• Non ci sono risultati.

L’impatto concreto dei piani (e delle misure in essi contenute) sull’organizzazione e sull’attività amministrativa

Piani di prevenzione della corruzione e organizzazione amministrativa*

3. L’impatto concreto dei piani (e delle misure in essi contenute) sull’organizzazione e sull’attività amministrativa

Dalla ricostruzione appena fatta del ‘sistema dei piani’ e degli organi preposti alla loro attuazione si delinea dunque un nuovo processo di pianificazione a cascata, sul quale incombono le difficoltà che ogni processo del genere incontra e le specifiche difficoltà di questa materia: anche nella letteratura internazionale si sottolinea il grande sforzo organizzativo che i piani anticorruzione comportano, e i risultati spesso parziali che essi producono.

Sul punto, poi, occorre tener conto che l’attività amministrativa – lo si è già detto – è in continuo divenire. L’incessante modifica del quadro normativo in tutti i settori di intervento della P.A., acuita in questo periodo di crisi, e particolarmente evidente in Italia,

18 F. FRACCHIA, L’impatto delle misure anticorruzione e della trasparenza sull’organizzazione amministrativa,

in F. MASTRAGOSTINO-G. PIPERATA-C. TUBERTINI (a cura di), L’Amministrazione che cambia. Fonti,

147

rende oltremodo difficile intervenire in un sistema in cui cambiano continuamente le funzioni e le procedure: per cui una misura che in sede di elaborazione del piano poteva risultare utile, risulta poi non più applicabile, o deve magari essere accantonata per necessità più impellenti; oppure risulta non coerente con i nuovi obiettivi di risparmio di spesa, o al contrario con lo stesso principio di imparzialità, inteso come obbligo di completezza istruttoria, acquisizione degli interessi, loro adeguata ponderazione.

Gli esempi, sul punto, possono essere tanti. Sul versante della compatibilità tra misure anticorruzione e principio di economicità, si pensi a misure come la ‘duplicazione’ dei compiti affidati, sinora, a singoli funzionari o dirigenti (in funzione di controllo dell’operato del responsabile, si prevede, in sostanza che esso sia sempre affiancato da un altro funzionario, specie nell’esercizio di funzioni di natura ispettiva o di controllo). Come si concilia una misura di questo tipo con le esigenze di economicità ed efficienza, le stesse che hanno portato a considerare, nell’organizzazione amministrativa, la collegialità come eccezione e l’agire monocratico come regola?.

Un altro punto dolente è l’applicazione del dovere di astensione in caso di conflitto anche solo potenziale - norma introdotta, ormai, come regola generale del procedimento amministrativo19 - che presuppone la necessità di predisporre un’organizzazione in grado di

sostituire sempre, e con altrettanta competenza ed efficienza, chiunque sia impegnato nell’esercizio di mansioni di qualsiasi tipo. Dall’analisi della prassi emerge, purtroppo, come il dovere di astensione in alcuni casi abbia portato a veri e propri arresti procedimentali, dovuti all’incertezza sulla necessaria applicazione, sul procedimento da seguire, sull’individuazione dei sostituti. E che dire della rotazione degli incarichi dirigenziali, altra misura prevista direttamente dalla legge come contenuto obbligatorio dei piani? Si tratta di una previsione rispetto alla quale la lettura dei PTPC mostra frequenti tentativi di adattamento, se non di vero e proprio aggiramento da parte delle amministrazioni. Nella migliore delle ipotesi, la previsione è stata trasformata nella mera ‘procedimentalizzazione del rinnovo degli incarichi’ (introducendo oneri aggravati di motivazione, prevedendo un sistema trasparente ed accessibile al pubblico di verifica degli atti nomina, etc.); segnale, questo, che può anche essere letto come una resistenza al cambiamento, ma che può anche

148

avere giustificazioni oggettive, legate alle oggettive difficoltà di una rotazione forzata di incarichi di responsabilità. Quest’ultimo punto, peraltro, è uno di quelli sui quali si registra la massima distanza tra l’opinione pubblica prevalente – molto diffidente, ormai quasi intollerante alle posizioni di potere troppo consolidate – e le ragioni dell’amministrazione, che fatica, in un contesto di risorse umane spesso scarso e non rinnovabile, a praticare la rotazione.

Esempi di misure anticorruzione che possono incidere, invece, sul principio di imparzialità possono rinvenirsi nella moltiplicazione delle ipotesi in cui i PTPC prevedono la predeterminazione di criteri, attraverso la emanazione di direttive, o regolamenti, o addirittura l’elaborazione di schemi-tipo di provvedimenti, per ridurre o attenuare la discrezionalità amministrativa (per esempio, verbali-tipo per le commissioni di concorso). Non sempre, infatti, l’attenuazione della discrezionalità può considerarsi una scelta coerente con il principio di imparzialità perché, se da un lato elimina il rischio corruzione, dall’altro tende ad eliminare proprio quella necessaria opera di acquisizione e ponderazione tra interessi che rappresenta il proprium dell’agire amministrativo, rischiando così di imbrigliare la P.A. in scelte predeterminate a monte, meno idonee al caso concreto.

Vi sono poi le misure di trasparenza, che – come è già stato evidenziato da moltissimi autori – trasformano nel profondo il modo di essere dell’amministrazione, condizionata, nell’esercizio dei suoi poteri, dalla necessaria apertura alla pubblicità di tutta la sua organizzazione e di buona parte dei suoi processi decisionali20. Su questo punto, addirittura,

i PTPC sono chiamati a prevedere obblighi di pubblicità ulteriori rispetto a quelli, già molto consistenti, previsti dalla legge e dal PNA. Ma questi obblighi – si è detto – sono di portata tale da rischiare di distogliere l’attenzione delle amministrazioni dai loro compiti primari, indirizzandole prioritariamente al compito di rendersi “aperte” e conoscibili, cioè di selezionare, predisporre, aggiornare i dati da pubblicare. Di qui la preoccupazione – forse eccessiva - che l’amministrazione “passi parte del proprio tempo soprattutto a organizzarsi,

20 Sul punto, ex multis, si v. i saggi contenuti nel numero monografico La nuova declinazione del principio di trasparenza, in Istituz. Fed., 3-4/2013.

149

invece di agire”21, posto che, senza risorse aggiuntive, deve adempiere a maggiori

incombenze.

L’esperienza attuativa mostra, peraltro, come alcuni obblighi di pubblicità possano anche determinare effetti non voluti, sia sull’organizzazione che sull’attività. Si pensi ad esempio all’effetto deterrente delle misure di pubblicità nei confronti dei privati, titolari di cariche pubbliche, partecipanti o sostenitori di organismi pubblici. Costoro potrebbero essere indotti a ritirare la loro disponibilità o partecipazione per sottrarsi a questa esposizione al pubblico dei loro dati. Ancora, la pubblicazione degli atti di gara può determinare la diffusione di dati suscettibili di essere utilizzati da imprese concorrenti per finalità totalmente slegate dal controllo sulla correttezza degli appalti pubblici: e spingere quindi alcuni operatori economici a rinunciare a partecipare ad un certo numero di gare, magari quelle su cui si ha meno probabilità di vittoria, per minimizzare questo rischio, a detrimento di quella stessa concorrenza che si intende, invece, incrementare.

4. Le condizioni e qualche modesta proposta per una reale efficacia delle politiche