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L’impatto diretto dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo

Nel documento Salute Mentale e Cambiamenti Climatici (pagine 31-61)

CAPITOLO II: CAMBIAMENTI CLIMATICI E SALUTE DELL’UOMO

2.2 L’impatto diretto dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo

Il cambiamento climatico non è più una minaccia incombente, ma piuttosto una realtà presente e distruttiva, con previsioni disastrose per il futuro.

Come i cambiamenti climatici sono la diretta conseguenza del riscaldamento globale, essi rappresentano una grave minaccia diretta per l’essere umano.

Per quanto riguarda gli impatti diretti sulla salute, secondo Luber e colleghi (2014) le ondate di calore, unito agli inquinanti atmosferici presenti, possono andare ad

aggravare ed esacerbare patologie polmonari, cardiovascolari e malattie respiratorie.

È probabile che il cambiamento climatico sia associato a maggiori livelli di inquinamento atmosferico poiché la combustione di combustibili fossili tende a produrre inquinanti, come particolato, ozono e carbonio. L'aria più calda tende anche a trattenere livelli più elevati di questi inquinanti.

Ci sono prove crescenti che indicano come la scarsa qualità dell'aria può avere impatti sia a breve che a lungo termine sulla salute mentale (Buoli et al., 2018).

A tal proposito, diverse revisioni sistematiche hanno trovato un'associazione tra il livello di particolato fine (PM 2.5) e il deterioramento cognitivo negli anziani, o

32 problemi comportamentali (legati a problemi di impulsività e attenzione) nei bambini (Donzelli G., et al., 2020).

Oltre a categorie di persone che possono essere particolarmente vulnerabili agli impatti delle ondate di calore e della qualità dell’aria, anche chi soffre di patologie mentali risulta più sensibile agli effetti del cambiamento di temperatura. Nella review di Palinkas e Wong (2019) vengono citati i dati di Schwartz e collegi (2017), che indicano come le ondate di calore possono esacerbare disturbi del comportamento e patologie mentali, e contribuire ad un più alto tasso di morbilità, mortalità ed ospedalizzazione tra gli individui che vivono queste condizioni, specialmente per coloro i quali presentano disturbi neurocognitivi, schizofrenia, abuso di sostanze e disturbi dell’umore.

Questi fenomeni di calore possono causare, inoltre, difficoltà nella termoregolazione associata a farmaci psichiatrici e (Palinkas e Wong, 2019) e cambiamenti nella concentrazione di alcuni neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e triptofano, aumentando così il rischio di malattie psichiatriche.

Non sono solo le ondate di calore a produrre un così forte impatto sulle persone, ma anche altri aspetti di cambiamento climatico come, ad esempio, prolungati periodi di siccità. In particolare, come riportano varie ricerche tra cui quella di Berry, Bowen e Kjellstrom (2010), sempre citati nella review di Palinkas e Wong (2019), condotte in Australia, hanno dimostrato che prolungati periodi di siccità causati dal cambiamento climatico, possono essere legati ad un maggiore stress psicologico, aumento dei tassi di aggressività, ansia generalizzata, depressione ed un incremento di incidenza di suicidi/omicidi.

Altri eventi estremi quali uragani, tornado e inondazioni, oltre a comportare un altissimo tasso di mortalità, dovuto all’evento di per sé, possono provocare altri effetti diretti sulla salute mentale dell’individuo, il Disturbo Post Traumatico da Stress ne è un esempio.

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2.2.1 PTSD ed eventi estremi

Freud in “Introduzione alla Psicoanalisi” scrive: “Quando un evento traumatico scuote quelli che erano stati fino ad allora i fondamenti della sua esistenza, un

individuo subisce una tale scossa da perdere ogni interesse per il presente e il futuro e da rimanere assorbito psichicamente dal passato in maniera durevole”.

Il trauma è legato a sensazioni di impotenza rispetto a situazioni sconvolgenti, incontrollabili e improvvise che suscitano paure e terrore.

