa una gran tela del Barocci93, rappresentante l’Ulti-ma Cena94. Non di rado i forestieri venivano a vedere questo quadro, che malamente era tenuto coperto da una tenda. Alla

93 Federico Barocci o Baroccio (Urbino, 1535? – 30 settembre 1612) è uno dei pittori più importanti tra gli esponenti del Manierismo italiano e dell’arte della Controriforma, considerato uno dei precursori del barocco.

94 Una sua Ultima Cena è adesso nella cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale di Urbino.

21 aprile 1909

parete opposta, le celle non arrivavano sino in fondo, lascian-do così uno spazio libero, in cui si trovavano delle scrivanie a ribalta, e, in mezzo alle due finestre, era collocato il tavolino del prefetto e quello del vice-prefetto, che sorvegliavano gli alunni nelle ore di studio.

La vita del seminario, come quella d’ogni altro collegio e co-munità, era regolata da norme precise e le pratiche ordinarie stabilite si ripetevano ogni giorno con una successione inva-riabile. “Omnia tempus habent”95: il sonno e la sveglia, la pre-ghiera e lo studio, la ricreazione e la scuola, la mensa e la pas-seggiata, ciascuna cosa insomma aveva il suo tempo, con leg-geri spostamenti secondo le stagioni. La sveglia però, almeno per me, era sempre fuori di tempo, poiché la fatal campanella, che squillava fortemente ogni mattina alle cinque, anche d’in-verno, interrompeva bruscamente il mio sonno e mi costrin-geva ad alzarmi quando avrei ancora dormito saporitamente per altre due ore. Quella campanella, per tutto il tempo ch’io stetti in quel luogo, fu per me un nemico, col quale non potei mai conciliarmi; una pettegola sfacciata, alla quale non avrei mai perdonato, una monella beffarda, antipatica e spietata, fin’a imprecare che l’odiato bronzo, una volta o l’altra, cascasse sulla testa del cameriere, che con una puntualità infallibile, la suonava appena scoccata l’ora.

Le pratiche religiose, le orazioni ed altri devoti esercizi, con i quali erano intercalate le ore di studio, si facevano in una piccola stanza, convertita in cappella, su all’ultimo piano del vecchio fabbricato. Messa ogni giorno, letture ascetiche da meditare, rosario ed altra piccola orazione prima di coricarsi.

Nella chiesetta dell’Oratorio poi, annessa al seminario (bella chiesetta adorna di stucchi e pitture) si faceva il mese di mag-gio, e, sopra un motivo del Verdi, si cantavano ogni sera alcu-ne strofe dell’Ode a Maria Vergialcu-ne del Borghi, che incomincia:

O dell’eterno Artefice

Madre, Figliuola e Sposa…96

95 Eccles., III, 1 (“Omnia tempus habent, et suis spatiis transeunt universa sub coelo”: Tutte le cose hanno il lor tempo prescritto).

96 Inno di Giuseppe Borghi, in Il Parnaso Mariano compilato e dedicato alla Vergi-ne Madre di Dio da Vincenzo Tranquilli, Roma 1832, pag. 177.

Nei giorni dello stesso mese si recitava anche l’uffizio della Madonna. Il giugno era consacrato a San Luigi Gonzaga97, protettore della gioventù: le domeniche e le feste si andava in Duomo ad assistere alle funzioni.

La cattedrale di Pergola è una vasta chiesa a tre navate di bella architettura, con cappelle adorne di stucchi e dorature e altari e balaustre in marmo. Notevole è la cappella del Sagramento, che forma un braccio della navata destra, in cui si ammira il monumento sepolcrale a Girolamo Graziani98, autore del po-ema epico Il Conquisto di Granata. In mezzo alla facciata, al disopra della porta maggiore, è collocato il busto di Gregorio XVI99, che fu un monaco nel vicino monastero di Santa Croce di Fonte Avellana100, a pie’ del Catria.

