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Salute Mentale e Cambiamenti Climatici

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Academic year: 2021

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CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA

CLINICA E DELLA SALUTE

“CAMBIAMENTI CLIMATICI E SALUTE

MENTALE”

RELATORE

CHIAR.MA PROF.SSA

Maria Capo

CANDIDATO

SIG.NA

Irene Saponaro

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2 RIASSUNTO

Il rapporto uomo-natura è mutato nel tempo. La natura dall’essere contemplata è diventata prima oggetto di studio poi materia da sfruttare.

Gli effetti del surriscaldamento globale sono noti, il clima sta cambiando

velocemente e in gran parte come conseguenza dell’impatto antropico. Quello che forse è ancora poco evidente è l’impatto di questa emergenza sulla salute mentale dell’uomo.

Eventi estremi come ondate di calore, uragani, alluvioni o inondazioni stanno aumentando di frequenza e intensità. Le conseguenze si manifestano a diversi livelli tra cui: fisico, psichico e psicosociale.

Fenomeni come le migrazioni climatiche, patologie quali il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) e nuove forme di disagio, come l’ecoansia, stanno emergendo in conseguenza alla crisi climatica.

Il contributo della psicologia risulta quindi fondamentale in questo quadro di

sofferenza, sia per affrontare le situazioni di emergenza e malessere, sia per stimolare una riflessione ed una presa di coscienza collettiva e di rispetto verso il nostro

Pianeta.

L’Ecopsicologia propone una prospettiva che mette in risalto l’importanza del

rapporto uomo-natura, promuovendo un senso di connessione, oltre che con se stessi, con il resto del mondo, attraverso la partecipazione attiva dell’individuo come

membro di un sistema collettivo.

Risulta importante e necessario, nel presente e per il futuro, cercare di cambiare il proprio atteggiamento verso una dimensione più sostenibile per il nostro pianeta.

Cercare di indagare quei fattori che possono influenzare, o viceversa impedire, la messa in atto di comportamenti a favore dell’ambiente dovrebbe essere un obiettivo importante, per comprendere e stimolare la motivazione ad un cambiamento

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3 Parole chiave: cambiamento climatico, PTSD, migrazioni climatiche, ecoansia, ecopsicologia

INDICE

RIASSUNTO……….2

INTRODUZIONE……….5

CAPITOLO I: UOMO E NATURA………...6

1.1 Il rapporto dell’uomo con la natura ……….6

1.2 L’Ecopsicologia………..13

1.2.1 Inconscio ecologico…………... ….15

1.2.2 Contributo e principali direzioni di ricerca e applicazione dell’Ecopsicologia………...17

1.3 L’effetto benefico del contatto con la natura sulla mente ………...18

CAPITOLO II: CAMBIAMENTI CLIMATICI E SALUTE DELL’UOMO....26

2.1 Cambiamenti climatici………26

2.2 L’impatto diretto dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo ……….31

2.2.1 Eventi estremi e PTSD……….33

2.2.2 Sofferenza post-disastro: l’esempio del Nepal………38

2.3 Gli impatti indiretti dei cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo: Ecoansia………..42

2.3.1 Affrontare l’ecoansia: la natura corre in soccorso………...49

(4)

4 CAPITOLO III: SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, IL CONTRIBUTO

DELLA PSICOLOGIA ………..59

3.1 Azioni pro-ambientali e benessere……….…...60

3.2 Barriere psicologiche alla sostenibilità………..…...65

3.3 Obiettivo benessere uomo-natura………..…... 70

CONCLUSIONI ………...75

BIBLIOGRAFIA………..………76

(5)

5 INTRODUZIONE

L’intento di questo elaborato è quello di far luce sull’interrelazione che esiste tra cambiamenti climatici e salute mentale.

Nel primo capitolo si va ad affrontare il rapporto dell’uomo con la natura, come questo si è modificato nel corso del tempo e degli effetti benefici che gli ambienti naturali possono avere sulla mente.

L’ecopsicologia rappresenta il punto di incontro tra psicologia ed ecologia, ci soffermeremo sui contributi che questa disciplina può offrire.

Il secondo capitolo partirà dalle conseguenze che questa perdita di connessione con la natura ha comportato, ossia l’emergenza climatica che affligge il pianeta. Le conseguenze di questa emergenza influenzano l’uomo in diversi modi: diretti, attraverso eventi estremi che possono causare PTSD; indiretti, attraverso lo sviluppo di nuove forme di ansia climatica; e psicosociali, con il fenomeno delle migrazioni climatiche.

Nel terzo capitolo, infine, affronteremo i contributi che la psicologia può offrire in questa situazione di emergenza climatica, oltre all’assistenza psicologica, secondo una prospettiva di fiducia nelle potenzialità dell’essere umano.

Andremo infatti ad indagare quali potrebbero essere i fattori di influenza e,

viceversa, le barriere psicologiche alla sostenibilità. Capire quali sono le motivazioni sottostanti potrebbe risultare utile per la pianificazione e programmazione di strategie di intervento mirate.

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6

CAPITOLO I: UOMO E NATURA

La Natura è un tempio dove incerte parole mormorano pilastri che sono vivi, una foresta di simboli che l'uomo attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari.[…]

Corrispondenze , Charles Baudelaire

1.1 il rapporto dell’uomo con la natura

Quale relazione intercorre tra psicologia ed ecologia? Per rispondere a questa domanda è interessante ripercorrere la storia dell’uomo e del suo rapporto con la natura.

Fin dagli albori, si può ritenere che l’essere umano abbia stretto con il suo ambiente naturale un legame molto profondo. La natura, dotata al contempo di una forza generatrice e distruttrice, capace di offrire i frutti della sua terra e allo stesso tempo fonte di pericolo, viene contemplata, temuta e osservata dall’uomo.

Osservando la potenza dei tuoni, l’immensità delle catene montuose, la diversità della fauna e della flora, la vastità dei mari e degli oceani e tutto ciò che offriva ed offre la nostra terra, il nostro antenato umano del Paleolitico ha iniziato ad

interrogarsi sull’origine di quelle forze che vedeva manifestarsi nel sua ambiente di vita primordiale. Forze allora sconosciute.

La Grande Madre, divinità femminile che caratterizza il culto dal Paleolitico al Neolitico, si incarnava in una vasta gamma di simboli che vanno dal mondo animale fino ad oggetti inanimati. Il culto della Dea Madre, è il più antico di cui abbiamo testimonianza, e, attraverso i reperti ritrovati, si può dire accomunasse culture e aree anche geograficamente lontane.

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7 Essa viene descritta da Jung (1980a) come l’archetipo dell’antica immagine della materia, capace di abbracciare e di esprimere il profondo significato emotivo della Madre Terra.

Nell’inconscio collettivo dell’umanità il ruolo della natura viene assunto come un principio che ci genera, accoglie e fa crescere.

Gli elementi dell’ambiente diventano successivamente Dei e Dee, l’uomo antico considera “divino” tutto ciò che in Natura non riesce a spiegarsi e le divinità assumono aspetti “magici” del mondo circostante.

Le divinità hanno rappresentato le forze della natura: cielo, terra, aria, acqua. Questa forma di divinazione assume il nome di “politeismo naturalistico”.

Nut l’egizia del cielo, Iside, sua figlia, la grande maga, Dea madre e regina.

Una della tante divinità della civiltà dell’antico Egitto (2500 a.C), era il Dio Ra, simbolo e raffigurazione della potenza del sole.

Successivamente il Dio-sole assume connotati antropomorfi, con caratteristiche del faraone e si presenta come il Dio-padrone.

Osiride, divinità egizia, era strettamente legato alla monarchia e venerato come un faraone. Viene raffigurato come il sole, come lo spirito del grano, come lo stesso Nilo, venerato come il promotore di ogni rinnovamento della natura, come la forza che regola il corso delle stagioni e il ritmo della vegetazione.

Trasformato in divinità a immagine e somiglianza del re, Osiride ne acquista tutte le caratteristiche: regge e domina la natura, così come il sovrano regge e domina la società. Il culto di questa divinità ha influenzato poi largamente il mondo greco – romano.

Nella civiltà greca antica le divinità continuano ad essere “potenze” che sintetizzano aspetti mitici e simbolici delle grandi energie che reggono il Cosmo e l’uomo stesso. Anch’esse dai caratteri antropomorfi, per metà uomini e divinità, sono molteplici, ma si possono ridurre come principi ad alcuni archetipi di riferimento ricorrenti.

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8 Troviamo Gea, la Dea greca della terra, Hera la Dea della fertilità.

A questo punto si può notare come le divinità non rappresentassero una mera astrazione, bensì la realtà della vita concreta e delle sue manifestazioni, il senso del vivere, il mondo. Il sole è energia vitale, intellettuale e divina così come la luna è regolatrice dei cicli degli esseri e creatrice di tutto ciò che vive sulla terra.

