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in Italia: un’analis

4.2. Il settore Arte, attività e beni cultural

Il primo dato da cui muovere per un corretto inquadramento degli interventi nel settore culturale è lo stato di forte difficoltà economica in cui si trova oggi il sistema dei beni culturali italiano. Il contributo statale alla cultura è stato ridotto, negli ultimi dieci anni, del 32,5% e l’investimento odierno ammonta a 1 miliardo e

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500 milioni di euro, che corrispondono approssimativamente allo 0,2% del bilancio statale complessivo e allo 0,11% del Pil [Acri, 2013]. La crisi sociale e finanziaria presente ha aggravato una situazione già in parte minata da anni di politiche culturali errate e poco lungimiranti. Solo alla fine degli anni ’60, infatti, con la costituzione della Commissione Franceschini, si è posto fine ad un periodo di stasi politica, rispetto al settore culturale, che perdurava dalla fine della seconda Guerra Mondiale. I lavori della commissione intendevano fare il punto sullo stato del patrimonio culturale del Paese e gli anni ’70, conseguentemente, sono stati caratterizzati dall’emanazione di norme di tipo costitutivo, con la nascita di un Ministero deputato ai beni culturali e con la costituzione delle regioni [Valsecchi, 2008]. Il benessere economico degli anni ’80 combinato con una più elevata scolarizzazione e con una maggiore disponibilità di tempo libero, hanno determinato una forte crescita di interesse dell’opinione pubblica nei confronti dei beni culturali, interesse che si è tradotto in politiche di tipo distributivo, caratterizzate cioè dall’elargizione di importanti stanziamenti, diretti e indiretti. In un’analisi del 1990, Luigi Bobbio rileva come in quel periodo gli stanziamenti che l’Italia ha destinato al patrimonio culturale fossero i più alti in Europa: sia in valore assoluto sia in rapporto al PIL sia rispetto al bilancio statale. Germania e Francia erogavano importi pari alla metà di quelli italiani, la Gran Bretagna due terzi della stessa cifra e la Spagna un quarto [Bobbio, 1990].

Dagli anni ’90 in poi, una visione più organica sembra guidare la gestione delle problematiche culturali da parte degli attori preposti. Va letto in tal senso il tentativo di migliorare l’organizzazione del sistema culturale con l’adozione di una serie di provvedimenti di tipo normativo-regolativo, anche se non sempre questi si sono dimostrati efficaci. Le direzioni intraprese erano quelle del decentramento di alcune funzioni agli enti locali, della semplificazione organizzativa e procedurale e dell’apertura ai privati, con l’introduzione di nuovi strumenti di defiscalizzazione e di nuove modalità collaborative fra pubblico e privato [Valsecchi 2009]. In seguito, al riordino della disciplina normativa effettuato grazie al testo Unico dei beni culturali, è succeduta una revisione della stessa attraverso l’emanazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio che ha introdotto importanti innovazioni, abrogando al contempo alcune disposizioni precedenti. Il nuovo millennio si è

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caratterizzato per una frenetica attività legislativa e, soprattutto, di revisione organizzativa, che hanno avuto però ripercussioni negative sul sistema: l’instabilità del quadro normativo e procedurale di riferimento ha in parte invalidato l’efficacia delle politiche adottate, privandole della continuità necessaria a dare risultati e ha costretto i funzionari a rincorrere adeguamenti delle modalità organizzative, frustrandone l’operato.[Valsecchi, 2009]

Dal 1980 due fenomeni sembrano aver interessato gli stanziamenti statali alla cultura: innanzitutto, il verificarsi di una diminuzione degli impieghi ordinari contemporaneamente ad un aumento degli stanziamenti straordinari; in secondo luogo, esaurito il periodo di benessere economico, la crescita degli impegni di spesa è perdurata, mentre i fondi a disposizione diminuivano, causando l’accumulo di debiti a carico dello Stato. Il primo aspetto merita una considerazione ulteriore: il prevalere di finanziamenti di tipo straordinario ha infatti alcune implicazioni interessanti. Se da un lato è comunque una forma che garantisce fondi maggiori, dall’altro la natura eccezionale dello stesso ne implica la possibile reversibilità. L’episodicità di questi stanziamenti vanifica in parte l’azione di programmazione da parte degli enti destinatari, che vivono quindi una dimensione di precarietà. Inoltre, alcuni di questi canali straordinari muovono da necessità diverse da quelle culturali, quali quelle occupazionali, che ne dimostrano ancor più la natura episodica. Ne è esempio la campagna di catalogazione dei beni culturali avviata nel 1988 con il progetto Giacimenti culturali, che rispondeva a problematiche di occupazione giovanile, progetto poi cancellato dalla legge n.84 del 1990 che disciplinava diversamente la materia, pur senza ottenere migliori risultati [Bobbio 1990, Dantini, 2012]. In un articolo del 2009, inoltre, Fioritto [2009] sottolinea come il ricorso a misure eccezionali sia sintomo di una cattiva gestione ordinaria e, soprattutto, di come questa sia una tendenza ormai diffusa nell’amministrazione pubblica italiana. Senza considerare i danni causati da emergenze ambientali, quali terremoti o alluvioni, l’autore cita il recente caso di Pompei, per sottolineare che spesso l’intervento straordinario è in realtà determinato dalla mancata applicazione di regole e procedure da parte del titolare della responsabilità. Sono numerosi i testi che denunciano l’incuria e il degrado attorno a questo tema, anche assumendo toni drammatici, si pensi a Se crollano le torri di V. Emiliani [Rizzoli, 1990] ma anche a

