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Il traduttore: un lettore con una grande responsabilità

4. Tradurre il Teatro sovietico

4.1. Il traduttore: un lettore con una grande responsabilità

[Durante il processo traduttivo] bisogna distinguere due fasi, analisi e sintesi. La distinzione di queste fasi è legata al fatto che non esiste un processo traduttivo in quanto tale se non in termini astratti, ma esiste un processo che scorre tra due testi, una relazione tra prototesto e metatesto. C’è una prima fase di analisi indirizzata al prototesto, di comprensione, di percezione del prototesto e di sua acquisizione cognitiva, una sorta di secondo concepimento (il primo è quello autoriale, dell’autore del prototesto), e una seconda fase di sintesi indirizzata al metatesto.97

Soffermiamoci più in dettaglio su queste due fasi del processo traduttivo. Il primo incontro del traduttore con il testo originale avviene per mezzo della sua lettura. Il traduttore è, prima di ogni altra cosa, un lettore del testo e il suo modo di comportarsi nei confronti di esso ha qualcosa dello sforzo di comprensione che si fa in un dialogo98. Come afferma Gadamer:

L’esempio del traduttore che ha da superare la distanza tra le lingue mette bene in luce il rapporto reciproco che si istituisce tra l’interprete e il testo che corrisponde al rapporto di reciprocità caratteristiche del processo di comprensione che si attua nel dialogo99.

Se il mezzo e il modo di attuarsi della comprensione sono, rispettivamente, linguaggio e interpretazione, ogni traduttore, essendo lettore del testo, ne è anche l’interprete. Attraverso la lettura del testo, il traduttore comprende in modo attivo e, così, stabilisce una serie d’interrelazioni complesse, consonanze e dissonanze con la parola letta, e la arricchisce di nuovi elementi100. Riattualizzando il senso,

l’interprete coinvolge anche le sue personali opinioni, in modo da impadronirsi e comprendere al meglio il testo. Tuttavia questo passaggio, visto in funzione di una traduzione, può rivelarsi insidioso. Nell’atto di interpretare il testo, il traduttore- lettore compie una prima forma di traduzione, quella dal testo scritto al linguaggio

97 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p.37.

98 Gadamer, G., “Dall’ermeneutica all’ontologia” (1960) in Nergaard Siri (a cura di), Teorie

contemporanee della traduzione, 1995, p.345-346.

99 Ivi, p.347.

71 mentale personale. Qui, l’immagine che si forma nella mente del lettore può non corrispondere a quella che si è formata in precedenza nella mente dell’autore101. È

quindi importante rileggere più volte il testo, in modo intenso e attento, così da impregnarsi delle «atmosfere evocate nella narrazione, del tono della scrittura, della voce dei vari personaggi; per rendersi conto di quali sono le parole usate dall’autore, della forma che ha scelto per raccontarci la sua storia, delle metafore che gli sono care: per conoscere a fondo il suo stile»102. In particolar modo, per il

tipo di lettore attento che è il traduttore, lettura e interpretazione del testo devono sempre mirare a ritrovare non tanto l’intenzione dell’autore, quanto l’intenzione del testo stesso103. Trovare il senso dell’opera originale consiste nel ricercare,

riguardo alla lingua in cui si traduce, «quell’intenzione muovendo dalla quale si ridesti in essa l’eco dell’originale»104. Ricercare l’intenzione del testo non è cosa

facile, il traduttore può giungervi solamente per mezzo di varie prove e tentativi, laddove la migliore soluzione risulta sempre essere un compromesso105, oppure,

come dice Umberto Eco, una «scommessa»106, una congettura interpretativa.