L’Anima Mundi è un concetto utilizzato dai platonici, ma presente sin dagli albori. Esso rappresenta il principio vitale da cui prendono forma tutti gli esseri viventi, legati tra loro da un’anima universale.

Quando si andranno poi ad affermare le religioni monoteiste, nella nostra società Occidentale il mondo spirituale viene confinato nelle creature umane, l’uomo Dio diventa l’unico creatore.

Citando un verso dell’Antico Testamento ne la “Genesi” della creazione dell'uomo: “Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame e su tutta la terra, e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». […] Così Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio. […]Dio poi disse loro: «Siate fruttiferi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e sopra ogni essere vivente che si muove sulla terra» (Genesi 1:26-27-28).

In questo racconto è marcata la centralità dell’uomo nel creato. Esso viene originato per primo e tutto il resto viene creato in sua funzione. Emerge chiaro il concetto di predominio e di potere che l’uomo può avere sulla terra, i verbi “soggiogare e dominare” hanno infatti un carattere molto forte.

Questa concezione va di pari passo con l’appropriazione dell’uomo del proprio potere di azione e di interazione con il mondo (Danon M., 2006a, p.5).

Le Dee al femminile quanto sono più antiche tanto sono più potenti, mentre negli ultimi duemila anni hanno dovuto accontentarsi di ruoli sempre più marginali nel pantheon ufficiale di molte religioni e, in particolare, nella tradizione Occidentale improntata da ebraismo, cattolicesimo, protestantesimo e islamismo, in cui l’immagine prevalente è quella del Dio Padre.

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9 Nonostante ciò l’incarnazione della potenza e degli elementi della Madre Terra permangono, nella religione cristiana, ad esempio, troviamo Maria, che racchiude in sé qualità e caratteristiche di tutte le figure che l’hanno preceduta.

Dal XVII secolo si va ad affermare in Occidente, quella che noi concepiamo come scienza moderna, un nuovo modo di guardare alla natura e ai suoi fenomeni.

Anche la mente umana diventa oggetto di interesse e studio. Fino a metà del XVIII secolo lo studio della mente, per quanto fosse considerato argomento degno del massimo interesse, era visto come un settore proprio degli studi filosofici, e non una disciplina autonoma e con caratteristiche “concrete” tali da poter essere studiata con la metodologia delle scienze sperimentali.

Fu Wolff (1732-1734), che distinse nella sue opere tra psicologia empirica e psicologia filosofica, con la prima che cercava di individuare dei princìpi che

potessero spiegare il comportamento dell’anima umana, mentre la seconda indagava sulle facoltà dell’anima stessa.

Ma sarà soltanto nel secolo XIX, in Europa, che si realizzeranno le condizioni storico-scientifiche per il realizzarsi di una psicologia come scienza e come disciplina.

L'Ottocento, infatti, è il secolo nel quale si realizza un salto qualitativo nelle

conoscenze medico-biologiche, e allo stesso inizia a farsi strada la convinzione che anche i processi psichici si possono studiare allo stesso modo delle altre attività dell'organismo.

Abbandonando i principi trascendenti per spiegare la realtà naturale, l’uomo inizia a concepire la scienza della mente come un sapere oggettivamente verificabile e pubblicamente controllabile.

Dalla psicologia scientifica di W.Wund (1879) iniziarono ad affermarsi diversi approcci, sperimentali e teorici, dagli studi sulla percezione della realtà della Gestalt al comportamentismo nel Novecento.

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10 Si capì presto però che le leggi e le dinamiche della mente non potevano essere ridotte e spiegate secondo principi e leggi prevedibili e controllabili.

Con la psicoanalisi, nei primi decenni del Novecento, l’interesse si incentrò sulle dinamiche inconsce e sui processi psichici interni all’individuo.

Un cambio di visione dell’essere umano e delle sue dinamiche, non più spiegate attraverso teorie semplicistiche, andava sviluppandosi, anche attraverso il

cognitivismo, che vede le sue origini partire dagli anni sessanta del ‘900. L’individuo ora è un sistema complesso, attivo e non più passivo, in cui la mente è il principale oggetto di studio. Da qui si svilupperanno numerosi orientamenti che coinvolgono diversi aspetti dell’esperienza umana.

Attraverso poi la neuropsicologia , la mente può essere studiata attraverso i processi cognitivi e comportamentali, che vengono correlati con i meccanismi anatomico funzionali che ne permettono il funzionamento.

Il senso di connessione e appartenenza, che ha caratterizzato il rapporto dell’uomo col mondo per migliaia di anni, è andato perso soprattutto negli ultimi secoli. La rivoluzione scientifica e lo sviluppo industriale del XVII secolo hanno decretato il potere di conquista dell’uomo sull’ambiente. Grazie alla scienza e all’affermarsi della ragione ora sappiamo che la natura non può essere influenzata da magie e incantesimi, ma possiamo invece ottenere un sempre maggiore predominio su di essa attraverso la scienza e la tecnologa.

Scrive Jung “La nostra vita presente è dominata dalla dea Ragione, che costituisce la nostra maggiore e più tragica illusione.” (Jung C.G., 1980b).

“Il mondo naturale diventa lo sfondo davanti al quale si svolge la commedia umana” afferma Rupert Sheldrake (1933). E può assumere anche aspetti tragici.

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11 L’uomo muta in “homo aeconomicus” che secondo Joel de Rosnay1, in un’ intervista

alla RAI del 6/9/1995 “è ciò che siamo diventati possedendo e godendo beni e servizi in modo egoista”, e si allontana sempre di più dal contesto naturale.

L’individuo diventa funzionale a un sistema produttivo, un sistema fuori dal suo diretto controllo, e oggetto del sistema economico. Spinto così a considerare merce e prodotto ogni cosa che lo circonda: la natura, la bellezza, le persone (Danon M., 2006b, pag.9).

Secondo Jung quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L’uomo si sente isolato dal cosmo, perché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua “identità inconscia” emotiva con i fenomeni naturali. Questi a loro volta, hanno perduto poco a poco le loro implicazioni simboliche. Il tuono non è più la voce di una divinità irata, né il fulmine il suo dardo vendicatore. I fiumi non sono più dimora degli spiriti, né gli alberi il principio vitale dell’uomo, né il serpente l’incarnazione della saggezza o l’antro incavato della montagna il ricetto di un grande demone. Nessuna voce giunge più all’uomo da pietre, piante o animali, né l’uomo si rivolge al mondo naturale certo di essere ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e, a causa di ciò, è venuta meno quella profonda energia emotiva che il contatto simbolico sprigionava” (Jung C.G., 1980c, pag.104)

Emerge la necessità di un cambio di visione dell’essere umano e del suo rapporto con il mondo che lo circonda, una visione che includa ancora gli altri, la terra, la natura.

Negli anni ’50 si pongono così le basi per un nuovo approccio psicologico basato sulla fiducia e sulle capacità individuali che prenderà il nome di “Psicologia umanistica” di cui Avraham Maslow ne è il fondatore.

Con l'opera di Carl Rogers "La terapia centrata sul cliente” (1951) la psicologia umanistica assume sempre più importanza soprattutto per il cambio di ottica nei confronti di come viene affrontato il sintomo nel soggetto, analizzato nella sua interezza.

1

Joel de Rosnay, scienziato e filosofo contemporaneo, direttore de La citè de la science et de

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12 La caratteristica principale di questa nuova visione dell’essere umano è quella di considerarlo con un tutto, tenendo conto dell’esistenza di molteplici fattori che ne influenzano la salute mentale. Questi fattori convergono e si relazionano tra loro: le emozioni, il corpo, i sentimenti, il comportamento, i pensieri, etc.

Nell’approccio terapeutico classico il sintomo viene affrontato come un “male” da inseguire ed estirpare dall’individuo. L’approccio della psicologia umanistica non si concentra sul modello del deficit e nel cercare di indagare ciò che manca alla

persona, ma si focalizza sulle risorse, insite nel singolo, sulle sue competenze e sul suo punto di vista.

Questo nuovo modello mette in risalto il ruolo attivo dell’individuo nel confronti della realtà materiale, quella in cui opera quotidianamente, e si oppone ad una prospettiva meccanicistica ed utilitaristica.

La visione della condizione umana viene basata sulla libertà, sul significato della vita, sulle emozioni e sulle responsabilità. Le persone hanno la capacità di prendere le proprie decisioni e di intraprendere uno sviluppo per quanto riguarda le loro potenzialità.

L’individuo viene considerato come un essere (in parte) responsabile della sua stessa esperienza e delle sue azioni, in possesso di una tendenza innata

all’autorealizzazione, unico, capace di rendersi conto delle risorse che ha a disposizione per svilupparsi e crescere.