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Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto di Salvatore Settis [Mondadori Electa 2005] o Vandali . L’assalto alle bellezze d’Italia di Stella e Rizzo [Rizzoli 2011] o ancora agli articoli di Dantini [2009] e Cammelli [2012]. In particolare quest’ultimo invoca la necessità di un intervento straordinario per il quale, però, l’attuale ministro dei Beni Culturali, Bray, dichiara di non avere le risorse. Nel documento allegato all’atto di indirizzo del Ministero e inviato alle Camere, il ministro Bray denuncia il taglio costante e profondo di fondi al settore culturale operato dal 2008: l’impegno statale complessivo si è ridotto del 24%, passando da 2 miliardi a 1,5. Le disponibilità attuale programmabile per gli interventi di tutela urgenti è diminuita del 58%, gli introiti dal gioco del lotto del 71%; i fondi stanziati per le spese di funzionamento ammontano a 23 milioni, a fronte di una necessità di 40 milioni, accumulati nel tempo a causa di utenze e canoni non pagati. E questi sono solo alcuni dei dati contenuti nel documento. A questo si sommi che, secondo una ricerca di Federculture, il peso del finanziamento statale al settore culturale in rapporto al PIL è sceso dallo 0,5% nel 2000 allo 0,29% nel 2007 e allo 0,11% nel 2012. I dati riferiti al 2007, inoltre, confrontati con quelli degli altri paesi europei, mostrano un rovesciamento di quanto avvenuto negli anni ’80: Francia e Germania stanziano 8 miliardi di euro, Spagna e Inghilterra 5 miliardi mentre l’Italia 1.860 miliardi di euro [Valsecchi 2009, p.9] e il confronto appare ancora più drammatico se rapportato all’enorme estensione e del patrimonio italiano rispetto a quello degli altri Paesi.

Le fondazioni bancarie sono chiamate ad operare in stretto rapporto con il territorio e per il perseguimento di fini di utilità sociale. Non sono perciò insensibili alla situazione del patrimonio storico e culturale italiano. Il settore Arte, attività e beni culturali è da sempre il primo settore per numero di interventi e per valore complessivo dell’erogato da parte delle fondazioni di origine bancaria. Analizzando gli importi erogati nel periodo 2002-2012 (Fig. 4.1) emerge come il trend di lungo periodo si mantenga abbastanza stabile, se pur con una marca flessione delle risorse disponibili negli ultimi anni. In generale, inoltre, nonostante il valore assoluto delle risorse destinate al settore culturale sia diminuito nel corso del tempo parallelamente alla diminuzione degli ammontare disponibili, l’incidenza percentuale del settore Arte, attività e beni culturali sul totale si è mantenuta

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pressoché costante nel tempo, attestandosi attorno al 30%. La diminuzione di risorse destinate al settore nell’arco temporale considerato è solo del 1,8%, contro il già citato taglio del 32,5% operato dal bilancio statale nel medesimo settore [Acri, 2013].

Fig. 4.1 - Erogazioni totali e del settore Arte e cultura nel periodo 2002-2012 (valori in milioni di euro)

Fonte: Acri 2013

Questo fatto dimostra sicuramente la presenza di un’attenzione costante al settore e la maturata consapevolezza da parte delle fondazioni di operare in contesti territoriali dove il patrimonio storico, artistico e culturale riveste un’importanza capitale e necessita quindi di essere tutelato, conservato e valorizzato al fine di renderlo fruibile alle generazioni future. Per comprendere quale valore rivesta questo ambito per tali istituti basta considerare che il settore culturale è l’unico in cui operino tutte le 88 fondazioni di origine bancaria1.

In questo senso, con il sopraggiungere della crisi economica, l’importanza di alcuni obiettivi già dichiarati delle fondazioni è divenuta cruciale. Temi quali

1Se si considerano gli accantonamenti a fondi speciali per il volontariato è possibile affermare che

anche il settore Volontariato, Filantropia e Beneficienza vede la partecipazione della totalità delle fondazioni. Tuttavia essendo tale contributo obbligatorio ai sensi dell’art 15 della Legge 266/91 i due fatti non sono perfettamente equiparabili.

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l’efficienza gestionale, la sostenibilità, le logiche di rete e l’integrazione dell’offerta culturale sono divenuti preminenti nelle politiche erogative di tali istituti [Acri, 2012]. La riduzione delle risorse ha spinto le fondazioni a raffinare il processo istruttorio delle erogazioni e la valutazione degli interventi, portandole a migliorare la comunicazione e la collaborazione con gli altri attori del territorio per incrementare l’efficacia della propria azione. L’arretramento di altri soggetti ha fatto sì che per le fondazioni si configurasse sempre più un ruolo di catalizzatore degli interventi e guida nello sviluppo di progetti a forte impatto per il territorio e che promuovano il coinvolgimento di altre istituzioni.