Un’esperienza traumatica è spesso accompagnata ad un alto livello di stress, una serie di attivazioni fisiologiche e comportamentali messe in atto da un organismo per fronteggiare le sollecitazioni, o stimoli stressanti, che tendono a turbare l’equilibrio dell’organismo.

Quando lo stress è associato ad un trauma, inteso come evento che ha un impatto violento sull’insieme dell’organismo fisico e psichico, può creare una condizione di predisposizione all’insorgenza di disturbi psichiatrici, come il Disturbo Post

Traumatico da Stress (PTSD da Post-Traumatic Stress Disorder), che è in genere considerato un disturbo psicologico in risposta ad uno stress estremo.

Il PTSD è un disturbo che può nasce in seguito a un evento estremo, traumatico, quale uragano, terremoto, tsunami oppure come conseguenza di un incidente, e si caratterizza per una serie di sintomi psicologici e comportamentali che influenzano, poi, anche il fisico. Possono esserne vittime sia le persone direttamente coinvolte ma anche altre che assistono da lontano alla scena o sentono i racconti relativi all’evento traumatico stesso.

I sintomi della sofferenza psicologica che accompagna il disturbo da stress post- traumatico sono molti e sfaccettati ma, secondo il DSM-5, perché la sindrome possa essere diagnosticata con certezza, sono necessarie alcune caratteristiche appartenenti a quattro cluster sintomatologici cardine: Sintomi di rievocazione (sotto forma di incubi, flashback, ricordi ricorrenti ed intrusivi, imponenti reazioni fisiologiche in conseguenza a stimoli associati al trauma); Condotte di evitamento verso sentimenti, pensieri, persone, luoghi che ricolleghino all’evento; Alterazioni cognitive e

34 dell’umore (come riduzione dell’interesse generale, perdita della capacità di provare emozioni positive, pensieri distorti); Alterazioni persistenti dell’arousal e della reattività (ipervigilanza, reazioni di allarme, disturbi del ritmo sonno-veglia,

problemi di concentrazione, comportamenti spericolati e autodistruttivi (Dell’Osso et al. 2011), ( Weathers et al. 2017) .

Questo quadro sintomatologico deve persistere per più di un mese dal trauma, a differenza del Disturbo Acuto da Stress, per cui si effettua spesso la diagnosi differenziale e che differisce dal PTSD per la durata dei sintomi, che vanno da 3 giorni a 1 mese dall’esposizione al trauma.

Dal punto di vista clinico il PTSD è contraddistinto da un andamento

tendenzialmente cronico, scarsa risposta farmacologica e ripercussioni significative sull’adattamento lavorativo, sociale, familiare e su altre aree del funzionamento che conducono ad un peggioramento della qualità della vita ed un aumentato rischio di suicidio (Carmassi et al. 2018)

Le esperienze traumatiche hanno effetti neurofisiologici che si intrecciano al

significato psicologico che l’individuo attribuisce all’esperienza e alle credenze circa se stesso e il mondo (Adshead 2000).

La persona, attraverso le rievocazioni e i ricordi, può manifestare sintomi di iper-

arousal e re-experiencing dell’esperienza traumatica (Connor e Butterfield 2003).

Le memorie traumatiche restano come congelate al di fuori della possibilità di integrazione nella struttura dell’individuo e riemergono sotto forma di sensazioni corporee, postura, movimenti e immagini intrusive quando l’arousal si alza o si abbassa al di fuori delle soglie di tolleranza.

In questo caso, si ritiene implicato il sistema noradrenergico, difatti al maggior rilascio di noradrenalina si è riscontrata una maggiore ipersensibilità e iperamnesia verso le informazioni collegate al trauma. (Gidaro e Oleari 2003).

Le persone affette da PTSD possono inoltre presentare alterazioni nelle regioni cerebrali centrali nella risposta neurobiologica della paura, in modo specifico nell’amigdala e nell’ippocampo. Queste strutture fanno parte del sistema limbico,

35 l’area cerebrale implicata nella regolazione delle emozioni e della memoria.