Lo psicologo funge da veicolo all’individuo affinché possa arrivare a comprendersi e svilupparsi attraverso le proprie capacità.

A partire da questa diversa visione olistica dell’essere umano si possono innescare una serie di cambiamenti, che possono includere anche l’interazione ed il rapporto con l’ambiente.

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13

1.2 L’ Ecopsicologia

La realtà psichica si estende quindi oltre la sfera individuale, la realizzazione del sé avviene attraverso il risveglio della natura spirituale di ogni individuo e delle sue qualità più genuinamente umane (Assagioli R., 1988, cit. da Lattuada P.L., 2018)

L’individuo soffre, la natura soffre.

La psicologia e l’ecologia quindi si incontrano. La Psicologia che si occupa del “Ambiente interno” e l’Ecologia che si interessa del “Ambiente esterno”. Si incontrano “sulla spinta di un’emergenza, di una crisi nei rispettivi ambiti di interesse” (Danon, 2006c)

L’allievo di Jung, James Hillman, riprende la concezione di Anima Mundi,

all’interno della sua psicologia archetipica. L’autore riflette sullo stretto rapporto tra uomo e natura raffigurando il giardino come metafore della psiche, un intreccio tra qualcosa di selvatico e di controllato, di spontaneo e di modellato, un riflesso della nostra psiche interiore. Hillman afferma, in un’intervista di Silvia Ronchey2

, di percepire profondamente come la distruzione ecologica che caratterizza il nostro periodo storico sia in un certo senso la spia più generale di un pessimo rapporto che l’uomo moderno intrattiene con la natura e, quindi, anche con gli aspetti più naturali insiti nella psiche.

Emerge la necessità della psicologia di estendere il suo campo di studio includendo il rapporto tra individuo e pianeta, e prendendo in considerazione la connessione tra malessere psicologico e disequilibrio ambientale.

L’ecologia, invece, dovrebbe concentrare maggiormente la sua attenzione sul ruolo che la singola persona esercita, e potrebbe sviluppare attraverso un maggiore coinvolgimento, sull’equilibrio dell’ambiente.

Il biologo Rupert Sheldrke concepisce infatti l’ecologia “Non solo come fare ma anche come “essere”, nello sforzo di meglio comprendere la natura umana che, plasmata dalla tradizione e dalla memoria collettiva, è legata alla Terra e ai Cieli e a

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14 tutte le forme di vita, oltre che coscientemente aperta alla forza creativa

dell’evoluzione.”

Parte quindi da qui, il punto di incontro tra le due discipline. L’Ecopsicologia inizia a svilupparsi negli anni ’70, ma sarà dagli anni ’90 che acquisisce una direzione più definita. Nasce dall’esigenza di alcuni accademici americani dell’ Università di Berkeley - Elan Shapiro, Alan Kanner, Mary Gomes e Rober Greenway – di fornire un contributo, da parte della psicologia, alla gestione della crisi ecologica che affligge il mondo contemporaneo.

Questa nuova prospettiva mira ad una migliore comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda, per riconoscere che la natura non è qualche cosa di separato da noi ma parte di noi. Comprendendo questo, secondo l’ecopsicologa Marcella Danon, il nostro atteggiamento e il nostro comportamento nei confronti

dell’ambiente che ci circonda tende a cambiare.

Il “Manifesto” dell’Ecopsicologia è dato dal libro di Theodor Roszak, storico della cultura che va ad unirsi al gruppo di Berkeley, e nel 1992 pubblica “The voice of the Earth” .

Secondo l’autore la psiche umana deve affrontare sollecitazioni e pressioni che la società le impone; talvolta le richieste sono squilibrate alle esigenze della propria economia interna biologica e non si adattano a quello che è l’equilibrio interno della persona.

Quello che Roszak afferma è che il moderno ambiente culturale ci ha richiesto un'enorme orientamento dell'attenzione e dell'energia, allo scopo di rimodellare la Terra per adattarla ad un modello di economia industriale globale. Per due secoli abbiamo subordinato il pianeta e le nostre esigenze personali più profonde a questo progetto. Questo grande atto di alienazione collettiva, suggerisce l’autore, sta alla radice sia della crisi ambientale che della nevrosi individuale.

Freud (1929) ne “Il disagio della civiltà” indaga quali posso essere le fonti della felicità per l’essere umano, secondo la spinta del “principio di piacere” che mira ad

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15 evitare le fonti di dolore e dispiacere per soddisfare le esigenze biologiche e

psicologiche.

Secondo Freud, in origine, l’Io include tutto, in seguito separa da sé un mondo esterno. Quello che noi percepiamo come istanza “Io” nel presente non è altro che il residuo di un sentimento più ampio che comprendeva una “comunione più intima dell’Io con l’ambiente” (ibidem). Questo sentimento primario dell’Io si conserva nella vita psichica di molte persone e si esprime attraverso un senso e una spinta di “comunione con il tutto”.

Questo senso di comunione con il tutto è il sentimento intimo che caratterizza l’approccio dell’Ecopsicologia, secondo cui “la perdita di connessione con sé è strettamente correlata alla perdita di connessione con il resto del mondo”. (Danon M., 2006d)

1.2.1 L’Inconscio Ecologico

Così come l’obiettivo di precedenti terapie è stato quello di recuperare il materiale represso nell’inconscio personale, così l’obiettivo dell’Ecopsicologia è quello di recuperare il senso di appartenenza e di reciprocità nei confronti dell’ambiente che risiede nell’inconscio ecologico.

L’inconscio ecologico richiama evidentemente al concetto di Inconscio Collettivo di Jung che, a sua volta, deriva dall’approccio transpersonale della psicologia.

Maslow e Rogers gettarono infatti le basi per la nascita della psicologia transpersonale di cui Carl Gustav Jung fu il maggior esponente.

Oltre, infatti, agli aspetti personali dell’individuo e alle dimensioni dell’esperienza interiore, emerge la necessità di trascendere dai confini personali per ampliarli verso un insieme aperto e collegato, nella sua realtà più intima, profonda, ad una

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16 stessi, verso una coscienza in cui tutte le cose trovano la loro origine e il loro

principio costitutivo attraverso un dimensione “spirituale”.

Gustav Jung postulò l'esistenza di un Inconscio Collettivo, inizialmente da lui stesso definito “Uberpersonliche” (transpersonale).

Jung, oltre a ridefinire il concetto di Inconscio “personale” di Freud, confinato a contenere i rimossi e i desideri istintuali risalenti all’infanzia che spingono al soddisfacimento secondo il principio di piacere, estende i confini di queste istanze introducendo il concetto di Inconscio Collettivo.

Questa struttura psichica è comune all'intera umanità e contiene immagini, simboli, archetipi che si manifestano in tutti i popoli e culture.

Il proprio senso di identità si amplifica al punto in cui si diventa capaci di riconoscersi parte dell’intero pianeta.

Uno degli obiettivi dell’Ecopsicologia è di risvegliare quella parte della psiche più arcaica, che ci permette di connetterci ad una visione che supera i nostri confini individuali e che ci porta a sentirci parte del pianeta che ci ha dato origine, la Terra.

Roszak definisce l’inconscio ecologico: “L’inconscio collettivo, al suo livello più profondo, racchiude l’intera intelligenza ecologica di tutte le specie, la fonte da cui è scaturita la cultura, come riflesso consapevole di una emergente mente della natura.” Sempre secondo l’autore la causa del devastamento ambientale, insita nello sviluppo della civiltà industriale, è dovuta alla repressione dell’inconscio ecologico.

Compito dell’Ecopsicologia è riportare alla coscienza i contenuti rimossi

dall’umanità, nel corso della storia di sviluppo ontogenetico, per quanto riguarda il suo rapporto con l’ambiente naturale.

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17

1.2.3 Contributo e principali direzioni di ricerca e applicazione

dell’Ecopsicologia

Il punto focale, della pratica Ecopsicologica è l’evidenza della reciprocità di rapporto che correla il rispetto e la cura verso l’ambiente a partire dal rispetto e dalla cura verso se stessi.

Le figure professionali coinvolte includono terapisti, ma anche ambientalisti ed ecologi, che in sinergia collaborano unendo il loro bagaglio di conoscenze per fornire un contributo all’individuo che si trova in stato di crisi, oppure, spinto dalla curiosità, che si avvicina a questa prospettiva.

Il disagio individuale e sociale viene quindi correlato anche al quadro di emergenza ambientale e all’evidente sradicamento dalla natura. È questa la connessione tra “eco” e “psico”.

L’impegno dell’Ecopsicologia è infatti su due fronti: raggiungere risultati individuali lavorando su un’apertura e sensibilizzazione nei confronti dell’ambiente esterno; raggiungere risultati sul piano ambientale con un lavoro unico e specifico per ogni individuo.