Gli anni ch’io stetti a Pergola, il Capitolo del Duomo era com-posto di circa sedici canonici e di sei mansionari, i quali, per vero dire, ufficiavano con dignità e ponevano tutto lo studio

97 Luigi Gonzaga (Castiglione delle Stiviere, 9 marzo 1568 – Roma, 21 giugno 1591), figlio primogenito di Ferrante Gonzaga I marchese di Castiglione del-le Stiviere, rinunziò al titolo, voldel-le farsi gesuita e morì di peste all’età di 23 anni. È venerato dal 31 dicembre 1726 come santo protettore della gioventù studiosa.

98 Girolamo Graziani (Pergola 1604 - 1675) fu modenese di adozione. Figlio di un uditore della Ruota, si laureò a Bologna in Lettere ed in Legge. Passò la maggior parte della vita presso la Corte estense per poi ritornare negli ultimi anni nella sua città natale. La fama che conobbe in vita, e che non gli soprav-visse a lungo, era legata soprattutto alla produzione di due poemi epici: La Cleopatra (1632) e Il Conquisto di Granata (1650). un poema epico-cavalle-resco in 26 canti nel quale si narrano le vicende riguardanti l’ultimo dei dieci anni di assedio (1482 - 1492) effettuato dal re spagnolo Ferdinando II di Aragona al Sultanato di Granada, ultimo baluardo degli infedeli nella Spagna Musulmana. Con l’assedio si concluse la “Reconquista” della Penisola Iberica.

99 Gregorio XVI, al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari (Belluno, 18 settem-bre 1765 – Roma, 1º giugno 1846), papa della Chiesa cattolica dal 2 febbraio 1831 alla morte, apparteneva alla congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto.

100 Il monastero di Fonte Avellana, dedicato alla Santa Croce, si trova nel co-mune di Serra Sant’Abbondio, nella provincia di Pesaro e Urbino. L’eremo fu forse fondato da san Romualdo (Ravenna, tra il 951 e il 953 – Fabriano, 19 giugno 1027) nel 980, mentre notevole impulso all’abbazia diede l’opera di san Pier Damiani (Ravenna, 1007 – Faenza, 21 febbraio 1072), non solo per l’ampliamento delle costruzioni originarie ma anche per un forte sviluppo culturale e spirituale, che ne fece un punto riferimento religioso e sociale.

nel canto liturgico, che tanto contribuisce a rendere più so-lenne il rito e più dolci e commoventi le cerimonie del culto cattolico.

Le funzioni di Natale e della Settimana Santa, sopra tutte le altre, mi piacquero sin da principio oltre ogni dire per la ma-niera solenne con cui eran celebrate. Quando poi venuto negli anni della discrezione e ammaestrato nel latino, cominciai a comprendere il linguaggio sublime delle antifone, dei salmi e degl’inni; le stesse funzioni mi parvero ancor più belle e ne provai un vero godimento artistico, che mi fu quasi di prepa-razione a gustare più tardi la classica poesia cristiana di Dan-te101, del Tasso102 e del Manzoni.

101 Dante Alighieri nacque a Firenze da Alighiero di Bellincione e dalla sua pri-ma moglie Bella (forse degli Abati), sotto il segno astronomico dei Gemelli (Par., XXIII, vv. 112-117) fra il 21 maggio e il 21 giugno del 1265, e morì a Ravenna, dopo un esilio quadrilustre, la notte fra il 13 e il 14 settembre 1321. Visse dunque 56 anni e quattro mesi; età non breve, ma di fronte alla quale la sua multiforme operosità poetica, letteraria, civile, per ampiezza e profondità di interessi, per i raggiunti vertici dell’arte, appare senz’altro prodigiosa, se si pensi che per la maggior parte essa va sicuramente collocata negli anni fortunosi e travagliati dell’esilio, e se ne consideri la complessa ricchezza di motivi ed esperienze diverse, retoriche, cortesi, etico-politiche, nutrite di accese speculazioni dottrinali. Per non parlare poi del capolavoro - quella Commedia saldamente maturata in una mirabile “reductio ad unum”

di una vita sofferta e vissuta - ch’è già di per sé stessa espressione summatica e ineguagliabile della civiltà medievale, ma insieme per certi aspetti partecipa di quel profondo rinnovamento culturale che col Petrarca e col Boccaccio fonderà il nuovo Umanesimo e aprirà le porte alla civiltà moderna. (da: http://

www.danteonline.it/italiano/vita_indice.htm).

