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Alla fine di quel 1951 in cui Calvino compì il suo viaggio, la denuncia del culto della personalità era di là da venire. In URSS si respirava ancora un’aria di opprimente terrore e, sebbene gli apparati del

122 Intelligence report (CIA), Communist cultural and propaganda activities in the less developed countries, 1966.

Disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/DOC_0000313542.pdf [7/08/2016], p. 21.

123 M. David-Fox, Showcasing the Great Experiment, op. cit., pp. 99-100.

124 I. Calvino, Taccuino di un viaggio in Unione Sovietica, op. cit., pp. 2453-2472. 125 Ivi, p. 2432. 126 Ivi, p. 2434. 127 Ivi, p. 2429. 128 Ivi, pp. 2421-2422. 129 Ivi, pp. 2473-2475. 130 Ivi, pp. 2475-2478.

37 governo si sforzassero in tutti i modi di offrire ai visitatori l’immagine di un paese diverso, la realtà di tanto in tanto filtrava tra le crepe di quell’enorme villaggio Potëmkin allestito per l’occasione:

The programs are well organized and often elicit favorable comment. Some visitors, however, have returned home with a distaste for conditions under the Communist system.131

Tra le righe del Taccuino si notano i segnali di quel disagio che Calvino, anni dopo, ammise di aver provato nei paesi delle cosiddette democrazie popolari durante le sue visite:

Ricordo benissimo che quando mi capitava di andare in viaggio in qualche paese del socialismo, mi sentivo profondamente a disagio, estraneo, ostile. Ma quando il treno mi riportava in Italia, quando ripassavo il confine, mi domandavo: ma qui, in Italia, in questa Italia, che cos’altro potrei essere se non comunista?132

E sebbene gli elementi di malcelata disapprovazione non abbiano la forza delle aperte denunce fatte da altri prima di lui che, pur dimostrandosi estremamente ricettivi alla grande opera di convincimento sovietica non ne rimasero completamente persuasi ed ebbero il coraggio di raccontare ciò che i loro occhi non avevano visto ma la loro sensibilità aveva colto in pieno ‒ primo fra tutti André Gide133 ciononostante, tali “sbavature ideologiche” testimoniano un certo scetticismo di Calvino, seppur bonario e appena abbozzato. Un primo segnale di perplessità lo si trova nelle battute iniziali, quando lo scrittore afferma «[s]ono a Mosca da dodici ore; ci ho capito ancora poco»134 per poi infilzare un elenco di strampalate impressioni a conferma dei suoi dubbi: «Case di legno vicino ai grattacieli, gente nerovestita che con questo freddo mangia gelati per le strade, vie piene di librerie e di farmacie, i negozi di alimentari con la roba finta in vetrina, case di otto piani che per allargar la strada vengono spostate la notte mentre gli abitanti dormono…Ci capisco ancora poco». Con il passare dei giorni non passa un certo senso di disagio che raggiunge il suo apice nella metro di Mosca («attraverso queste stazioni ognuna diversa dall’altra, in questo spiegamento di opulenza, di materiali e di varietà di gusti, mi aggiro spaesato»)135, ma la sua voglia di capire e di vederci chiaro non diminuisce e gli

131 Intelligence report (CIA), Communist cultural and propaganda activities, op. cit., p. 20. 132I. Calvino, L’estate del ‘56, op. cit., p. 2852.