Il paesaggio naturale diventa il nuovo setting terapeutico. I colori, gli spazi aperti, i suoni favoriscono il rilassamento mentale, scarico della tensione e di stress.

La crescita personale è considerata come un percorso per favorire uno sviluppo di una maggior consapevolezza ambientale, partendo dal postulato per cui più una persona si relaziona in modo autentico con se stessa più riuscirà a sviluppare le stesse modalità relazionali in contesti più ampi.

Oltre alla sfera cognitiva, anche l’esperienza fisica a contatto con la natura fa parte del progetto dell’Ecopsicologia. L’obbiettivo diventa risvegliare la sensibilità e l’attenzione soprattutto sull’aspetto emotivo.

“Ecotuning” è l’arte di sintonizzarsi con la Natura e con gli altri, rappresenta la pratica dell’Ecopsicologia che opera su diversi livelli: Sensoriale, affinando le capacità percettive; Affettivo, sollecitando le risposte emotive, insegnando ad

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18 accogliere e gestire la carica emozionale; Sociale, stimolando lo sviluppo reazionale, stimolando l’incontro e la collaborazione; Spirituale, invitando ad aprirsi ad una visione più ampia della vita.

Trova la sua collocazione anche a livello pedagogico. Per i bambini, caratterizzati da quella tendenza ad aprirsi con curiosità e meraviglia, i percorsi e il contatto in natura promuovono una visione della stessa non come risorsa da sfruttare o come

dimensione ostile, bensì come fonte di bellezza e gioia, come dimensione in cui la vita si manifesta.

La curiosità e l’apertura verso questa visione della vita può essere coltivata anche da adulti. A differenza della maggior parte dei bambini, l’adulto si trova ormai

impregnato di disillusioni e incastrato in routine e abitudini che possono favorire una sfiducia generale nel cambiamento sia individuale che globale.

La sfida più ardua dell’approccio dell’Ecopsicologia è proprio cercare di raggiungere un pubblico adulto , lo stesso che poi andrà a trasmettere valori e modi di

approcciarsi alla natura, per stimolarlo a riflettere, stimolare l’elaborazione di nuove strategie nell’impegno verso il pianeta, per ridimensionare quel senso di impotenza che affligge l’individuo di fronte a queste crisi umana e ambientale.

1.3 L’effetto benefico del contatto con la natura sulla mente

Gli esseri umani si sono evoluti in quello che sono oggi dopo il passaggio di 6-7 milioni di anni. Se andiamo a riflettere sulla storia della nostra specie, possiamo renderci conto di quanto tempo l’essere umano ha trascorso in un contesto naturale. Ci aiutano in questa riflessione Song e colleghi (2016) che scrivono: ”Se definiamo l'inizio dell'urbanizzazione come l'ascesa della rivoluzione industriale, meno dello 0,01% della storia della nostra specie è stata spesa in un ambiente moderno. Gli umani hanno trascorso oltre il 99,99% del loro tempo vivendo nell'ambiente naturale.”

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19 Gli strumenti e le nuove tecnologie che si sono diffuse nell’epoca moderna, hanno rivoluzionato le nostre dinamiche sociali, lavorative e di gestione della vita

quotidiana. Nonostante ci abbiano facilitato e agevolato, sotto diversi punti di vista, questi strumenti hanno comportato una rivoluzione anche del nostro modo di rapportarci con la natura e gli ambienti naturali. Alcuni studi (Pergams O., Zaradic P., 2007) hanno dimostrato che negli ultimi 20 anni il tempo speso in contesti naturali è diminuito drasticamente del 25%.

Non è difficile intuire come questi rapidi cambianti, come l’uso diffuso dei computer e altre forme di tecnologie, ci espongano ad elementi più artificiali e abitudini più sedentarie, esacerbando così i nostri livelli di stress. Il divario, infatti, tra l'ambiente naturale, per il quale le nostre funzioni fisiologiche sono adattate, e l'ambiente altamente urbanizzato e artificiale in cui viviamo è una causa che contribuisce allo “stato di stress” nelle persone moderne.

Come risultato di queste situazioni stressanti la terapia naturale, un metodo di promozione della salute che utilizza effetti come il rilassamento attraverso

l'esposizione a stimoli naturali, sta ricevendo crescente attenzione. È empiricamente noto che l'esposizione agli stimoli da fonti naturali induce uno stato di iperattività del sistema nervoso parasimpatico che rende una persona in uno stato di rilassamento.

I benefici del rilassamento indotto dalla terapia naturale, secondo l’approccio dell’

evidence-based medicine (EBM), includono effetti sul sistema nervoso centrale,

sistema nervoso autonomo, sistema endocrino e sul sistema immunitario.

Esistono prove evidenti dei benefici per la salute mentale di spazi verdi, trascorrere del tempo in la natura riduce l'ansia, la depressione e la solitudine, mentre la

mancanza di spazi verdi è associata ad un aumento sintomi (Maas et al., 2009).

Semplicemente guardando la natura migliora il benessere emotivo (Morris, 2003). Una recente meta-analisi ha rilevato una serie di risposte fisiologiche positive associate alla visione o all'essere in un ambiente naturale, comprese riduzioni significative nella pressione diastolica, nel cortisolo salivare e nella frequenza cardiaca (Bennett C.T., Jones A., 2018). La riduzione dello stress gli effetti del

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giardinaggio sono stati evidenziati attraverso minori livelli di cortisolo(Verdugo V.C. et al., 2011).

La terapia con esposizione a stimoli naturali comporta benefici che interessano tutte le fasce d’età e può essere applicata a diverse patologie sia fisiche che mentali. La salute mentale dei bambini, ad esempio, include il loro benessere emotivo, psicologico e sociale. Essa influenza il modo in cui raggiungono le tappe dello sviluppo, l’apprendimento di sane abilità sociali, le relazioni familiari e con i pari, la maturazione di un senso di identità e autostima positiva, oltre a influire su resilienza e sul modo di affrontare lo stress (Waddell et al. 2007).

I problemi di salute mentale sviluppati in giovane età hanno il potenziale per

persistere nell'età adulta, continuando a gravare sull'individuo, la famiglia, gli amici e il sistema sanitario. (Bardone, 1996). Molti studi hanno esaminato i fattori a livello individuale (ad es. socioeconomici) che possono essere associati ai risultati sulla salute mentale dei bambini, i ricercatori, però, stanno riconoscendo sempre più l'importanza degli stimoli esterni sulla salute mentale dei bambini, come le caratteristiche della loro casa, della scuola e dell'ambiente circostante.

Una patologia diffusa nell’età infantile è l’ADHD (Attention-Deficit/ Hyperactivity Disorder), un disturbo che colpisce circa il 5% della popolazione in via di sviluppo caratterizzato da un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività ed impulsività che interferisce con il funzionamento personale e sociale (Dell’Osso L., et al., 2018)

I sintomi devono essere presenti prima dei 12 anni secondo i criteri del DSM5, è sono caratterizzati da un’eccessiva attività motoria in contesti in cui essa non è appropriata, disattenzione, intesa come divagazione in occasione di compito specifico e difficoltà a mantenere l’attenzione, infine impulsività.

Questi sintomi interferiscono e riducono la qualità del funzionamento sociale, scolastico e, talvolta, lavorativo. Per questo, spesso, si tratta di bambini che tendono ad essere isolati dai coetanei che tendono ad evitarli per via dei comportamenti disturbanti e agitati.

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21 Uno studio che si è posto l’obbiettivo di indagare gli effetti dell’esposizione ad ambienti naturali su bambini con deficit di attenzione e iperattività (ADHD) ha dimostrato come le attività in un contesto “verde” abbiano portato ad una riduzione dei sintomi, rispetto alle attività svolte in altri contesti. (F.Kuo & A.Taylor, 2004)

Un ulteriore revisione di G. Vanaken e M. Danckaerts (2018) ha fornito una

panoramica degli studi osservazionali che valutavano l’associazione tra esposizione a spazi verdi ed una varietà di risultati sulla salute mentale nei bambini e adolescenti. Gli autori, esaminando sette studi riguardanti le difficoltà emotive e

comportamentali, hanno rilevato prove credibili per un'associazione tra l'esposizione agli spazi verdi e la salute mentale generale nei bambini. Nello specifico hanno riscontrato una correlazione significativa tra esposizione a contesti naturali, iperattività e problemi di disattenzione. Questa scoperta è supportata da due studi longitudinali che dimostrano l'associazione tra esposizione allo spazio verde e sviluppo neuropsicologico dell'attenzione e della memoria di lavoro.

La possibilità di alleviare i sintomi di questa patologia, attraverso attività svolte in contesti naturali, potrebbe essere una via che facilita l’integrazione sociale. I bambini affetti da ADHD, grazie al contatto con la natura, riescono infatti ad avere benefici sul proprio comportamento e conseguentemente anche nella vita privata e scolastica.

