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4. Tradurre il Teatro sovietico

4.2. La traduzione teatrale

Il processo traduttivo deve anche tenere conto che i testi tradotti sono scritti per il teatro. Partiamo dalla premessa, esplicitata da Alessandro Serpieri, che «il teatro, a

127 Torop, P., La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, (1995), Osimo B. (a cura

di), p. 35.

128 Cavagnoli, F., Il proprio e l’estraneo nella traduzione letteraria di lingua inglese, p. 34.

129 Salmon, L., Teoria della traduzione. Storia, scienza, professione, Antonio Vallardi Editore, Milano,

2007, p. 26.

77 differenza di qualsiasi altro “genere letterario” è multidimensionale, pluricodificato, e non si esaurisce sulla pagina scritta, ma ha bisogno di realizzarsi nella messinscena131». I testi teatrali si distinguono in testo drammaturgico, ossia il

testo come viene pubblicato, e testo scenico, cioè la realizzazione concreta del testo drammaturgico132. Tuttavia, se anche nel primo caso il testo non è già «pronto» per

essere messo in scena, questo non significa che il traduttore debba ignorare si tratti di un testo che potenzialmente deve essere recitato. A differenza del romanzo, del saggio o del componimento poetico, il testo teatrale non è narrazione da una prospettiva, ma un progredire dinamico del susseguirsi di istanze di un discorso e, come tale, si omologa alla battuta diretta attraverso l’uso di un linguaggio quotidiano; essa produce senso, infatti, in riferimento a uno specifico contesto pragmatico. Se la narrativa è autosufficiente nella sua testualità e privilegia l’enunciato, il teatro è invece «vincolato al processo di enunciazione; ha bisogno di un contesto pragmatico; ha un’assialità temporale sempre basata sul presente; il suo spazio è la deissi»133. A teatro la parola non è che uno degli aspetti

ad avere una funzione comunicativa, alla quale partecipano altri funtivi cosiddetti «scenici»134. Scrive Mario Luzi:

Il linguaggio della poesia drammatica contiene il seme dell’azione, ma solo il passaggio dal testo all’attualità scenica rivela fino a che punto l’azione gli sia intrinseca in ogni parola. Il palcoscenico registra come un sismografo le variazioni d’energia del linguaggio confermando fisicamente la natura peculiare della parola drammaturgica che è, appunto, parola-azione135.

Anche la traduzione del testo drammaturgico deve pertanto tenere conto dell’imminenza dell’hic et nunc, caratteristica del testo per la scena, e della «recitabilità», altro aspetto imprescindibile e potenziale dominante del testo teatrale. Pur non potendo visualizzare concretamente la messinscena del testo e pertanto potendo solo immaginare il potenziale iconico della dimensione

131 Serpieri, A., “Ipotesi teorica di segmentazione del testo teatrale”, in Canziani, Elam, Guiducci,

Gullì-Pugliatti, Kemeny, Pagnini, Rutelli, Serpieri, Come comunica il teatro: dal testo alla scena, p. 11.

132 Osimo, B., Manuale del traduttore. Guida pratica con glossario, p. 70. 133 Ivi, p. 15.

134 Serpieri A, “La retorica a teatro” (1980), in Retorica e immaginario, p. 74. 135 Luzi, M. “Sulla traduzione teatrale” in Testo a fronte, p. 97-98.

78 indicale136, il traduttore deve essere in grado di produrre un testo che tenga conto

dell’oralità propria del linguaggio teatrale. Susan Bassnett deriva da Anton Čechov il criterio secondo il quale il testo deve mantenere parvenza di oralità; il drammaturgo russo dice: «La prima legge nella traduzione per il teatro è che ogni cosa deve essere comunicabile oralmente. È necessario che il traduttore ascolti l’attore parlare con l’orecchio della sua mente. Deve essere cosciente dei movimenti della voce che parla: ritmo, cadenza, intervallo»137. Eppure non tutte le

opere teatrali sono scritte esclusivamente per essere rappresentate, il testo drammaturgico può essere anche semplicemente letto, dunque «coloro che dichiarano che la caratteristica specifica del dramma sia il suo legame con la recitazione si sbagliano»138. Questo, per quanto possa apparire in contrasto con