L’amigdala svolge un ruolo nella valutazione del pericolo, nelle emozioni e nel condizionamento alla paura; l’ippocampo è implicato nell’apprendimento e nella memoria (Connor e Butterfield 2003). Gli ormoni come il cortisolo, rilasciato nelle situazioni di stress, fanno sì che gli eventi di forte carica emotiva siano trattenuti nella memoria.

L’esposizione ad uno stress prolungato, con alti livelli di cortisolo, può influire negativamente sul funzionamento dei sistemi di memoria, e questo comporta alterazioni nella rievocazione dei ricordi.

I ricordi accessibili a livello verbale risultano spesso vaghi, disorganizzati ed incoerenti, e probabilmente solo legati all’attivazione dell’ippocampo. Viceversa, i ricordi accessibili tramite immagini, di natura percettiva o sensoriale, vengono elicitati automaticamente e vissuti come se stessero succedendo nel momento stesso della rievocazione (Ardino 2006).

Durante un flashback, ad esempio, la persona si sente come se stesse rivivendo il trauma in quel momento, anche se si trova in un contesto sicuro e familiare. Vedere il fuoco nel camino in una notte d’inverno, o la semplice fiamma di un accendino, potrebbe suscitare un flashback in una vittima di incendio, che potrebbe esperire in tutto il terrore di quell’esperienza.

L’individuo può rimanere così diviso in due aspetti: quello che gli permette di andare avanti nella quotidianità, evitando i ricordi traumatici, e quello che

comprende tali ricordi e innesca azioni difensive automatiche contro la minaccia, ritrovandosi così a vivere una profonda dissociazione strutturale: una parte vuole reagire, l’altra rimane bloccata sul trauma.

Un altro aspetto che può compromettere il normale adattamento di un individuo è infatti l’evitamento di tutte le situazioni che possono innescare ricordi o pensieri relativi al trauma. Possiamo quindi immaginare l’impatto nella vita di una persona che, ad esempio, a seguito di un’inondazione, inizia ad evitare il contatto con l’acqua.

36 Si tratta quindi di una serie di stintomi che vanno ad impattare, in modo significativo, sul benessere del soggetto colpito.

Tra i criteri diagnostici del PTSD troviamo anche i cosiddetti comportamenti maladattativi, che comprendono aggressività e autodistruttività. Studi recenti hanno messo in evidenza come questi comportamenti costituiscano non una comorbidità, ma un aspetto nucleare del disturbo che vanno dall’abuso di sostanze a condotte autolesive a gesti suicidari (Carmassi et al. 2017).

A tal proposito, dal punto di vista neurobiologico diversi studi concordano nel sostenere un ruolo della disregolazione serotoninergica nel PTSD. Il fatto che sintomi specifici nella diagnosi di PTSD includano l’aggressività, l’impulsività, la depressione e il rischio suicidio ( nella cui regolazione riveste un ruolo importante questo ormone) suggerisce che le alterazioni della regolazione della serotonina possono essere coinvolte nella formazione dei sintomi di questo disturbo.

Nel DSM-5 tra le cause annoverate che possono scatenare PTSD, oltre altri traumi di vario tipo, sono incluse, appunto, le catastrofi naturali, che possono avere un impatto diretto sulla salute dell’individuo e non solo. Si tratta di eventi disastrosi che possono colpire intere comunità. Studi dimostrano infatti che catastrofi come terremoti o incendi possono portare epidemie di PTSD tra le vittime coinvolte (Goenjian et al., 1994; Prince- Embury e Rooney, 1988).

Alcuni studi relativi a disastri naturali in generale (Vlahov, 2005) fotografano un’incidenza media di PTSD intorno al 20-35%.

