• Non ci sono risultati.

1 INTRODUZIONE

1.5 INTERFERENTI ENDOCRINI: XENOESTROGENI AMBIENTALI

1.5.3 Immissione di xenoestrogeni in ambiente e modalità di esposizione

Molte sostanze chimiche non si degradano rapidamente in ambiente e possono accumularsi in diversi compartimenti, come i sedimenti o il biota, oppure essere trasportate a lunga distanza dalla loro sorgente originaria. Ci sono dei composti che, oltre a possedere proprietà tossiche, sono caratterizzati dalla resistenza alla degradazione chimica e biologica,

rientrando nella più ampia categoria dei contaminanti organici persistenti (Persistent

Organic Pollutants-POP), come le diossine e i PCB. Alcuni contaminanti ambientali,

possono essere immessi in ambiente intenzionalmente (pesticidi in agricoltura), mentre per altri l’introduzione in ambiente è involontaria, e può avvenire in seguito alla produzione, all’uso o allo smaltimento di rifiuti (percolato delle discariche, fanghi dei liquami) o al rilascio di sottoprodotti in diversi processi industriali. L’esposizione agli xenoestrogeni può avvenire attraverso l’aria, l’acqua, il suolo, i sedimenti, gli alimenti e i prodotti di consumo. La presenza di contaminanti nell’aria dipende dalla loro volatilità, oltre che dalle condizioni meteorologiche (temperatura, velocità del vento, umidità), che ne influenzano in maniera diretta i livelli concentrazione. Anche le emissioni industriali possono contenere contaminanti ad attività estrogenica, come le diossine ed i metalli pesanti (ad esempio l’arsenico aumenta i livelli di trascrizione del recettore per gli estrogeni ERα) (Klein et al., 2006; Fucic et al., 2012). Alcuni studi hanno dimostrato che un certo numero di sostanze chimiche rilasciate nell’aria da emissioni di traffico veicolare sono composti ad azione estrogeno-simile (tra questi, gli IPA interferiscono con la normale omeostasi ormonale) (Laden et al., 2006). Gli ambienti indoor (abitazioni, uffici pubblici e privati, ospedali, scuole ecc), rappresentano un’ulteriore fonte di esposizione ad eventuali sorgenti di molecole tossiche, presenti nell’aria e nel particolato atmosferico. Si tratta di ambienti nei quali la popolazione trascorre gran parte del proprio tempo subendo, di conseguenza, un prolungato contatto con le potenziali fonti di contaminazione, tenendo conto della minor ventilazione di questi ambienti e della conseguente lentezza nei processi di degradazione delle sostanze chimiche. Rudel e collaboratori (2003) hanno indagato la presenza di oltre 30 IE nell’aria e nelle polveri di ambienti indoor, considerando alchifenoli, PBDEs, 2,3-dibromo-1- propanolo, parabeni e alcuni fenoli (es BPA, 4-tert-butil fenolo), rilevando livelli di concentrazione superiori rispetto a quelli registrati in campioni di aria provenienti da ambienti outdoors.

Gli ambienti acquatici, in particolare, rappresentano una componente dell’ecosistema vulnerabile alla contaminazione chimica, soprattutto attraverso la catena trofica, i sedimenti e l’immissione nei corpi idrici di scarichi urbani, industriali e agrozootecnici.

Come verrà approfondito nel corso della tesi, una gran varietà di pesticidi, prodotti chimici industriali e ormoni naturali, sono stati rilevati nelle acque di superficie. È stato dimostrato che organismi acquatici accumulano etinil-estradiolo (Larsson et al., 1999), BPA (Lindholst et al., 2000) e molti altri composti organici persistenti (Sumpter et Jobling, 1995). Anche l'acqua potabile rappresenta una potenziale fonte di esposizione umana agli IE, anche se non

è la via di esposizione più importante. Nei paesi sviluppati l’acqua destinata al consumo umano è generalmente trattata per eliminare eventuali fonti di contaminazione, sebbene in alcuni casi, alcune sostanze chimiche ad attività estrogenica possano essere introdotte negli stessi processi di potabilizzazione (IPCS, 1999). Al contrario, nei paesi in via di sviluppo, l’acqua è spesso contaminata da prodotti chimici, a causa della mancanza di impianti di trattamento degli scarichi fognari. I sedimenti possono essere una via di esposizione per talune specie di fauna selvatica che vivono in stretto contatto con o nei sedimenti, per tutto o parte del loro ciclo vitale. Sono disponibili diversi dati riguardo PCDDs/PCDFs, PCBs, e alcuni ritardanti di fiamma nei sedimenti di estuari europei (Sellström et al., 1999; Eljarrat et Barcelo, 2003; Verslycke et al., 2005).

Un gran numero di IE è stato riscontrato anche nel suolo e nei fanghi di depurazione, in differenti parti del mondo (Kocan et al., 2001; Loffredo et Senesi, 2006; Gorga et al., 2013) e, per alcune specie di fauna selvatica (ad esempio, vermi, lumache, insetti), che vivono in stretto contatto con il suolo, questa può essere un’ importante via di esposizione. Questi organismi sono una parte di reti trofiche di alcuni uccelli e animali terrestri, che potrebbero, a propria volta, contribuire all'esposizione umana attraverso la catena alimentare. Sia per il genere umano che per la maggior parte della fauna selvatica, si ritiene che la fonte principale di IE sia rappresentata dall’alimentazione, che contribuisce ai fenomeni di bioaccumulo e biomagnificazione.

Nel mar Baltico, ad esempio, le foche grigie presentano una concentrazione di DDT e PCB nei tessuti adiposi in media 100 volte superiori a quelli trovati nell'aringa, il loro alimento principale (Bignert et al., 1998). L’uomo tende a consumare vegetali e prodotti alimentari di origine animale, e poiché le abitudini alimentari variano tra culture e popolazioni, l'esposizione agli IE può differire in maniera significativa tra singoli individui (Borrell et al., 1993; Hansen et al., 1998; Lindström et al., 1999).

I prodotti alimentari di originale animale potrebbero contenere residui di trattamenti ormonali utilizzati negli allevamenti, sebbene questa pratica sia proibita dalla legislazione vigente, in quanto, come dichiarato dal Comitato Scientifico Veterinario Europeo “l’uso di

ormoni per promuovere la crescita del bestiame può provocare potenziali rischi alla salute dei consumatori”. Infine, composti ad azione estrogeno-simile possono derivare dalle

applicazioni medicinali e cosmetiche, oltre che da numerosi prodotti di consumo.

Queste sostanze chimiche possono immettersi nell’organismo attraverso l'ingestione, l’inalazione o il contatto con la pelle ed attraversare le membrane cellulari (Capel et Larson, 2001). La dose a cui avviene l’esposizione è molto importante, in quanto livelli elevati di

uno xenoestrogeno possono esercitare un’azione inibitrice, mentre livelli molto bassi possono avere un effetto stimolante, anche se questa considerazione non è valida sempre, né per tutti i composti. E’ necessario, pertanto, considerare anche molti altri aspetti come l’assorbimento, il metabolismo, l’escrezione, il bioaccumulo, e le possibili interazioni di miscele. Anche il momento dell’esposizione è estremamente significativo poiché, come verrà approfondito meglio nel paragrafo 1.7.3, esistono periodi più critici rispetto ad altri, come quello precedente e corrispondente alla nascita o l’inizio della pubertà, con conseguenti effetti reversibili (sulla maturazione) o irreversibili (sulla differenziazione) sugli organismi esposti.