133Al rientro dall’Unione Sovietica, nel 1937 Gide ebbe a scrivere: «Oh! Acccidenti, ne ho viste anch’io in URSS di

fabbriche modello, di circoli, di scuole, di parchi di cultura, di giardini d’infanzia che hanno meravigliato anche me; e al pari di Grenier, Pons o Alessandri, non chiedevo di meglio che lasciarmi sedurre, per sedurne altri a mia volta. E, siccome è molto piacevole sedurre ed essere sedotti, vorrei che i signori soprannominati si convincessero che devo avere ragioni più che valide per protestare contro questa seduzione; e che non lo faccio, come si è detto, “alla leggera”», in A. Gide,

Ritorno dall’URSS, Postille al mio Ritorno dall’URSS, Torino: Bollati Boringhieri, 1988, p. 83. Il libro che Gide pubblicò

di ritorno dal viaggio che realizzò in URSS nel 1936, fu edito nello stesso anno dalla casa editrice parigina Gallimard con il titolo Retour de l’U.R.S.S., mentre l’anno dopo uscì il sequel Postille al mio Ritorno dall’URSS (Retouches à mon

“Retour de l'U.R.S.S.”, Gallimard, 1937). La traduzione italiana Ritorno dall’URSS, a cura di A. Ridola è stata pubblicata

dai tipi di Egea (Milano) nel 1946, mentre una nuova traduzione ad opera di G. Guglielmi, comprendente anche le Postille, fu pubblicata dalle Edizioni Bollati Boringheri (Milano) nel 1988. Sul viaggio di Gide in URSS, si veda anche: L. Stern,

Western Intellectuals and the Soviet Union 1920-40, op. cit., pp. 176-178. 134 I. Calvino, Taccuino di viaggio nell’Unione Sovietica, op. cit., p. 2417. 135 Ivi, p. 2421.

38 interrogativi aumentano in un crescendo spasmodico («Perché hanno bisogno di fare la coda? Non manca mica la roba… Non c’è mica tesseramento… E i negozi aprono alle 11? E perché questa gente delle code ha quest’aria diversa, più rozza nel vestire, le donne col fazzoletto in testa…? Che cosa c’è sotto? Bisognerà che mi faccia spiegare meglio»)136 che culmina nella richiesta di spiegazioni rivolta alla guida con un impertinente «Dites-moi, V. Stepanovich, da noi in Italia le code vogliono dire guerra e miseria. Mi dovete spiegare com’è possibile che ci siano code in Unione Sovietica»137. La spiegazione che Calvino ottiene in quell’occasione è molto lunga e dettagliata, decisamente troppo lunga e dettagliata per essere credibile, ma dopo la minuziosa risposta di V. Stepanovič, Calvino esprime la sua soddisfazione con un tono rassicurante che ha qualcosa di vagamente beffardo («Chiarissimo. Cercavo di trovare una disorganizzazione, una magagna, invece tutto è semplice e naturale»)138, per poi recuperare subito aggiungendo: «Comincio a orizzontarmi nell’orario quotidiano della vita sovietica, a riconoscere l’aspetto della città nelle varie ore, ad avvicinarmi al loro ritmo»139. Pian piano tutto diventa chiaro, ordinato, perfettamente logico, ma i dubbi restano, e al teatro delle marionette lo scrittore osserva con una certa vena polemica: «c’è pure la caricatura del poeta “d’avanguardia” (ma allora ce n’è ancora?)»140. La constatazione del gusto estetico “poco raffinato” del pubblico sovietico in visibilio ad un concerto di canzonette popolari e di inni, invece, gli suggerisce un interrogativo che ha tutto il sapore delle domande retoriche: «È un mondo semplice, giovane: riuscirò mai ‒ mi domando ‒ ad entrare in questo spirito?»141.

Tra le pagine del Taccuino traspare quindi quell’atteggiamento non ancora schizofrenico, ma certamente imbarazzato e oscillante tra la completa fedeltà all’ideologia comunista ed un atteggiamento critico appena accennato, timido, forse ritroso, ma purtuttavia manifesto entro i limiti allora consentiti ad un militante del partito. A questo scetticismo bonario, infatti, facevano da controcanto i temi cari alla propaganda sovietica e in Italia ampiamente divulgati sulle pagine de «l’Unità». A tal proposito, ad esempio, è interessante notare che nell’edizione del 2 febbraio 1952 ‒ nella stessa pagina in cui veniva annunciata per il giorno seguente la pubblicazione del primo articolo di Calvino sul suo soggiorno in URSS142 ‒ fu pubblicato l’ultimo degli articoli del resoconto di viaggio di Mario Alicata143 in Unione Sovietica (Dalla capitale sovietica all’Asia centrale), in cui è