Nell’apparato delle note approntato per “perimetrare”, come abbiamo altrove già detto, il mondo sociale e culturale dell’autore di queste Memorie, non poteva, naturalmente, essere omessa questa voce. Non è nostra ma contiene tutto ciò che è essenziale. Il resto, proseguendo nella lettura, confidiamo che il lettore lo scopra da sé, magari meravigliandosene, osservando quanto pro-fonda e intima conoscenza, quanto rispetto, quanto amore ha avuto Lorenzo Bettini per Dante e per la sua opera.

102 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595) fu uno dei maggiori poeti italiani del Cinquecento. Dopo la favola pastorale Aminta, in cui riprese i motivi sentimentali e idillici della tradizione bucolica classica, rinnovò il poema cavalleresco con la Gerusalemme Liberata, rielaborazione di un evento storico in cui l’autore inserì temi diversi per presentare la visione di un mondo pieno di conflitti e di contraddizioni, nel quale lottano da una parte le potenze angeliche e il senso cristiano del meraviglioso, dall’altra le potenze infernali e la magia diabolica. I suoi ultimi anni ultimi anni furono dedicati alla riscrittura delle sue opere e alla composizione di nuovi testi di

Veramente non so darmi ragione come mai dai programmi del ginnasio e del liceo sia escluso affatto lo studio della Bibbia e del Vangelo e come in essi non si faccia alcun cenno della sto-ria del Cristianesimo, che dopo tutto è la nostra stosto-ria, piena di grandi immagini, di quadri mirabili, semplici e grandi, da cui furono ispirati i più grandi artisti, che, come ben disse il Gabelli103, “diedero il maggior titolo di nobiltà al nostro paese, circondarono colle loro opere di gloria immortale la nostra patria e contribuirono a ridonarcela, col rispetto che imposero alle nazioni, indipendente e una, forse anche più che non ab-biano fatto le nostre battaglie”104.

Per comprendere le bellezze di Omero e di Virgilio, i nostri giovani han bisogno di conoscere la mitologia, e si insegna loro chi erano Giove, Marte e Venere: per capire le bellezze de La Divina Commedia e degli Inni sacri del Manzoni è me-stieri che i giovani conoscano almeno un poco la Storia Sacra, la Vita di Cristo, gli Atti degli Apostoli, le opere dei padri, dei dottori e dei santi della Chiesa: ma tale studio è totalmente trascurato. I professori spiegano Dante, facendo a meno della coltura cristiana e delle idee del Cristianesimo, come Dante foss’uno di que’ retori moderni, che fanno l’arte per l’arte. E così del divino Poema, che tutto risplende delle bellezze bibli-che e tutto rifulge delle dottrine di Cristo, i giovani si formano un concetto sbagliato, tantopiù se il professore, lumeggiando le invettive dantesche contro i papi simoniaci e la corruzione dei prelati, mira a insinuare nell’animo degli alunni il veleno dell’anticlericalismo. Oggi Dante si studia soltanto per la

for-soggetto religioso. Ebbe una vita molto travagliata e nella stessa leggenda dei suoi infelici amori con Eleonora d’Este vi fu chi vide in lui il poeta solitario, infelicemente innamorato, vittima dell’ambiente in cui è costretto a vivere, incompreso e deriso dai potenti, oggetto di invidia: il prototipo dell’artista che, per essere tale, non può non essere infelice.

103 Aristide Gabelli (Belluno, 22 marzo 1830 – Padova, 6 ottobre 1891) fu tra i principali promotori del positivismo filosofico in Italia e operò per applicarne i princìpi nell’organizzazione scolastica. Fece parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e fu provveditore agli studi di Roma.

104 A. Gabelli, L’Istruzione in Italia; scritti con pref. di P. Villari. Parte II. Sul modo di riordinare l’insegnamento religioso, Zanichelli, Bologna 1891, p. 236 (n.d.A.).

ma: il senso morale e religioso è totalmente trascurato, perché già molti credono o fan vista di credere che la religione co’ suoi dogmi, co’ suoi misteri, colla sua morale, sia già tramontata. Il Carducci105 l’ha detto:

Muor Giove, e l’inno del poeta resta.106

Ma Cristo non muore!... e l’inno di Dante resterà sempre, fin-ché mondo sarà mondo, l’espressione più potente di quella fede e il testimonio più grande di quella Chiesa, contro la qua-le i nemici di Cristo si affaticano indarno.