quanto affermato in precedenza, in realtà non contraddice l’idea principale che la natura del testo teatrale sia l’essere composto da battute, essere cioè un linguaggio puramente dialogico, che ha molto in comune con l’oralità «vera». Il traduttore del testo teatrale non può certo essere altri che se stesso, per quanto consapevole dei vari fattori coinvolti nella performance e per quanto in grado di immaginarla nella sua mente. Il livello su cui egli può operare rimane quello linguistico; il traduttore può optare per varianti della lingua orale, sfruttare la superficie sonora della lingua (allitterazioni, assonanze, consonanze, eccetera) per mantenere i dialoghi frizzanti, il carattere aforistico o il tono lirico di alcune battute, può giocare con la polifonia di voci dei diversi personaggi; tutto questo per ricreare il ritmo discorsivo proprio dell’oralità – per quanto nel testo teatrale essa sia solo simulata – e del source text. Ancora più che nel romanzo, nel teatro la lingua utilizzata da un particolare personaggio è semanticamente e verbalmente autonoma da quella degli altri. Il discorso di ciascun parlante ha le sue radici nel suo personale sistema di credenze,

136 Per la terminologia si veda Serpieri, A., “Ipotesi teorica di segmentazione del testo teatrale”, in

Canziani, Elam, Guiducci, Gullì-Pugliatti, Kemeny, Pagnini, Rutelli, Serpieri, Come comunica il teatro: dal testo alla scena, p. 17.

137 Bassnett, S., “Theatre and opera”, in France P., (ed.), The Oxford Guide to Literature in English

Translation, p. 97.

138 Bassnett, S., “Still Trapped in the Labyrinth: Further Reflections on Translation and Theatre”, in

79 può inoltre riflettere le intenzioni autoriali, dando adito a una stratificazione di linguaggi e discorsi diversi e complanari139.

Come di fronte alla tradizione narrativa, il traduttore del testo drammaturgico si trova di fronte al dilemma riguardo all’avvicinare o meno il testo al lettore (o, in questo caso, spettatore) o, viceversa, avvicinare il lettore alla cultura e alla storia del testo di partenza140. L’atteggiamento più diffuso tra i traduttori di testi teatrali

sembra essere quello di farsi addirittura co-autori, modificando fino all’adattamento il testo di partenza alla cultura di arrivo. Questa tendenza si spiega con la propensione umana di tradurre parole e culture aliene in una lingua conosciuta per via della paura che circonda qualsiasi cosa diversa, strana e impenetrabile141. La traduzione può fare in modo di superare questo scoglio

attribuendo al testo d’arrivo la medesima ricchezza di quello di partenza, il quale acquista maggiore valore in un universo del tutto estraneo alle condizioni originarie, avvalendosi di mezzi e seguendo norme che gli sono propri ed esclusivi142. Anche la traduzione del testo drammaturgico pertanto deve cercare di

preservare quell’elemento altro intrinseco al testo di partenza, in modo da costruire un dialogo tra le due culture e metterle in contatto nel momento presente della lettura (o della messinscena) dell’opera. Se il traduttore adotta questa variante, il lettore-spettatore avrà la possibilità di immergersi in un universo nuovo e tangibile – reso palese di fronte ai suoi occhi sulla scena o nella mente – e conoscere qualcosa di diverso. Inoltre, nel trovarsi di fronte all’estraneo, il lettore- spettatore potrà attivare sia un procedimento curiosità, sia di ricerca della propria identità. Infatti, afferma Lawence Venuti, per il lettore il testo estraneo diverrà intellegibile solo nel momento in cui egli riconoscerà in esso i suoi valori locali143.

A questo si aggiunge che, sebbene il testo teatrale faccia muovere e parlare personaggi specifici e spesso calati in un contesto storico, sociale, geografico

139 Bachtin, M. M., “Discourse in the novel”, in Holquist M. (ed.), The Dialogic Imagination, p. 315. 140 Schleiermacher, F., “On the different methods of translating”, in Venuti L. (ed.), The Translation

Studies Reader, p. 49.

141 Shaked, G., “The play: gateway to cultural dialogue” in Scolnikov H. & Holland P., (ed.), The Play

out of Context. Transferring Plays from Culture to Culture, p. 14.

142 Paduano, G., “Tradurre”, in Lavagetto M. Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, p. 132. 143 Venuti, L., The Scandals of Translation: Towards an Ethics of Difference, p. 77.

80 preciso, il teatro in sé ha una pretesa di universalità, poiché esso spesso vuole dimostrare come il comportamento umano possa essere compreso sul piano delle leggi economiche, sociologiche, psicologiche e persino biologiche universali144. E,

per questo motivo, per quanto la cultura possa essere lontana e difficile, i suoi contenuti generali possono essere universalmente compresi.

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