I disastri naturali come gli uragani, i terremoti e inondazioni sono da considerare eventi di proporzioni catastrofiche. Gli effetti di questi eventi sono dovuti a diversi fattori che influenzano il grado in cui la catastrofe viene vissuta come traumatica dall’individuo. Questi fattori possono includere la durata dell’evento catastrofico, la gravità, il grado di difficoltà psicologica dell’individuo prima della catastrofe e la disponibilità di supporto sociale prima e dopo l’evento. (Shalev et al.,1996)

37 La soglia oltre cui si resta sconvolti dalla paura e dal senso di impotenza varia infatti da una persona all’altra, ci sono infatti alcuni fattori di vulnerabilità e rischio per lo sviluppo di PTSD.

Studi si sono focalizzati su tre fasi particolari: pre-trauma, peri-trauma, e post- trauma.

Relativamente ai fattori di vulnerabilità pre-trauma, sebbene siano emerse poche tendenze chiare, alcune evidenze sembrano indicare un rischio maggiore di PTSD nelle persone con un livello di istruzione socioeconomico basso, di genere

femminile, con una storia di pregressi disturbi psichiatrici e/o personalità.

Anche determinati fattori ambientali ed esperienziali come il supporto sociale, condizioni delle infrastrutture e l'entità del degrado degli ecosistemi, le esperienze relazionali precoci o storie traumatiche pregresse possono influire sulla capacità della persona di fronteggiare lo stressor traumatico. (Carlson 2005; Andrews et al. 2003).

Per fase peri-traumatica ci riferiamo al periodo di tempo che va dal momento del trauma al momento immediatamente successivo.

La maggior parte degli studi ha evidenziato che i più forti predittori dell’insorgenza di PTSD sono la gravità del trauma (minaccia alla propria o altrui vita) ,lesioni fisiche, la sua durata, e la prossimità dell’individuo all’evento traumatico. (American Psychiatric Association 2002).

Svolgono un ruolo importante anche la prevedibilità e la controllabilità: è più probabile che le persone non riescano ad adattarsi agli alti livelli di stress se questi non sono né attesi né controllabili.

Infine per quanto riguarda il periodo post-trauma, un buon sostegno sociale, e le abilità di gestione dello stress risultano essere fattori protettivi .

In generale sono ancora poco chiari sia il momento in cui le reazioni acute a stress assumono rilevanza clinica sia i meccanismi che facilitano l’insorgenza del disturbo, visto che non tutti gli individui che subiscono un trauma sviluppano poi il PTSD.

38 È dunque necessario focalizzarsi sulle differenze individuali che costituiscono

possibili fattori di rischio o fattori protettivi.

Per comprendere quanto un evento traumatico può essere intenso, vanno considerate le variabili correlate all’evento traumatico ma anche le caratteristiche del soggetto, in particolare gli aspetti legati alla loro vulnerabilità e alle strategie di coping , intese come strategie di fronteggiamento.

Sono quell’insieme di risposte messe in atto dall’individuo che determinano la capacità di reazione e la gestione delle risorse emotive di fronte allo stress e alle difficoltà e che infine determinano la capacità di adattamento e di resilienza della persona (Brewin et al.2000).

Per riuscire a mantenere il controllo in situazioni che cambiano drasticamente, infatti, è necessaria una ristrutturazione rapida dei propri punti di riferimento,

ristrutturazione che non sempre si verifica facilmente.

Un buon sostegno sociale può contribuire a ristabilire il senso di controllo della persona e a ridurre la valenza negativa dell’esperienza. Tanto più nei bambini, che, per assorbire le loro esperienze emozionali, dipendono molto dagli altri.

2.2.2 La sofferenza psicologica post-disastro l’esempio del Nepal

Un’indagine di Caritas Italia (2017) sui terremoti che colpirono il Nepal il 25 aprile e 12 maggio 2015 e che causarono più di 8000 morti, si è proposto di misurare il livello di salute e di serenità delle persone a quasi due anni di distanza dai sismi.

È stato utilizzato come strumento di misura self-report il Pcl-5 (The Post-Traumatic Stress Disorder Checklist for DSM-5), composto da 20 item volti a valutare la presenza e la severità dei sintomi di PTSD.