136 Ivi, p. 2429. 137 Ivi, p. 2430. 138 Ivi, p. 2432. 139 Ibidem. 140 Ivi, p. 2439. 141 Ivi, p. 2445.

142 In un trafiletto sull’edizione nazionale de «l’Unità» (2 febbraio 1952, p. 3), si legge: «Italo Calvino, l’autore del

romanzo partigiano “Il sentiero dei nidi di ragno” ha scritto per “l’Unità” un Taccuino di viaggio in U.R.S.S. Domani la prima puntata».

39 possibile rintracciare una sorta di viatico ideologico per i militanti che si cimentavano nell’impresa di raccontare la loro esperienza nel “Paese del Socialismo”:

[…] sono tante e tali le deformazioni grottesche e meschine che i ceti reazionari alimentano da decenni e decenni, come un veleno, contro il Paese del Socialismo, che chi torna dall’Unione Sovietica è spesso portato a riferire piuttosto che le sue più intime impressioni, i fatti e i dati di cui è venuto a conoscenza diretta e che più sono utili a controbattere i fatti e i dati bugiardi che le centrali anticomuniste del mondo intero hanno diffuso nel passato e vanno, più che mai oggi, diffondendo. Quando purtroppo si sa che un gentiluomo il quale siede sui banchi della Camera dei deputati italiana e il quale, per giunta, insegna non so bene che cosa in una Università del nostro Paese, va dicendo nei suoi pubblici e privati comizi che «i russi hanno la coda» che «i russi rubano i bambini alle madri e li educano forzosamente nei grandi collegi-caserme statali» e così via, si è naturalmente portati, non certo a raccontare che «code» in Unione Sovietica non se ne sono viste, ma almeno ad insistere sugli elementi più esteriori della vita e della società sovietica; e si finisce col non insistere come si dovrebbe nel sottolineare come l’uomo, l’uomo comune, l’uomo della strada, in questo Paese si trovi ormai ad un punto di sviluppo tanto più avanzato dell’uomo, dell’uomo medio dei Paesi capitalistici, non solo in quanto a cultura, ma a sentimenti, a carattere, in una parola a «moralità».144

L’anatema contro i denigratori antisovietici che divulgavano “notizie false” ed il particolare riferimento alle code davanti ai negozi pare confermi l’ipotesi avanzata da Mario Barenghi che il brano calviniano dedicato proprio a questo tema ‒ argomento che, a quanto pare, era scabroso o quanto meno scomodo per la sinistra di quegli anni che lo considerava alla stregua di una grave critica al sistema sovietico ‒ non sia stato pubblicato sull’edizione torinese e romana de «l’Unità» perché censurato dalla redazione145. L’attacco di Alicata, infatti, ci sembra un’evidenza tutt’altro che trascurabile del fatto che ai vertici del PCI la questione delle file davanti ai negozi sovietici era una nota dolente che andava combattuta in quanto arma preferita dagli oppositori politici.

I sottotitoli che riassumono il contenuto degli articoli di Alicata rappresentano un vero e proprio compendio dei temi ricorrenti costantemente affrontati nelle narrazioni di questo tipo e sulla cui base paiono plasmati i resoconti che furono pubblicati successivamente: Veduta d’insieme dall’alto delle

«montagne di Lenin»; Niente di febbrile, niente di babelico: la vita va avanti in questa città con un ritmo calmo; La biblioteca centrale; Sviluppo della cultura scientifica; Una condizione umana

144 M. Alicata, Dove tutti gli uomini sono finalmente liberi, «l’Unità», 2 febbraio 1952, p. 3.

145 M. Barenghi, Note e notizie sui testi, in I. Calvino, Saggi, Vol. 2, op. cit., p. 3022. «La corrispondenza esclusa

dall’Unità di Torino ‒ o forse bisognerebbe dire censurata, visto che si trattava di un tema politicamente scabroso come le code davanti ai negozi ‒ […] lo stesso dicasi per alcuni brevi tagli redazionali, più frequenti negli ultimi numeri della corrispondenza (e in un paio di casi non immuni da un sospetto di pruderie)».