Questo carattere soggettivo implica che anche traduttori diversi possano giungere a considerazioni accettabili per validare o confutare una determinata scelta traduttiva. Dopo la lettura viene per il traduttore il momento di analizzare a livello traduttologico il source text107, consapevole che in qualsiasi processo traduttivo vi

è necessariamente un’interrelazione di elementi tradotti, omessi, modificati e aggiunti. Fondamentale per l’analisi del testo è il concetto di «dominante» che deriva dai formalisti russi, dagli strutturalisti e da Jakobson. La dominante può essere definita come la componente sulla quale si focalizza l’opera d’arte: governa,

101 Cavagnoli, F., La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre, p. 16. 102 Ivi, p. 13.

103 Eco, U., “Sulla traduzione”, in Nergaard Siri (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, p.

123.

104 Benjamin, W., “The task of the translator” (1923) in Venuti L., (ed.) The Translator Studies

Reader, p. 20.

105 Gadamer, G., “Dall’ermeneutica all’ontologia” (1960) in Nergaard Siri (a cura di), Teorie

contemporanee della traduzione, p. 346.

106 Eco, U., “Sulla traduzione”, in Nergaard Siri (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, p.

138.

107 Termine mutuato da Catford, in Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio

72 determina e trasforma le altre componenti. È la dominante a garantire l’integrità della struttura108. Scrive Franca Cavagnoli:

Quello che l’autore ci racconta è fondamentale, ma altrettanto imprescindibile è come l’autore ce lo racconta, come sceglie di far parlare i suoi personaggi. Individuare la dominante di un testo sul piano semantico o sul piano espressivo può far compiere scelte di strategia traduttiva assai diverse e dare quindi un’impronta ben precisa alla traduzione109.

La dominante è l’«elemento attrattore», il livello o l’elemento sul quale prima di ogni altra cosa si basa l’unità del testo110 che va quindi considerato come il

principio base su cui fondare la trasposizione nel target text. Sul concetto di dominante gli studiosi si dividono tra chi pensa che essa abbia carattere pienamente obiettivo e debba derivare in modo diretto e univoco dall’opera (Torop) e chi, come Leonid Barchudarov, invece ritiene sia più preciso parlare di una gerarchia di dominanti, le quali implicano un «ordine di priorità nella trasmissione dei significati»111. In ogni caso, il traduttore deve fare i conti con il

fatto che in traduzione qualcosa vada inevitabilmente perso. A questo punto, diventa indispensabile per lui capire quali siano gli elementi che è disposto a sacrificare, quale sia il residuo comunicativo del suo dialogo che nel testo tradotto non sarà trasmesso. È molto azzeccato a questo proposito il paragone che traccia Benjamin tra la traduzione e un vaso rotto:

Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi ricomporre, devono presentare continuità nei minimi dettagli, ma non perciò averli identici, così, invece di farsi simile al senso dell’originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei dettagli, sforzarsi di attingere nella propria lingua il modo di intendere di quello.

Prendere consapevolezza dell’inevitabile perdita che la traduzione implica e della rinuncia all’ideale di traduzione perfetta è fonte di sofferenza per il traduttore112 e

rende ancora più fondamentale la ricerca della dominante. La scuola formalista,

108 Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai

contemporanei, p. 183.

109 Cavagnoli, F., Il proprio e l’estraneo nella traduzione letteraria di lingua inglese, p. 13.

110 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p.16.

111 Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai

contemporanei, p. 211.

73 formatasi in Russia intorno agli anni Venti del secolo scorso, si era focalizzata sullo studio del testo in tutti i suoi aspetti formali, dando in questo modo un importante contributo alla critica letteraria mondiale. Nella sua critica alla scuola formalista, Jurij Lotman afferma che il testo non esiste mai in se stesso, ma è sempre incluso in un contesto che deve quindi essere preso sempre in considerazione. Anche grazie al contributo del semiotico russo, oggi la tendenza più diffusa è sì tenere conto degli elementi individuati dai formalisti, ma anche di tutti quegli altri dati, biografici o bibliografici, storici e geografici, a disposizione. L’apparato paratestuale (ad esempio, introduzione, biografia, cronologia, note, prefazione o postfazione, saggi critici di varia natura) ha proprio la funzione di contribuire a colmare la distanza tra autore e lettore113. Questi strumenti possono essere di

grande aiuto per il traduttore nella ricerca della dominante del testo; inoltre, lo studio dell’ideologia dell’epoca, della pubblicistica, dei diari dell’autore contribuisce ad avere un’idea più chiara sulla natura della visione del mondo dell’’autore114. Le varie scelte traduttive saranno pertanto influenzate, a detta di