Chi pertanto inizia i giovani allo studio de La Divina Com-media, tenendo la lor mente lontana da ogni idea religiosa e da ogni concetto storico del giudaismo e del cristianesimo, fa opera antiestetica, antipatriottica e antimorale ed anche con-traria al buon senso... Ma così è l’andazzo! Purtroppo a’ giorni nostri certi cultori di belle lettere usano dalle cattedre mostrar Dante camuffato da massone.

Ed ora torniamo al Duomo, le cui volte echeggiavano alle note maestose dei canti liturgici, i quali possono intitolarsi “i fasti cristiani, narrati con quella semplice poesia di fede che rac-chiude quant’ha di più sublime la Creazione e la Redenzione, di Dio e l’uomo, la vita e l’immortalità, il cielo e la terra”107. Com’eran belle e toccanti la intonazione del salmo “In exitu

105 Giosuè Alessandro Giuseppe Carducci (Valdicastello di Pietrasanta, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907) fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906. La sua poesia fu di ampio respiro, spesso impetuosa e drammatica, espressa in una lingua aulica ma non sfarzosa, tesa a testimoniare il suo amore per la patria, per il bello, per la natura e per il paesaggio: in definitiva la sua incondizionata adesione alla vita nelle sue espressioni più genuine, dall’amore, all’amicizia, all’impegno per la cultura e la conoscenza e la sua indefettibile fiducia nella ragione, nella scienza e nel progresso, contro ogni prospettiva metafisica ed escatologica. La figura e l’opera del Carducci, e segnatamente le Odi barbare, uscite le prime nel 1873, furono molto ammirate dal giovane Bettini.

106 G. Carducci, Rime nuove, “A Dante”, v. 14.

107 L. Venturi, Della Innografia cristiana in Occidente (in: Gl’inni della Chiesa tra-dotti e commentati da Luigi Venturi; con un ragionamento sul canto liturgico di Girolamo Alessandro Biaggi, Tip. Carnesecchi, Firenze 1880) pag. 13 (n.d.A.).

20 giugno 1909

Israel de Aegypto”108 e quella del “Magnificat”109, cantati nei vespri delle domeniche; il “Cum invocarem”110 e l’inno “Te lucis ante terminum”111 delle compiete; le patetiche lamenta-zioni della Settimana santa, le antifone trionfali di Pasqua e le lezioni profetiche del Natale:

Primo tempore alleviata est terra Zabulon et terra Nephtali: et novissimo aggravata est via maris trans Jordanem Galileae gentium.112

Consolamini, consolamini, popule meus, dicit Deus vester.113

Quale umana poesia può assurgere a tanta altezza? Confron-tando la poesia biblica con l’altra de’ poeti di qualsiasi lettera-tura e secolo, noi vediamo che questa cede a quella “Come dal suo maggiore è vinto il meno”114. I canti della Chiesa come già

108 Salmo CXIII: “Quando Israele uscì di Egitto...”. (Vedi anche: Dante, Purg., II, vv.45-48: “ e più di cento spirti entro sediero / in exitu Israel de Aegipto / cantavan tutti insieme ad una voce / con quanto di quel salmo è poscia scripto”).

109 Il “Magnificat” è un cantico col quale Maria ringrazia Dio perché si è beni-gnamente degnato di liberare il suo popolo. Il nome gli deriva dalla prima parola della traduzione latina dal Vangelo di Luca: “Magnificat anima mea Dominum”.

110 Salmo IIII (“Cum invocarem exaudivit me Deus Justitiae meae: in tribulatio-ne dilatasti mihi”).

111 “Te lucis ante terminum” è il primo verso dell’inno cantato nell’ultima par-te della Compieta. Che, a sua volta, è l’ultimo momento di preghiera della giornata, così chiamato perché compie le ore canoniche e si recita prima del riposo notturno. (Vedi anche: Dante, Purg., VIII, vv. 10-15: “Ella giunse e levò ambo le palme, / ficcando li occhi verso l’oriente, / come dicesse a Dio:

d’altro non calme, / -Te lucis ante - sì divotamente / le uscìo di bocca, e con sì dolci note, / che fece me a me uscir di mente”).

