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1 INTRODUZIONE

1.5 INTERFERENTI ENDOCRINI: XENOESTROGENI AMBIENTALI

1.5.5 Tossicodinamica: interazione con il bersaglio

Gli effetti biologici che si possono osservare, in seguito ad esposizione ambientale ad uno xenobiotico (molecola estranea all’organismo) sono risultato dell’interazione fisica della sostanza chimica con uno o più recettori, secondo la seguente relazione:

RX = [X] * R(tot) / Kd + [X]

L’interazione ligando-recettore è generalmente mediata da legami deboli. Il recettore è saturabile, pertanto, il numero di molecole capaci di entrare nella cellula bersaglio, è limitato e variabile, a seconda delle diverse situazioni fisiologiche e questo determina l’ampiezza della risposta biologica. Ogni recettore è specifico per una classe di composti (il recettore per gli estrogeni lega solo le strutture di tipo estrogenico) e, inoltre, maggiore è la specificità di legame e più è lenta la velocità di dissociazione ligando-recettore. La differenza tra organi non ormono-responsivi ed organi ormono-responsivi, risiede nella distribuzione sia quantitativa che qualitativa dei recettori ormonali. La presenza di una risposta biologica, perciò, testimonia la presenza di uno specifico recettore. La relazione fra la concentrazione (espressa in molarità o in peso dello xenobiotico per volume di soluzione, es. mM o mg/l) di uno xenobiotico e il grado di risposta ottenuto, prende il nome di curva dose-risposta. Per le sostanze chimiche senza potenziale genotossico, esiste una dose soglia (NOEC, No Observed Effect Concentration), al di sotto della quale non ci sono effetti avversi. A partire da questa concentrazione, l’effetto biologico aumenta linearmente all’aumentare della concentrazione della sostanza presa in esame, fino al raggiungimento di un effetto massimo, quando la risposta tende ad un plateau, in quanto tutti i recettori disponibili arrivano a saturazione e all’aumentare della dose non si osservano più variazioni significative nella risposta. Un parametro molto utilizzato come misura di tossicità per una data sostanza è l’EC50, ovvero la concentrazione di quel composto che produce una risposta pari al 50% dell'effetto massimo (Figura 1.13).

[RX] = concentrazione del complesso xenobiotico-recettore; [X] = concentrazione dello xenobiotico libero;

Rtot = concentrazione totale dei recettori; Kd = costante di dissociazione

Per gli agenti genotossici cancerogeni, non è ancora chiaro se esistano dosi soglia al di sotto delle quali non ci sia effetto; piuttosto, è dimostrato un aumento del rischio, all’aumentare della dose. Si presume, infatti, che un composto che interagisca con il materiale genetico possa indurre sempre un danno, sebbene questo possa essere riparato da normali meccanismi di riparo cellulare, oppure che la cellula danneggiata possa restare silente per tutta la vita, controllata da meccanismi omeostatici dell’organismo. Questi meccanismi omeostatici sono efficienti fin tanto che il danno è limitato, pertanto per l’esposizione a cancerogeni genotossici non esiste un rischio nullo, esiste solo un rischio accettabile (Zeise et al, 1999). Uno degli aspetti più dibattuti relativamente all’esposizione ambientale agli xenoestrogeni, o più in generale, agli interferenti endocrini, è quello relativo alle basse concentrazioni. Molti dati sperimentali, infatti, dimostrano che il comportamento della maggior parte degli interferenti endocrini alle basse dosi (ordine di concentrazione nano- e micro- molare) sia difficilmente prevedibile. Spesso, infatti, gli interferenti endocrini rispondono in modo non- monotonico, cioè la pendenza della curva dose-risposta cambia di segno (dal positivo al negativo o viceversa) una o più volte (curve bifasiche o multifasiche) in diversi punti del range delle dosi esaminate, pertanto, non è appropriato, in questi casi, usare le alte dosi per predire gli effetti delle basse dosi. Le curve non-monotoniche sono infatti frequentemente curve a U, con risposte maggiori a bassi e alti livelli di esposizione; in altri casi seguono un andamento a U invertita, con le maggiori risposte per dosi intermedie (Figura 1.14).

EC50

NOEC

Ci sono diverse ragioni che spiegano come gli interferenti endocrini siano capaci di esercitare la propria azione a basse concentrazioni; così come gli ormoni naturali, anche quelli endogeni possono essere acutamente citotossici ad alte dosi ed alterare endpoint biologici a basse dosi. Per esempio, le cellule MCF-7 di adenocarcinoma mammario, utilizzate come sistema biologico nel presente lavoro di tesi, vanno incontro a proliferazione

cellulare se esposte a basse dosi di E2 (da 10-12 M a 10-11 M) o a dosi farmacologiche (da

10-11 M a 10-6 M) della molecola, mentre le dosi elevate sono tossiche, da cui risulta una

risposta ad U invertita. Il BPA a basse dosi (1 µg/mL) aumenta il peso del tessuto adiposo in femmine di topo, mentre ad alte dosi (10µg/mL) non mostra alcun effetto; il contrario si verifica nei topi maschi (Miyawaky et al., 2007).

Nei neuroni cerebellari il BPA aumenta la fosforilazione di ERK (attraverso meccanismi ER

extra-nucleari) a basse (da 10-10 M a 10-12 M) ed alte (da 10-7 M a 10-6 M) dosi, mentre a

livelli di concentrazione intermedi il BPA non interferisce con la via di segnale di ERK. Alcuni profili non-monotonici sono generati dalla sovrapposizione di due o più risposte monotoniche che influenzano un endpoint in modo opposto, attraverso differenti pathways che portano allo stesso effetto biologico finale. In più, un ormone a basse dosi può legare selettivamente uno specifico recettore, mentre ad alte dosi può legare debolmente anche altri recettori ormonali (Sohoni e Sumpter, 1995). La competizione recettoriale, infine, fa sì che, in presenza di ormoni esogeni, basse dosi di xenoestrogeni leghino i recettori ormonali disponibili aumentando la risposta biologica, mentre ad alte concentrazioni competano con i ligandi ormonali naturali riducendone l’azione (Vandenberg et al., 2012). La capacità di interazione tra sostanze ad attività estrogenica a “piccole dosi” ha suggerito la possibilità di

potenziali effetti additivi tra diversi xenoestogeni sugli stessi bersagli, tenuto conto della varietà di sostanze chimiche presenti nelle diverse matrici ambientali e dei rischi ad essi connessi. La valutazione del rischio associato all’esposizione ad interferenti endocrini dovrebbe, quindi, tener conto della molteplicità degli elementi interagenti nel sistema e del rischio potenziale risultante dal verificarsi di effetti additivi tra le diverse sostanze attive.