Catford, da valori contestuali e co-testuali; laddove per contesto s’intendono quegli elementi della situazione extra-testuale relativi al testo in quanto linguisticamente pertinenti, per co-testo invece le voci del testo che accompagnano le voci in questione115. La comprensione di un testo implica il tenere conto dell’enciclopedia

generale dell’epoca in cui esso è stato scritto e quella del suo autore; occorre studiare, afferma Torop, la struttura del mondo nel testo, le interrelazioni tra il cronotopo della rappresentazione autoriale della realtà, il cronotopo della concezione artistica dell’opera, il cronotopo dei personaggi116. In particolare, gli

utilissimi studi dei linguisti e antropologi statunitensi Sapir e Lee Whorf hanno rivelato che «gli esseri umani sono alla mercé della lingua specifica che è divenuta

113 Osimo, B., Manuale del traduttore. Guida pratica con glossario, p. 35.

114 Lotman, J. M., “Tekstovye i vnetekstovye struktury”, in Lekcii po struktural’noj poetike, p. 157. 115 Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai

contemporanei, p. 126.

116 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

74 medium d’espressione di questa società»117, quindi la lettura del testo deve essere

accompagnata dallo studio della lingua, della società e dell’epoca in cui il testo è stato scritto; questo non significa tuttavia che tra i modelli culturali e linguistici offerti da una particolare società ci siano correlazioni o corrispondenze dirette, ma semplicemente dei legami. La lingua di una determinata cultura non è il suo specchio, quanto piuttosto un solco che costringe i suoi parlanti nativi a esprimersi in una certa maniera. Nel momento della traduzione, quindi, il traduttore si trova a pensare nella sua lingua madre per esaminare la lingua straniera. Jakobson affermava che qualsiasi confronto tra due lingue implichi una disamina della loro mutua traducibilità118 e che ogni segno linguistico possa essere tradotto con un

altro segno linguistico. Ora noi sappiamo che in linea di principio qualsiasi lingua umana possiede tutti i mezzi per ovviare al problema d’ intraducibilità, ma questo è vero nella misura in cui non prendiamo come unità minima l’intero testo119.

Essendo qualsiasi lingua ancorata e legata al suo contesto di sviluppo, sarebbe ingenuo e fallace avere la pretesa di ottenere sempre traducibilità a livello delle singole parole o delle singole costruzioni sintattiche. Il metodo di traduzione che abbiamo adottato in questa sede riprende le idee di «traduzione totale» di Torop. Traduzione totale può apparire un termine fuorviante, in quando induce a pensare a un qualcosa di assoluto, in realtà questo concetto è relativo: «totale» è una traduzione in cui tutti i livelli del source text sono sostituiti da materiale della lingua ricevente120. Dopo aver individuato la dominante, attraverso l’ausilio

dell’apparato paratestuale, il traduttore si muove verso la traduzione

interlinguistica121 (mutuando il termine dalla tripartizione individuata da

Jakobson). Questo processo a sua volta avviene in fasi. In primis il traduttore si muove solo a livello sintattico del testo, in un secondo momento a livello sintattico

117 Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai

contemporanei, p. 118.

118 Jakobson, R., “Aspetti linguistici della traduzione”, (1959) in Nergaard Siri (a cura di), Teorie

contemporanee della traduzione, p. 54.

119 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p. 55.