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superiore; La presenza delle donne in ogni settore di attività; Artista del popolo; Al colcos “Raggio d’Oriente.146

Nel Taccuino calviniano questi temi si ritrovano tutti e costituiscono la parte più celebrativa dell’intera narrazione, ovvero quella perfettamente in linea con la propaganda del PCI. Il terzo articolo che Calvino dedica a Mosca si intitola Dalla collina dei passeri147 e contiene una suggestiva descrizione della vista panoramica sulla città offerta dal belvedere dei «monti Lenin (la collina dei Passeri, di napoleonica memoria)»148; durante la visita alla stazione sperimentale dei piccoli naturalisti, oltre all’elogio dello sviluppo scientifico sovietico ‒ e una citazione un po’ maldestra dell’agrobiologo Trofim Lysenko, per altro già noto ai lettori de «l’Unità» del tempo149 («Lysenko in persona ha assegnato degli esperimenti ai pionieri»150) ‒ lo scrittore non manca di notare la calma di «un mondo che va avanti con un suo ritmo naturale, lontanissimo dal nostro mondo inquieto»151. Segue una dettagliata statistica dei libri della Biblioteca Lenin («14 milioni di volumi in 165 lingue»152) dove il nostro indugia nella descrizione delle sale dedicate ai piccoli lettori sovietici; senza lesinare l’elogio della “condizione umana superiore” degli uomini nuovi («Alla prima occhiata capisco che qui c’è una società diversa, sento la presenza di un elemento nuovo: l’uguaglianza»153) e l’esaltazione del ruolo delle donne nella società socialista («Ho idea che qui siano le donne a comandare tutto. Nel nostro vagone è la ferroviera, quella donnetta nera, che comanda; il ferroviere ha solo mansioni subalterne»154; «Questi ciceroni sono quasi sempre donne, specializzate nell’organizzare comitive di viaggiatori alla stazione, guidarli in un giro veloce per Mosca, e riportarli al loro treno»155; «sale un medico a visitare il malato; è una donna […] alla fermata dopo c’è sempre un medico ‒ una donna, e tutte giovani, e alcune anche carine»156). In conclusione non mancano

146 Cfr. M. Alicata, Il vero segreto di Mosca, «l’Unità», 2 dicembre 1951, p. 3; M. Alicata, Mosca la città dei libri,

«l’Unità», 4 dicembre 1951, p. 3; M. Alicata, Dove tutti gli uomini sono finalmente liberi, op. cit., p. 3.

147 I titoli dei diversi brani cambiano a seconda delle diverse edizioni de «l’Unità» (romana, torinese, milanese, genovese).

Di tutti i cambiamenti e le variazioni ne rende conto dettagliatamente Barenghi in appendice al secondo volume dei Saggi (op. cit., pp. 3019-3025). In questa sede i titoli sono citati nella forma in cui si trovano in quest’ultima edizione.

148 I. Calvino, Taccuino di viaggio nell’Unione Sovietica, op. cit., p. 2418.

149 Si vedano i seguenti articoli pubblicati tra il 1948 4d il 1950 sulle diverse edizioni del giornale: F. Rampa Rossi, L’uomo che piantò il grano al di là del Circolo polare, «l’Unità» (edizione piemontese), 6 ottobre 1948, p. 3; R.

Vecchione, Il “grano del miracolo” ottenuto dalla scienza, «l’Unità» (edizione piemontese), 19 dicembre 1948, p. 3; La

resa delle sementi decuplicate in U.R.S.S., «l’Unità», 4 marzo 1949, p. 4; M. Montagnana, Come un deserto degli Usbeki è ora una piantagione di cotone, «l’Unità» (edizione piemontese), 30 agosto 1950, p. 3.