Secondo “la teoria dell’attenzione rigenerata” (ART, Attention Restoration. Theory; KaplaN S.,Kaplan R., 1989), l’esposizione ad ambienti naturali ha un effetto

rigenerativo sull’attenzione diretta, cioè sulla capacità di bloccare gli stimoli

distraenti durante lo svolgimento di un compito. Il bambino, infatti, riesce a liberare la mente dal frastuono e dal sovraccarico cognitivo e quindi a ristorare l’attenzione. Per questo, anche gli ambienti costruiti dovrebbero avere sempre degli elementi che richiamino la vegetazione come i panorami naturali, i prati verdi e/o l’acqua che scorre, in modo da poter prevenire e curare l’affaticamento mentale.

La natura può rappresentare dunque un’ottima terapia per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività da eventualmente affiancare alle altre tipologie di

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22 Un aspetto simile può riguardare anche gli anziani, che spesso si trovano in uno stato di solitudine oltre che di sedentarietà.

L’avanzare dell’età richiama spesso l’idea di regressione e impoverimento, una metafora utilizzata per descrivere questa fase della vita è quella della collina che interpreta lo sviluppo come un’ascesa fino alla maturità, una volta raggiunto l’apice segue un lento ma inesorabile declinare.

La riduzione di alcune funzionalità biologiche dovute al processo di invecchiamento possono essere compensate attraverso le capacità adattive del soggetto. Riprendendo la metafora della collina, sarebbe possibile trovare della strategie di adattamento che permettano di discendere la collina della vita “con successo”, migliorando così la qualità del percorso.

Anche questa fase della vita è caratterizzata da meccanismi biologici e psicologici individuali che possono determinare un buon adattamento o, viceversa, una condizione di disagio per il soggetto.

La percezione di precarietà del proprio stato di salute, la presenza di alterazioni metaboliche, strutturali e neurologiche sono alcuni dei fattori che concorrono a determinare una condizione di malessere.

Anche dal punto di vista sociale possono esserci fattori di rischio per il benessere del soggetto. La riduzione degli spostamenti, delle interazioni e degli stimoli ambientali, oltre a non favorire l’attività fisica e cognitiva, può portare a stati depressivi e quindi ad un peggioramento della qualità della vita.

Per quanto riguarda la depressione, non emerge una relazione lineare con il

procedere dell’età, mentre le valutazioni soggettive delle esperienze di vita appaiono i predittori più forti di questo stato di malessere.

Il benessere invece appare in funzione diretta e indiretta sia delle variabili strutturali e socioeconomiche e delle condizioni oggettive sia delle valutazioni soggettive delle esperienze in corso (Campell A. et al., 1976)

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23 Con il procedere dell’età cresce quindi l’importanza dei supporti ambientali e degli stimoli psico-sociali.

Le attività di giardinaggio, ad esempio, stimolano, attraverso la partecipazione attiva con la natura, attività fisica e maggiore contatto sociale.

Anche in questo caso i dati sono forniti da ricerche hanno evidenziato come il lavoro di giardinaggio aumenti il senso di autoefficacia e umore positivo e abbassi i livelli di cortisolo, oltre ad aumentare il senso di connessione sociale ( J.Hawkins et al., 2011).

Anche per quanto riguarda l’associazione tra demenze e attività in contesti naturali, i dati che le ricerche ci forniscono risultano interessanti. I sintomi di agitazione psicomotoria, infatti, sembrano diminuire in pazienti con demenza, durante attività in giardino. (R. Whear et al., 2014).

Relativamente alle patologie del tono dell’umore, si è visto come l’interazione con la natura abbia effetti benefici sia sulla dimensione cognitiva che su quella affettiva in pazienti con depressione maggiore. Questo studio di M. Berman e colleghi (2012) ha rilevato potenziamento della memoria e del tono dell’umore a seguito di esposizione ad ambienti naturali.

Una teoria che spiega gli effetti dell’esposizione alla natura sui nostri processi cognitivi è la Teoria del Restauro dell’Attenzione (TRA), sviluppata da Rachel e Stephen Kaplan, ma ancora utilizzata nel panorama psicologico.

La teoria afferma che le risorse di origine cognitiva (attenzione e emozioni), fisiologica (stress) e sociale, possono essere impoverite da contesti che ne limitano l’espressione e lo sviluppo. Viceversa, queste funzioni possono essere “restaurate” attraverso l’interazione con un ambiente rigenerante, come può essere quello

naturale, che offre la possibilità di prestare attenzione agli elementi del suo contesto, senza sforzo, attraverso “suggestioni soft”. Alleviando così la fatica mentale e lo stress.

Gli autori descrivono questi "ambienti riparativi" come quegli ambienti che

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24 riparativi richiedono quattro elementi: fascino (una forma involontaria di attenzione che richiede interesse senza sforzo, o curiosità); un senso di lontananza (fuga temporanea dal proprio ambiente o situazione abituale); estensione o ambito (la sensazione di essere parte di un tutto più ampio); e compatibilità con le inclinazioni di un individuo (opportunità fornite dal contesto e se soddisfano gli scopi

dell'individuo) (Kaplan e Kaplan, 1989; Hartig et al., 1991).gli ambienti naturali sono ideali per le esperienze riparative grazie alla loro capacità di soddisfare i quattro elementi sopra descritti.

Considerando che il tempo che adulti e bambini spendono con media e tecnologia supera quello trascorso in natura, R. Atchley e colleghi, basandosi sulla TRA, hanno indagato l’impatto che può avere sui processi cognitivi.

Gli autori hanno esposto alcuni partecipanti per quattro giorni in ambiente naturale in assenza di tutti gli strumenti tecnologici.

I risultati hanno mostrato aumento del 50% delle prestazioni delle funzioni cognitivi di ordine superiore (come problem solving, pensiero divergente e inibizione della risposta) dopo quattro giorni di esposizione alla natura. (Atchley et al. 2012)

Ne “Il disagio della civiltà” Freud afferma: “L’uomo tende al raggiungimento della felicità, ricercandola secondo il suo personale bisogno, e allo stesso tempo

allontanando o evitando tutte le fonti di dolore e dispiacere. […] Il godimento e apprezzamento della bellezza è una delle vie che l’uomo intraprende per soddisfare i suoi sensi e raggiungere la felicità: la bellezza delle forme e dei gesti umani, delle creazioni artistiche e scientifiche, degli oggetti naturali e dei paesaggi”.

La contemplazione della natura e delle meraviglie che può offrire ai nostri sensi è quindi un mezzo per stare meglio, e stare meglio nel mondo.

Oltre all’esposizione dal vivo a contesti naturali possono essere efficaci anche tecniche di esposizione virtuale.

Questo studio dell’APA ha identificato come un semplice intervento può aiutare a ridurre i livelli di violenza nelle carceri della massima sicurezza. I detenuti che hanno visto i video sulla natura hanno infatti mostrato livelli ridotti di aggressività, e

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25 avevano meno probabilità di essere indisciplinati rispetto a quelli in blocchi cellulari simili, secondo una ricerca presentata.

“Abbiamo bisogno della natura per il nostro benessere fisico e psicologico ", ha affermato la psicoterapeuta clinica Patricia H. Hasbach (2016), che ha presentato la ricerca. "Sebbene il contatto diretto con la natura reale sia più efficace, gli studi hanno dimostrato che anche l'esposizione indiretta alla natura può fornire un sollievo temporaneo dallo stress psicologico nella vita quotidiana."

Considerando il significato della qualità della vita nella nostra moderna società stressante, e considerando la crescente urbanizzazione che riduce gli spazi verdi disponibili nelle nostre città, l'importanza e la necessità del contatto con la natura aumenterà ulteriormente.

Le persone che hanno accesso agli ambienti naturali vicini si sono infatti dimostrate complessivamente più sane di altre persone. Gli impatti indiretti a lungo termine della "natura vicina" includono anche un aumento dei livelli di soddisfazione con la propria casa, il proprio lavoro e con la vita in generale ". (Kaplan e Kaplan, 1989)

Gli esseri umani oltre ad essere totalmente dipendenti dalla natura per bisogni

materiali (cibo, acqua, riparo, ecc.) necessitano di essa anche per bisogni psicologici, emotivi e spirituali.

Gli effetti terapeutici dell’esposizione a stimoli naturali suggeriscono un metodo semplice, accessibile ed economico per migliorare la qualità della vita e della salute delle persone moderne, anche secondo un’ottica di prevenzione. Al riguardo, la spiegazione di questi effetti fisiologici dal punto di vista dell'EBM è un compito importante per il futuro.