112 “Primamente fu meno afflitta la terra di Zabulon e la terra di Neftali, e di poi fu gravemente percossa la via al mare, la Galilea delle Nazioni di là dal Gior-dano”. (Da: A. Martini, Del Vecchio Testamento secondo la volgata tradotto in lingua volgare e con annotazioni illustrato : tomo XIII che contiene Isaia profeta, nella stamperia Simoniana, Napoli 1780).

113 “Consolatevi, consolatevi, popol mio, dice il Dio vostro”. (Ibidem, capo XL, pag. 215)).

114 Dante, Purg., VIII, v. 78 (n.d.A.).

disse un cultore della musica sacra, sono anelli che ci congiun-gono alla culla della nostra religione, memorie vive e parlanti della fede, dei patimenti, delle speranze de’ primi cristiani. Gli accenti del canto fermo, gli inaspettati suoi riposi, quelle on-dulazioni di suoni, quegli andamenti così gravi, così solenni e misteriosi, quanto non possono sulla fantasia e sul cuore!

E quanto non valgono a staccare la mente umana dalle cure terrene per portarla a Dio e alla preghiera!115

Direttore del coro era il canonico don Giuseppe Cini, bel prete, alto ed asciutto, dalla persona eretta, dal viso umile e bonario e d’una voce baritonale simpatica, che dominava su quella de’ suoi colleghi, fra i quali ottimi cantori eran anche il canonico don Luigi Sensi, tenore, e il mansionario don Filip-po Federici, naFilip-politano, che faceva da contralto.

Qualche volta cantava in coro un altro canonico, la cui figura mi è rimasta impressa nella mente, sicché mi pare ancor di vederlo: faccia tonda e rossa, occhi grossi sporgenti, pancia quasi enorme. Si chiamava don Arcangelo Geronzi ed era fa-moso per la sua bellissima voce di tenore e forse più per la sua giovialità e, soprattutto, per l’appetito e il gusto inesauribile con cui divorava i buoni bocconi ai pranzi delle canoniche di campagna, ove recavasi a suonar l’organo. D’inverno questo prete caratteristico portava una manizza di pelo raccomandata con un cordoncino al collo, e sentivo raccontare che una volta durante un pranzo in una parrocchia del contado, alcuni com-mensali, per fargli una burla, gliela riempirono di maccheroni.

Figurarsi le baie quand’egli vi ricacciò le mani! Don Geronzi, nella Settimana santa, er’uno de’ tre preti addetti a cantar il

“Passio”116, e mi ricordo che alle parole ”gallus cantavit”, egli faceva certi gorgheggi, imitando il verso di quell’uccello che là nel pretorio fu testimonio del rinnegamento di Pietro. Il Geronzi, buon cantore e conoscitore di musica qual era, faceva

115 Girolamo Alessandro Biaggi, Del Canto liturgico (in: Gl’inni della Chiesa …, cit., vedi nota 107) (n.d.A.).

116 “Passio” (prima parola del titolo “Passio Domini nostri Iesu Christi secun-dum ...”), è la parte dei Vangeli in cui è narrata la Passione di Gesù, che viene letta o cantata durante la settimana santa.

parte della cappella del Duomo, ed è perciò che al coro inter-veniva soltanto quando l’organo taceva. Rubicondo e florido nei primi anni ch’io stetti in seminario, vidi poi questo pre-te decadere e invecchiare rapidamenpre-te e strascinarsi a spre-tento, quasi cieco.

Il canonico Cini morì due o tre anni dopo ch’io ero in Pergola, mi pare la vigilia del suo giorno onomastico (19 marzo) e della sua morte ebbi un’impressione profonda e provai un dolore vivissimo.

Il canonico Cini morì due o tre anni dopo ch’io ero in Pergola, mi pare la vigilia del suo giorno onomastico (19 marzo) e della sua morte ebbi un’impressione profonda e provai un dolore vivissimo.

Nel documento Una vita per la scuola (pagine 67-122)

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