120 Ivi, p. 8.

121 Jakobson, R., “Aspetti linguistici della traduzione”, in Nergaard Siri (a cura di), Teorie

75 e semantico, infine a livello sintattico, semantico e pragmatico122. Per quanto

questo processo traduttivo voglia avere pretesa di universalità, avrà sempre una base di concretezza poiché sarà sempre vincolato a un testo specifico. La traduzione ideale non esiste; essa non può e non deve voler migliorare l’originale, ma deve essere un testo in grado di funzionare in quanto tale, essendo dotato di una sua struttura, di un suo sistema interno ed esterno, di nessi e di tutte le altre proprietà caratteristiche di un testo123 (cf. anche i sette criteri di testualità

individuati da Beaugrande e Dressler). Pur mantenendo la sua caratteristica di essere un testo a tutti gli effetti, il target text deve anche conservare il suo specifico di testo tradotto, affinché il lettore legga la traduzione in quanto traduzione e non in quanto surrogato dell’originale124. Per conservare lo specifico del testo di

partenza è essenziale, come ci propone Osimo:

Osservare le sue marche. Un testo può essere marcato a livello lessicale (uso di parole che si discostano dalle forme sintattiche standard), sintattico (uso di costruzioni che si distaccano dalle forme sintattiche standard), di socioletto (uso di modalità espressive tipiche della cultura di una sezione particolare della società), di idioletto (uso della modalità espressive tipiche di una sottozona), settoriale (uso di termini tecnici), intertestuale (citazioni implicite o esplicite), di stile dell’autore, eccetera125.

Il compito del traduttore è quello di conservare le proprietà principali e caratteristiche del source text, quelle che Berman, parlando nello specifico del romanzo e del saggio, chiama «polilogia informe»126. Quello che consideriamo un

buon traduttore non deve tuttavia mancare di un suo stile personale, ma essere in grado di declinarlo nel rispetto del testo di partenza, modificando e – come abbiamo già detto essere inevitabile – cancellando, ma sempre mantenendo le specifiche legate alla lingua senza le quali viene meno l’originalità dell’autore.

122 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p. 27.

123 Osimo, B., Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai

contemporanei, p. 187.

124 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p. 22.

125 Osimo, B., Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, p. 71. 126 Berman, A., La traduzione e la lettera o l’albergo della lontananza, Giometti G. (a cura di), p. 43.

76 Una volta che è stato adottato un tipo di modello del processo traduttivo, vanno rigettate tutte le nozioni di equivalenza, adeguatezza, validità, precisione, realisticità che sono state chiamate in causa per stabilire il valore di un testo tradotto. In realtà, il testo tradotto dovrebbe solo «rispondere alla domanda “come si è tradotto?”»127; quindi l’approccio valutativo dovrebbe essere sostituito da un

approccio descrittivo del metodo. La teoria dello studioso Hjelmslev mostra il rapporto di interrelazione e interdipendenza tra i piani di contenuto (metasemiotica) e di espressione (semiotica connotativa) di una lingua specifica. Durante il processo traduttivo, poiché avviene una trasposizione del contenuto dell’originale, si ricodifica il piano dell’espressione sui piani di espressione e contenuto del testo d’arrivo, pertanto in una buona traduzione, le interrelazioni tra i due piani nel source text sono rispettate anche nel testo di arrivo.

Per concludere, un ultimo appunto sul ruolo del traduttore che, nel susseguirsi degli anni e delle correnti di pensiero, ha assunto un ruolo diverso nei confronti dell’autore e del testo originali. Per noi il traduttore è uno scrittore dotato di creatività, ma che la mette al servizio di un testo e di una voce altrui128. Egli ha il

potere di «“dare l’ok” quando si sente soddisfatto della forma raggiunta dal TA. Se anche cede (consapevolmente o meno) a condizionamenti esterni, si tratta pur sempre dei suoi personali condizionamenti»129. Essendo il testo tradotto una

responsabilità morale130 propria del traduttore, nuovamente in linea con il

pensiero di Laura Salmon, vogliamo adottare il suo termine convenzionale di traduzione self-oriented, ossia orientata – e, aggiungerei, limitata a – verso il traduttore stesso, alle sue scelte e al suo stile.

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