150 I. Calvino, Taccuino di viaggio nell’Unione Sovietica, op. cit., p. 2425. 151 Ivi, p. 2426. 152 Ivi, p. 2449. 153 Ivi, p. 2416. 154 Ivi, p. 2412. 155 Ivi, p. 2414. 156 Ivi, p. 2472.

41 l’incontro con l’artista del popolo ‒ Bul Bul, «il più popolare tenore dell’Azerbaigian»157 ‒ e le visite al sovchoz «Baghirov» e al kolchoz «Orgionikize»158.

Nel Taccuino, quindi, i pallidi accenni di scetticismo bonario sono quasi totalmente offuscati da quella che potremmo definire una vera e propria professione di fede che, in un crescendo di gaudio, raggiuge il suo apice nella celebrazione di Stalin contenuta nel brano La Piazza invasa dai fiori nella

città bianca di neve ‒ scritto in occasione della celebrazione dell’anniversario della rivoluzione

d’ottobre a cui Calvino prese parte nel novembre del 1951159 e pubblicato sull’edizione torinese e romana de «l’Unità» per l’anniversario dell’anno successivo (7 novembre 1952)160. Diviso tra lo scetticismo e la volontà di celebrare i traguardi che il socialismo aveva raggiunto nel paese dei Soviet, Calvino oscilla appena tra queste due posizioni per lasciarsi andare, sul finale, all’esaltazione del potere sovietico.

Una spiegazione all’ambivalenza della disposizione psicologica dello scrittore nei confronti del “grande esperimento” sovietico si può trovare in quella che Hollander definisce “percezione selettiva” (selective perception):

Selective perception, combined with projection, allows for the almost total neglect of what objective reality is like. What occurs is not so much an outright denial of reality […] but rather the redefinition of situations or events by means of the context in which they are found and which is supposed to impart new meaning to them. Such contextual redefinitions in turn facilitate selective perception.161

A determinare un tale stato psicologico contribuiva anche una forza coercitiva non meno potente della persuasione e della predisposizione positiva dei viaggiatori, che spingeva gli scrittori ad esprimere in maniera estremamente prudente giudizi ed osservazioni sull’URSS non soltanto durante la loro permanenza, ma ancor più al loro rientro in patria, ovvero la paura di scrivere qualcosa che potesse essere intesa o, ancor peggio, strumentalizzata come “propaganda anti-sovietica”:

The favorable predisposition and the associated selective perceptions were not the only explanations of the overwhelmingly favorable accounts produced by the visitors. There was also the powerful pressure of apprehension that should they report something unfavorable they would

157 Ivi, p. 2459. 158 Ivi, pp. 2465-2472.

159 Tra il calendario giuliano, in vigore nella Russia prerivoluzionaria, e quello gregoriano, adottato in URSS dopo la

Rivoluzione del 1917 c’è una differenza di 13 giorni, pertanto la rivoluzione d’ottobre ebbe luogo tra il 25 ed il 26 ottobre secondo il calendario giuliano, ma la sua celebrazione ha luogo il 7 novembre conformemente al calendario gregoriano.

160 Questo brano è stato escluso dall’opera omnia di Calvino edito nella collana Meridiani di Mondadori. In nota alla

pubblicazione del Taccuino, Mario Barenghi ‒ curatore dell’edizione ‒ informa il lettore, senza per altro giustificare questa discutibile scelta, di aver «escluso un ricordo scopertamente celebrativo apparso su «l’Unità» di Torino e Roma nel successivo anniversario della rivoluzione d’ottobre». Si veda, I. Calvino, Saggi, Vol. 2, op. cit., p. 3020.

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be automatically (and “objectively”) aligned with the forces of reaction and evil in their own societies […]162.