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CAPITOLO II: CAMBIAMENTI

CLIMATICI E SALUTE DELL’UOMO

“L’uomo che si allontana dalla natura si allontana dalla felicità”.

G.Leopardi

2.1 Cambiamenti climatici

L’organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come “uno stato di

completo benessere fisico, mentale e sociale e non una semplice assenza di malattie o infermità”. (WHO, 1946)

I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali includono, quindi, non solo attributi individuali quali la capacità di gestire i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri comportamenti e le relazioni con gli altri, ma anche condizioni sociali,

culturali, economici, politici e ambientali.

Quando il contesto ambientale diventa fonte di rischio e di malessere per l’individuo, possono crearsi le condizioni per lo sviluppo di sofferenza e patologie mentali.

I disastri e le calamità naturali sono ormai all’ordine del giorno in tutto il mondo sembrano aumentare in maniera esponenziale e con loro, aumentano i rischi per la salute dell’essere umano.

Abbiamo visto nel primo capitolo come la natura sia fonte di benessere sotto diversi punti di vista. Essa, a seguito dei cambiamenti che sta subendo, sta mostrando l’altra faccia, ossia quella che noi esseri umani percepiamo come “crudele” e spietata. La condizione si può quindi capovolgere, e da fonte di benessere e piacere possiamo invece trovarci di fronte ad eventi estremi, inquietanti e dolorosi, che mettono a repentaglio la salute dell’uomo.

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27 Da quando l’uomo si è allontanato dalla natura, sembra ritenere quasi scontato il beneficio su questa terra, nel tentativo di sottomettere la natura, sembra essersi dimenticato dell’importanza che essa riveste, sia per il benessere fisico che per quello mentale, individuale e collettivo.

“Una delle cose che la scienza ci ha insegnato nell’ultimo decennio – spiega Rebecca Shaw, capo scientifico del WWF– è quanto l’uomo sia dipendente da sistemi

naturali ed ecosistemi intatti. Su essi, da ogni loro componente, si basa ciò che ogni giorno diamo per scontato: l’aria pulita, acque incontaminate, l’impollinazione, una situazione climatica stabile, il cibo e terreni in salute per produrre il cibo che mangiamo. La perdita di questo prezioso equilibrio potrebbe avere conseguenze devastanti: la Natura è infatti essenziale per la nostra esistenza.”

Sentiamo sempre più spesso parlare di surriscaldamento globale, tanto che questa tematica di centrale importanza in questa epoca storica ed è entrata a far parte nelle nostre vite, inevitabilmente, ci riguarda.

C’è chi è più sensibile, e chi invece sembra ignorare il problema, forse per via della percezione di impotenza che si ha di fronte a qualcosa che non è così tangibile e direttamente evidente e, soprattutto, di così grande.

Questa tematica, da qualche decennio a questa parte, non è solo più mera astrazione e non si può ridurre ad una problematica da risolvere nel futuro. Gli effetti sono già in atto.

Queste conseguenze sono in stretto rapporto non solo con il benessere del Pianeta nel quale viviamo, ma anche con il benessere dell’essere umano, sia fisico che mentale. Il rapporto salute-della-natura e salute-umana è infatti reciproco.

Per comprendere quindi la connessione che ci può essere tra la salute del nostro pianeta e la salute dell’essere umano è necessario riflettere su come l’uno può influenzare l’altro.

La Terra accumula energia termica proveniente dal Sole, questo per effetto di alcuni gas, chiamati gas serra, che mediano la temperatura del globo e permettono la vita sulla terra. Questi gas hanno la capacità di trattenere calore, e produrre quindi quello

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28 che viene definito come effetto serra. Tra i principali gas serra dell’atmosfera

terrestre troviamo l’anidride carbonica (CO2), il Metano (CH4), l’Ozono (O3) e altri. A maggior quantità di anidride carbonica e di altri gas serra, in circolo

nell’atmosfera, corrisponde un aumento della temperatura media del Pianeta, questo aumento massiccio determina una serie di cambiamenti e squilibri.

Se ci sono state le condizioni favorevoli alla vita umana, è perché quanto esiste sulla Terra lo ha permesso, attraverso miliardi di anni.

I cambiamenti climatici possono infatti essere una conseguenza del naturale

mutamento climatico che la terra periodicamente attraversa ed ha attraversato, come l’Era Glaciale ad esempio. In questo caso si tratta di condizioni e fenomeni sviluppati naturalmente ai ritmi, anche drastici, del nostro Pianeta.

Viceversa, possono essere conseguenti alle azioni che l’uomo esercita e avvengono talmente velocemente che mettono a rischio l’equilibrio naturale del Pianeta Terra, e conseguentemente la capacità di adattamento di tutte le specie che la popolano.

Oltre il 68% degli animali che popolano questa Terra, mammiferi, uccelli, anfibi, ma anche rettili e pesci, è sparito tra il 1970 e il 2016. Lo rivela il Living Planet Report (LPR) 2020, un rapporto del WWF realizzato a cadenza biennale dal World Wildlife

Fund for Nature.

Anche gli animali (e le piante) sono abitanti di questo pianeta, tanto quanto noi esseri umani, e purtroppo anche loro accusano le conseguenze dell’impatto dell’uomo.

Questo grave calo delle popolazioni di specie selvatiche è un indicatore che la natura si sta svelando e che il nostro pianeta sta mostrando segnali di allarme, sofferenza.

Uno dei più preoccupanti impatti che l’uomo ha sull’equilibrio del Pianeta è dovuto alla crescente combustione di fonti fossili a scopo energetico, alla deforestazione, all'agricoltura industrializzata e all'estensione della pratica dell'allevamento di bestiame che determinano, appunto, un aumento di gas serra e della temperatura.

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29 Studi evidenziano infatti come i mutamenti climatici siano dovuti a cause naturali sino al secolo scorso, ma a partire dalla metà del XX secolo la comunità scientifica li ritiene dovuti all’impatto dell’uomo, sotto forma di alterazione dell’effetto serra. Secondo il 5° Rapporto sui cambiamenti climatici dell'Intergovernmental Panel on

Climate Change (IPCC, 2009), che rappresenta il principale organismo

internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, “È da ritenere

estremamente probabile che attività imputabili all’uomo, vale a dire emissioni di gas-serra, aerosol e cambi di uso del suolo, siano le cause principali del riscaldamento globale osservato dal 1950”. Sempre secondo il rapporto entro il 2052 la temperatura media del pianeta salirà di due gradi, mentre entro il 2080 il surriscaldamento

raggiungerà i 2.8 gradi Celsius, con conseguenze potenzialmente drammatiche per l'ambiente e per lo stesso genere umano.

Il calore in molte regioni sarà difatti così estremo da rendere la vita stessa difficilmente sostenibile (IPCC, 2014).

Uno degli effetti più direttamente percepibili dall’uomo e dalla terra stessa è rappresentato, infatti, dalle ondate di calore estremo.

In tutta Europa sono stati registrati valori prevalentemente superiori alle medie. I dati sono stati resi noti dal Climate Change Service del programma europeo Copernicus, che ha specificato che nell’agosto 2020 il clima è stato di 0.44 gradi più caldo rispetto alla media del periodo tra il 1981 e il 2020.

Le proiezioni peraltro indicano che nel 2040 simili ondate di calore diventeranno 4 volte più probabili e che la loro intensità potrebbe aumentare ulteriormente.

Se i ritmi di emissione di CO2 da parte dell’uomo continueranno in questa direzione queste stime potrebbero tradursi in realtà, questo significherebbe che tra sessant’anni noi, i nostri figli e tutti gli abitanti del pianeta, ci troveremo a vivere e ad adattarci a condizioni sfavorevoli.

Oltre al suo impatto sulla salute umana, che in seguito vedremo più nel dettaglio, il caldo estremo porta a più elevati tassi di evaporazione, spesso riducendo

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30 I livelli di vapore acqueo aumentano invece nell’atmosfera, con il conseguente verificarsi di fenomeni metereologici estremi ed improvvisi come nubifragi, uragani e tempeste in alcune aree, mentre altre zone potrebbero dover affrontare, appunto, condizioni di siccità più gravi.

Agli effetti del riscaldamento globale sono collegati anche allo sviluppo di incendi , sempre più numerosi e vasti.

Temperature più elevate fanno seccare la vegetazione, il “carburante”. In zone ricche di vegetazione molto secca, basta solo una scintilla per provocare incendi devastanti.

Inoltre l’aumento della temperatura sta sciogliendo le calotte polari. Il manto nevoso, diminuendo, riflette meno energia solare nello spazio, con conseguente ulteriore riscaldamento del pianeta. Ciò a sua volta fa aumentare la quantità di acqua dolce che affluisce negli oceani, modificando ulteriormente le correnti, già influenzate

dall’aumento della temperatura dell’acqua.