È stato intervistato un campione eterogeneo di popolazione, precisamente 270 persone di estrazione sociale varia, sia uomini che donne, di età compresa tra i 12 e i 75 anni, coniugati e non, scelti in nuclei familiari che hanno e che non hanno

39 I ricercatori sono andati ad indagare sia la sfera emotiva e la sua attivazione, sia la sfera comportamentale e la modifica della stessa.

40% 38% 20% 2%

Incubi relativi al sisma

estremamente moderatament e

per niente

I grafici illustrano l’impatto che il ricordo legato al sisma ha, ancora, sulla popolazione sotto forma di pensieri intrusivi e incubi. Possiamo osservare come l’80% degli intervistati riferisca di avere pensieri intrusivi legati al sisma e il 78% di avere ancora incubi legati all’evento traumatico, a distanza di due anni.

Per quanto riguarda gli effetti sul comportamento quotidiano, il 74 % riporta ipervigilanza, mentre il 70% ha riferito sensazioni fisiche

spiacevoli, come palpitazioni, sudorazione, respiro affannoso, al solo ricordo dell’esperienza traumatica.

40 Non sono state rilevate differenze di genere, età o provenienza.

36,7% 34,1% 28,5% 0,7%

Sensazione fisiche

spiacevoli al ricordo

dell'esperienza

estremamente moderatamente per niente senza risposta 14,1% 25,9% 59,3% 0,7%

Colpevolizzare se stessi e

gli altri per ciò che è

successo

estremamente moderatamente per niente senza risposta 23% 33,7% 41,1% 2,2%

Percezione negativa di sè,

degli altri e del mondo

estremamente moderatamente per niente senza risposta

Sono state inoltre considerati altri indicatori di malessere: la

percezione negativa di sé, degli altri e del mondo, che risulta per il 56% dei soggetti; e il senso di colpa verso se stessi e verso gli altri per quello che è successo, condiviso dal 40% degli intervistati.

41 Risulta molto interessante la lettura dei dati relativi agli indicatori soggettivi in quanto, riferisce il dossier, nella società nepalese l’individualità è secondaria rispetto alla collettività (famiglia, villaggio, gruppo etnico, religioso o casta). In linea con i valori societari, essi tendono a non attribuire colpe negli individui o nei

comportamenti soggettivi. In Nepal, infatti, le solide fondamenta religiose spostano spesso le responsabilità e le cause su un piano divino e ultraterreno.

Alla luce di questi dati possiamo riscontrare come, anche a distanza di due anni dall’evento traumatico, le conseguenze e quelli che sono i sintomi di PTSD causino ancora un disagio significativo nella vita degli individui.

48,5% 27,5% 22% 2%

Difficoltà ad

addormentarsi e insonnia

estremamente moderatamente per niente senza risposta 40,4% 27% 29,6% 3%

Difficoltà di

concentrazione

estremamente moderatamente per niente senza risposta

Sono stati indagati anche altri sintomi che influiscono sulle capacità di recupero e ripresa delle attività lavorative, degli equilibri relazionali e della normalità della vita. Come osserviamo dai grafici si presentano con una frequenza ancora elevata, nonostante la distanza temporale dall’evento. Il 67% riferisce difficoltà di concentrazione mentre il 75% difficoltà nell’addormentarsi e insonnia.

42 Gli interventi messi in atto sino ad ora si sono poco concentrati sulla salute mentale delle popolazioni per prediligere la ricostruzione delle abitazioni, degli edifici pubblici e la creazione di opportunità di lavoro per le comunità. Anche queste attività, sono in realtà un aiuto fondamentale per la riabilitazione integrale delle vittime e quindi anche per il ripristino del loro equilibrio mentale, come abbiamo visto per quanto riguarda le vulnerabilità nella fase post-trauma. Anche se di per sé non sono sufficienti.