Nel caso di uno scrittore come Calvino pubblicamente impegnato nelle file del PCI, l’oculatezza dei giudizi non era soltanto un impegno volto a difendere la propria coerenza ideologica e morale agli occhi dei sovietici e dei lettori italiani, ma anche una necessità imprescindibile, specie se si considera che i Taccuini furono pubblicati proprio sulle pagine dell’organo di stampa ufficiale del partito. La scelta di ritrarre scene di vita quotidiana senza mai esporsi nei giudizi politici può esser considerata, piuttosto che una scelta stilistica, una vera e propria scelta tattica atta a preservare una posizione intermedia che potremmo definire con un ossimoro “militanza neutrale”. Lo stesso Hollander notava come l’espressione di un’attitudine critica nei confronti dell’Unione Sovietica era spesso inibita dalla preoccupazione che un giudizio negativo sarebbe potuto diventare un’arma nelle mani dei “nemici del progresso” e dei critici del sistema sovietico163, oltre a compromettere seriamente la reputazione politica di cui gli scrittori godevano in URSS. In quest’ottica non è un caso che in molti dei resoconti di viaggio in Unione Sovietica ‒ scritti in tempi e da autori diversi ‒ fu spesso adottata la medesima forma intima e confidenziale dei diari e delle memorie, caratterizzate da una narrazione mirata a suscitare nel lettore una simpatia emotiva attraverso reminiscenze, parallelismi e ricordi d’infanzia. Un esempio mirabile di questa strategia narrativa è offerto da Carlo Levi ne Il futuro ha un cuore

antico (1956), dove l’autore richiama alla mente del lettore un paesaggio rurale familiare ‒ quello

lucano ‒ riuscendo così ad innescare un meccanismo di riconoscimento per analogia che ha lo scopo di avvicinare al lettore la Russia non soltanto geograficamente, ma anche emotivamente. Anche nel

Taccuino sono numerose le reminiscenze, sebbene esse abbiano un carattere diverso. Calvino ricorre

alle citazioni letterarie per richiamare alla mente del lettore l’immagine di una Russia già conosciuta tra le pagine dei classici della letteratura, ricreando un’atmosfera familiare entro cui poter ricollocare la nuova immagine del paese socialista:

È il primo tuffo nell’umanità sovietica; mi par di riconoscere qualcosa che già sapevo, ritrovo quel sapore di vecchia Russia imparato sui libri; perfino l’odore dolciastro dei cibi mi sembra subito inconfondibile, ed è la prima volta che lo sento. Sarà quel caldo senso d’umanità che abbiamo scoperto leggendo Tolstoj e Dostoevskij, che ora mi si ripresenta con la stessa immagine: il popolo russo?164

[…] le case basse, a un piano, in muratura o di legno, che spuntano tra il verde. Ricordo quel bel libro di Ilf e Petrov, un viaggio di due sovietici in America; il titolo russo era: America a un piano.

162 Ivi, pp. 109-110. 163 Ivi, 110. 164 Ivi, p. 2410.

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Capisco ora che il senso del libro era cercare nell’America provinciale gli aspetti più familiari ai russi: le piccole città sovietiche e quelle americane hanno in comune quest’amore per le piccole case a un piano, ciascuna col giardinetto intorno e lo steccato.165

Ma ecco che a poco a poco mi vengono in mente riferimenti di vecchia Russia, specie nei punti di Mosca più rustici e paesani: una suggestione di atmosfere alla Gorki. Ed è pure da tetti di casette come queste che prendono il volo gli evasivi folletti di Chagall.166

Scorgo una giovane donna di singolare bellezza ed eleganza: è la prima «Anna Karenina» che vedo. (Il tipo di ragazza sovietica più diffuso, per restare nelle caratterizzazioni tolstojane, si può avvicinare di più al personaggio di Kitty).167

La Prospettiva Nevski, […] una via che un che di ventoso e tagliente ‒ di marino ‒ ecco che è come l’avessi sempre conosciuta così, ecco i personaggi di Gogol e Dostoevskij hanno trovato il