Questo comporta l’innalzamento dei livelli dei mari con conseguenti rischi di inondazioni (Slater et al. 2020).

Tra il 1992 e il 2017 Antartide e Groenlandia, dove sono presenti le due grandi calotte glaciali, hanno perso 6.4 trilioni di tonnellate di ghiaccio. Se il ghiaccio di Antartide e Groenlandia dovesse continuare a fondersi con questo ritmo, entro fine secolo il livello del mare potrebbe aumentare a tal punto da mettendo a rischio la vita di milioni di persone.

Tutti coloro che infatti vivono in aree collegate al mare ad un’altitudine inferiore al livello previsto dall’alta marea si troveranno sott’acqua. Si tratta, secondo Kulp e Strauss (2019) di 150 milioni di persone, entro il 2050. La situazione, rivelano gli autori, risulta particolarmente drammatica per paesi quali Cina, Giappone, India, Indonesia, le Filippine l’Italia e altri paesi.

Sono circa 10.400 le persone in tutto il mondo che nel 2018 hanno perso la vita in disastri naturali ed il 35% delle vittime è stato causato da alluvioni ed inondazioni, soprattutto in Asia ed Africa. L’organizzazione mondiale della sanità ha stimato tra il

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31 2030 e il 2050 circa 250mila decessi l’anno correlati ai cambiamenti climatici.

(Dossier Legambiente 2019).

Questi eventi si stanno intensificando in diverse parti del mondo e in modo irregolare e mettono a repentaglio l’idea di stabilità cui siamo abituati: comunità distrutte, danni economici a persone e interi sistemi produttivi, e purtroppo anche morti e feriti.

Le conseguenze dei cambiamenti climatici rappresentano un rischio per la salute degli individui, che si trovano ad affrontare conseguenze, sia dirette che indirette, devastanti.

2.2 L’impatto diretto dei cambiamenti climatici sulla salute

dell’uomo

Il cambiamento climatico non è più una minaccia incombente, ma piuttosto una realtà presente e distruttiva, con previsioni disastrose per il futuro.

Come i cambiamenti climatici sono la diretta conseguenza del riscaldamento globale, essi rappresentano una grave minaccia diretta per l’essere umano.

Per quanto riguarda gli impatti diretti sulla salute, secondo Luber e colleghi (2014) le ondate di calore, unito agli inquinanti atmosferici presenti, possono andare ad

aggravare ed esacerbare patologie polmonari, cardiovascolari e malattie respiratorie.

È probabile che il cambiamento climatico sia associato a maggiori livelli di inquinamento atmosferico poiché la combustione di combustibili fossili tende a produrre inquinanti, come particolato, ozono e carbonio. L'aria più calda tende anche a trattenere livelli più elevati di questi inquinanti.

Ci sono prove crescenti che indicano come la scarsa qualità dell'aria può avere impatti sia a breve che a lungo termine sulla salute mentale (Buoli et al., 2018).

A tal proposito, diverse revisioni sistematiche hanno trovato un'associazione tra il livello di particolato fine (PM 2.5) e il deterioramento cognitivo negli anziani, o

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32 problemi comportamentali (legati a problemi di impulsività e attenzione) nei bambini (Donzelli G., et al., 2020).

Oltre a categorie di persone che possono essere particolarmente vulnerabili agli impatti delle ondate di calore e della qualità dell’aria, anche chi soffre di patologie mentali risulta più sensibile agli effetti del cambiamento di temperatura. Nella review di Palinkas e Wong (2019) vengono citati i dati di Schwartz e collegi (2017), che indicano come le ondate di calore possono esacerbare disturbi del comportamento e patologie mentali, e contribuire ad un più alto tasso di morbilità, mortalità ed ospedalizzazione tra gli individui che vivono queste condizioni, specialmente per coloro i quali presentano disturbi neurocognitivi, schizofrenia, abuso di sostanze e disturbi dell’umore.

Questi fenomeni di calore possono causare, inoltre, difficoltà nella termoregolazione associata a farmaci psichiatrici e (Palinkas e Wong, 2019) e cambiamenti nella concentrazione di alcuni neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e triptofano, aumentando così il rischio di malattie psichiatriche.

Non sono solo le ondate di calore a produrre un così forte impatto sulle persone, ma anche altri aspetti di cambiamento climatico come, ad esempio, prolungati periodi di siccità. In particolare, come riportano varie ricerche tra cui quella di Berry, Bowen e Kjellstrom (2010), sempre citati nella review di Palinkas e Wong (2019), condotte in Australia, hanno dimostrato che prolungati periodi di siccità causati dal cambiamento climatico, possono essere legati ad un maggiore stress psicologico, aumento dei tassi di aggressività, ansia generalizzata, depressione ed un incremento di incidenza di suicidi/omicidi.

Altri eventi estremi quali uragani, tornado e inondazioni, oltre a comportare un altissimo tasso di mortalità, dovuto all’evento di per sé, possono provocare altri effetti diretti sulla salute mentale dell’individuo, il Disturbo Post Traumatico da Stress ne è un esempio.

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2.2.1 PTSD ed eventi estremi

Freud in “Introduzione alla Psicoanalisi” scrive: “Quando un evento traumatico scuote quelli che erano stati fino ad allora i fondamenti della sua esistenza, un

individuo subisce una tale scossa da perdere ogni interesse per il presente e il futuro e da rimanere assorbito psichicamente dal passato in maniera durevole”.

Il trauma è legato a sensazioni di impotenza rispetto a situazioni sconvolgenti, incontrollabili e improvvise che suscitano paure e terrore.

Un’esperienza traumatica è spesso accompagnata ad un alto livello di stress, una serie di attivazioni fisiologiche e comportamentali messe in atto da un organismo per fronteggiare le sollecitazioni, o stimoli stressanti, che tendono a turbare l’equilibrio dell’organismo.

Quando lo stress è associato ad un trauma, inteso come evento che ha un impatto violento sull’insieme dell’organismo fisico e psichico, può creare una condizione di predisposizione all’insorgenza di disturbi psichiatrici, come il Disturbo Post

Traumatico da Stress (PTSD da Post-Traumatic Stress Disorder), che è in genere considerato un disturbo psicologico in risposta ad uno stress estremo.

Il PTSD è un disturbo che può nasce in seguito a un evento estremo, traumatico, quale uragano, terremoto, tsunami oppure come conseguenza di un incidente, e si caratterizza per una serie di sintomi psicologici e comportamentali che influenzano, poi, anche il fisico. Possono esserne vittime sia le persone direttamente coinvolte ma anche altre che assistono da lontano alla scena o sentono i racconti relativi all’evento traumatico stesso.

I sintomi della sofferenza psicologica che accompagna il disturbo da stress post-traumatico sono molti e sfaccettati ma, secondo il DSM-5, perché la sindrome possa essere diagnosticata con certezza, sono necessarie alcune caratteristiche appartenenti a quattro cluster sintomatologici cardine: Sintomi di rievocazione (sotto forma di incubi, flashback, ricordi ricorrenti ed intrusivi, imponenti reazioni fisiologiche in conseguenza a stimoli associati al trauma); Condotte di evitamento verso sentimenti, pensieri, persone, luoghi che ricolleghino all’evento; Alterazioni cognitive e

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34 dell’umore (come riduzione dell’interesse generale, perdita della capacità di provare emozioni positive, pensieri distorti); Alterazioni persistenti dell’arousal e della reattività (ipervigilanza, reazioni di allarme, disturbi del ritmo sonno-veglia,

problemi di concentrazione, comportamenti spericolati e autodistruttivi (Dell’Osso et al. 2011), ( Weathers et al. 2017) .

Questo quadro sintomatologico deve persistere per più di un mese dal trauma, a differenza del Disturbo Acuto da Stress, per cui si effettua spesso la diagnosi differenziale e che differisce dal PTSD per la durata dei sintomi, che vanno da 3 giorni a 1 mese dall’esposizione al trauma.

Dal punto di vista clinico il PTSD è contraddistinto da un andamento

tendenzialmente cronico, scarsa risposta farmacologica e ripercussioni significative sull’adattamento lavorativo, sociale, familiare e su altre aree del funzionamento che conducono ad un peggioramento della qualità della vita ed un aumentato rischio di suicidio (Carmassi et al. 2018)

Le esperienze traumatiche hanno effetti neurofisiologici che si intrecciano al

significato psicologico che l’individuo attribuisce all’esperienza e alle credenze circa se stesso e il mondo (Adshead 2000).

La persona, attraverso le rievocazioni e i ricordi, può manifestare sintomi di

iper-arousal e re-experiencing dell’esperienza traumatica (Connor e Butterfield 2003).