2.3 Impatti indiretti sulla salute dell’uomo: Ecoansia

“Forse per comprendere le malattie dell’anima dobbiamo comprendere le malattie del mondo”, scrive James Hillman (2002) l’autore, manifesta la necessità, da parte della psicologia, di nutrire nuove idee. Queste nuove idee, secondo lui, sono insite nel mondo, dalla psiche ecologica, dall’anima stessa del mondo che è dimora dell’anima dell’uomo.

Il Pianeta ci sta comunicando in diversi modi che sta soffrendo, soffre di una malattia in parte determinata dagli esseri umani. Esiste infatti una connessione profondamente radicata tra la terra e le sue creature, e quando il mondo soffre, anche i suoi esseri in qualche modo stanno male.

Le conseguenze del cambiamento climatico possono provocare un profondo disagio emotivo a lungo termine nelle persone, determinato anche dalla consapevolezza delle minacce e degli impatti che può avere sul benessere attuale e futuro della terra e dei suoi abitanti.

Sono numerose le vittime le conseguenze devastanti che i cambiamenti climatici provocano direttamente sulla salute dell’individuo. Oltre, però, agli impatti diretti sul benessere dell’uomo, possono scaturire anche una serie di problematiche e disagi che colpiscono in modo indiretto l’individuo stesso.

Tutta la situazione e le informazioni che provengono dai media e che possiamo osservare direttamente, possono raggiungere la coscienza in modo diretto così come

43 possono essere percepite a livello subconscio. Queste percezioni non ben comprese possono tradursi facilmente in una sensazione di angoscia.

La prospettiva del futuro diventa incerta, se si prova a pensare ad una possibile soluzione, ad un cambio di rotta, ci si sente impotenti. È come se fosse qualcosa di troppo grande e ingestibile stesse mangiando le cose belle del mondo.

Ci sono molti modi di pensare alla risposta emotiva derivata dalla percezione del degrado ambientale. Alcuni dei lavori più noti sono stati suggeriti dal filosofo australiano Glenn Albrecht, che ha coniato il termine "solastalgia" per descrivere il disagio cronico che le persone sperimentano in risposta a un cambiamento

ambientale negativo, in particolare quando colpisce un ambiente conosciuto (Albrecht, 2005).

Successivamente Albrecht (2011) ha continuato a differenziare una serie di sindromi "psicoterratiche", cioè costellazioni di impatti sulla salute mentale associati a danni e cambiamenti ambientali.

Le sindromi psicoterratiche sono state descritte come comprendenti non solo la solastalgia, ma anche l'ecoparalisi (un'incapacità di agire sulle sfide ambientali a causa della percezione che sono incontrollabili), l’econostalgia (una percezione che un determinato ambiente fosse migliore in passato), e l’ecoansia.

Albrecht ha descritto queste sindromi come "esistenziali e non biomediche" in origine, riflettendo l'idea che le percezioni del cambiamento, piuttosto che l'esperienza sensoriale diretta, sono la causa della risposta emotiva.

L’Eco ansia, in particolare, è oggetto di crescente interesse. L’American Psychological Association (APA) descrive questa “paura cronica della rovina ambientale” e la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell'esistenza siano nel processo del collasso”.

Tutto questo è spesso associato ad un senso di perdita, mancanza di speranza e frustrazione dovuta all’incapacità di adattarsi al cambiamento climatico.

44 Nonostante l’eco-ansia non sia stata ancora inserita nel DSM-5, secondo l’APA tale disturbo sarà uno dei maggiori problemi futuri, in quanto il cambiamento climatico “sta erodendo la salute mentale su larga scala” causando attacchi di panico, PTSD, depressione e maggiore ideazione suicidaria (Fiori M., 2020).

Parlando dei disturbi d’ansia in generale, secondo il DSM-5, essi sono caratterizzati dalla presenza di paura o ansia eccessiva, con correlati sintomatologici associati.

La paura si potrebbe definire come una risposta emotiva a una minaccia imminente, in genere elicitata da un oggetto scatenante, l’ansia è piuttosto un’anticipazione di

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