Le memorie traumatiche restano come congelate al di fuori della possibilità di integrazione nella struttura dell’individuo e riemergono sotto forma di sensazioni corporee, postura, movimenti e immagini intrusive quando l’arousal si alza o si abbassa al di fuori delle soglie di tolleranza.

In questo caso, si ritiene implicato il sistema noradrenergico, difatti al maggior rilascio di noradrenalina si è riscontrata una maggiore ipersensibilità e iperamnesia verso le informazioni collegate al trauma. (Gidaro e Oleari 2003).

Le persone affette da PTSD possono inoltre presentare alterazioni nelle regioni cerebrali centrali nella risposta neurobiologica della paura, in modo specifico nell’amigdala e nell’ippocampo. Queste strutture fanno parte del sistema limbico,

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35 l’area cerebrale implicata nella regolazione delle emozioni e della memoria.

L’amigdala svolge un ruolo nella valutazione del pericolo, nelle emozioni e nel condizionamento alla paura; l’ippocampo è implicato nell’apprendimento e nella memoria (Connor e Butterfield 2003). Gli ormoni come il cortisolo, rilasciato nelle situazioni di stress, fanno sì che gli eventi di forte carica emotiva siano trattenuti nella memoria.

L’esposizione ad uno stress prolungato, con alti livelli di cortisolo, può influire negativamente sul funzionamento dei sistemi di memoria, e questo comporta alterazioni nella rievocazione dei ricordi.

I ricordi accessibili a livello verbale risultano spesso vaghi, disorganizzati ed incoerenti, e probabilmente solo legati all’attivazione dell’ippocampo. Viceversa, i ricordi accessibili tramite immagini, di natura percettiva o sensoriale, vengono elicitati automaticamente e vissuti come se stessero succedendo nel momento stesso della rievocazione (Ardino 2006).

Durante un flashback, ad esempio, la persona si sente come se stesse rivivendo il trauma in quel momento, anche se si trova in un contesto sicuro e familiare. Vedere il fuoco nel camino in una notte d’inverno, o la semplice fiamma di un accendino, potrebbe suscitare un flashback in una vittima di incendio, che potrebbe esperire in tutto il terrore di quell’esperienza.

L’individuo può rimanere così diviso in due aspetti: quello che gli permette di andare avanti nella quotidianità, evitando i ricordi traumatici, e quello che

comprende tali ricordi e innesca azioni difensive automatiche contro la minaccia, ritrovandosi così a vivere una profonda dissociazione strutturale: una parte vuole reagire, l’altra rimane bloccata sul trauma.

Un altro aspetto che può compromettere il normale adattamento di un individuo è infatti l’evitamento di tutte le situazioni che possono innescare ricordi o pensieri relativi al trauma. Possiamo quindi immaginare l’impatto nella vita di una persona che, ad esempio, a seguito di un’inondazione, inizia ad evitare il contatto con l’acqua.

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36 Si tratta quindi di una serie di stintomi che vanno ad impattare, in modo significativo, sul benessere del soggetto colpito.

Tra i criteri diagnostici del PTSD troviamo anche i cosiddetti comportamenti maladattativi, che comprendono aggressività e autodistruttività. Studi recenti hanno messo in evidenza come questi comportamenti costituiscano non una comorbidità, ma un aspetto nucleare del disturbo che vanno dall’abuso di sostanze a condotte autolesive a gesti suicidari (Carmassi et al. 2017).

A tal proposito, dal punto di vista neurobiologico diversi studi concordano nel sostenere un ruolo della disregolazione serotoninergica nel PTSD. Il fatto che sintomi specifici nella diagnosi di PTSD includano l’aggressività, l’impulsività, la depressione e il rischio suicidio ( nella cui regolazione riveste un ruolo importante questo ormone) suggerisce che le alterazioni della regolazione della serotonina possono essere coinvolte nella formazione dei sintomi di questo disturbo.

Nel DSM-5 tra le cause annoverate che possono scatenare PTSD, oltre altri traumi di vario tipo, sono incluse, appunto, le catastrofi naturali, che possono avere un impatto diretto sulla salute dell’individuo e non solo. Si tratta di eventi disastrosi che possono colpire intere comunità. Studi dimostrano infatti che catastrofi come terremoti o incendi possono portare epidemie di PTSD tra le vittime coinvolte (Goenjian et al., 1994; Prince- Embury e Rooney, 1988).

Alcuni studi relativi a disastri naturali in generale (Vlahov, 2005) fotografano un’incidenza media di PTSD intorno al 20-35%.

I disastri naturali come gli uragani, i terremoti e inondazioni sono da considerare eventi di proporzioni catastrofiche. Gli effetti di questi eventi sono dovuti a diversi fattori che influenzano il grado in cui la catastrofe viene vissuta come traumatica dall’individuo. Questi fattori possono includere la durata dell’evento catastrofico, la gravità, il grado di difficoltà psicologica dell’individuo prima della catastrofe e la disponibilità di supporto sociale prima e dopo l’evento. (Shalev et al.,1996)

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37 La soglia oltre cui si resta sconvolti dalla paura e dal senso di impotenza varia infatti da una persona all’altra, ci sono infatti alcuni fattori di vulnerabilità e rischio per lo sviluppo di PTSD.

Studi si sono focalizzati su tre fasi particolari: pre-trauma, peri-trauma, e post-trauma.

Relativamente ai fattori di vulnerabilità pre-trauma, sebbene siano emerse poche tendenze chiare, alcune evidenze sembrano indicare un rischio maggiore di PTSD nelle persone con un livello di istruzione socioeconomico basso, di genere

femminile, con una storia di pregressi disturbi psichiatrici e/o personalità.

Anche determinati fattori ambientali ed esperienziali come il supporto sociale, condizioni delle infrastrutture e l'entità del degrado degli ecosistemi, le esperienze relazionali precoci o storie traumatiche pregresse possono influire sulla capacità della persona di fronteggiare lo stressor traumatico. (Carlson 2005; Andrews et al. 2003).

Per fase peri-traumatica ci riferiamo al periodo di tempo che va dal momento del trauma al momento immediatamente successivo.

La maggior parte degli studi ha evidenziato che i più forti predittori dell’insorgenza di PTSD sono la gravità del trauma (minaccia alla propria o altrui vita) ,lesioni fisiche, la sua durata, e la prossimità dell’individuo all’evento traumatico. (American Psychiatric Association 2002).

Svolgono un ruolo importante anche la prevedibilità e la controllabilità: è più probabile che le persone non riescano ad adattarsi agli alti livelli di stress se questi non sono né attesi né controllabili.

Infine per quanto riguarda il periodo post-trauma, un buon sostegno sociale, e le abilità di gestione dello stress risultano essere fattori protettivi .

In generale sono ancora poco chiari sia il momento in cui le reazioni acute a stress assumono rilevanza clinica sia i meccanismi che facilitano l’insorgenza del disturbo, visto che non tutti gli individui che subiscono un trauma sviluppano poi il PTSD.

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38 È dunque necessario focalizzarsi sulle differenze individuali che costituiscono

possibili fattori di rischio o fattori protettivi.

Per comprendere quanto un evento traumatico può essere intenso, vanno considerate le variabili correlate all’evento traumatico ma anche le caratteristiche del soggetto, in particolare gli aspetti legati alla loro vulnerabilità e alle strategie di coping , intese come strategie di fronteggiamento.

Sono quell’insieme di risposte messe in atto dall’individuo che determinano la capacità di reazione e la gestione delle risorse emotive di fronte allo stress e alle difficoltà e che infine determinano la capacità di adattamento e di resilienza della persona (Brewin et al.2000).

Per riuscire a mantenere il controllo in situazioni che cambiano drasticamente, infatti, è necessaria una ristrutturazione rapida dei propri punti di riferimento,

ristrutturazione che non sempre si verifica facilmente.

Un buon sostegno sociale può contribuire a ristabilire il senso di controllo della persona e a ridurre la valenza negativa dell’esperienza. Tanto più nei bambini, che, per assorbire le loro esperienze emozionali, dipendono molto dagli altri.

2.2.2 La sofferenza psicologica post-disastro l’esempio del Nepal

Un’indagine di Caritas Italia (2017) sui terremoti che colpirono il Nepal il 25 aprile e 12 maggio 2015 e che causarono più di 8000 morti, si è proposto di misurare il livello di salute e di serenità delle persone a quasi due anni di distanza dai sismi.

È stato utilizzato come strumento di misura self-report il Pcl-5 (The Post-Traumatic Stress Disorder Checklist for DSM-5), composto da 20 item volti a valutare la presenza e la severità dei sintomi di PTSD.

È stato intervistato un campione eterogeneo di popolazione, precisamente 270 persone di estrazione sociale varia, sia uomini che donne, di età compresa tra i 12 e i 75 anni, coniugati e non, scelti in nuclei familiari che hanno e che non hanno

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