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Obiettivo benessere uomo-natura

Nel documento Salute Mentale e Cambiamenti Climatici (pagine 71-89)

CAPITOLO II: CAMBIAMENTI CLIMATICI E SALUTE DELL’UOMO

3.3 Obiettivo benessere uomo-natura

Così come le leggi e le dinamiche della mente non possono essere ridotte e spiegate secondo principi e leggi prevedibili, nemmeno le conseguenze dei cambiamenti climatici possono essere prevedibili e controllabili.

72 Per questo, come la psicologia cerca di prevenire e moderare uno stato di malessere piuttosto che un comportamento disadattivo, è necessario cercare di prevenire e mitigare le conseguenze che questa emergenza climatica ha sulla salute dell’uomo.

Per affrontare la salute mentale legata ai cambiamenti climatici è possibile

identificare due potenziali obiettivi: il benessere individuale e l'impegno negli sforzi per mitigare il cambiamento climatico nel tentativo di promuovere il benessere della società.

Per il benessere individuale l’ecopsicologia può offrire il suo contributo attraverso un approccio alternativo nei confronti dell’individuo, percepito come parte integrante della natura e attraverso la quale può affrontare uno stato di malessere nel corso di un percorso terapeutico, stimolando una maggiore sensibilità e consapevolezza di sé, per raggiungere una dimensione più “transpersonale” della coscienza.

Abbiamo visto come le migrazioni possano essere un fattore di rischio per i disturbi mentali, è valido pensare ad un modello di assistenza psichiatrica/psicologica specializzata in servizi, rivolti agli immigrati con disturbi di interesse psichiatrico, erogata da operatori che abbiano competenza etnopsichiatriche specifiche.

È utile in questo caso, che gli specialisti prendano considerazione sia il concetto di “patologia”, sia il concetto di “trauma” nelle altre forme culturali, che può assumere significati diversi a seconda del paese di provenienza, così come le risposte agli stessi.

Lo stigma associato alla malattia mentale è tuttora diffuso in molti paesi . La patologia psichiatrica, infatti, in moltissime culture porta con sé un elevato livello di “sanzione” sociale e se, in Occidente, la situazione sta migliorando, in molte altre parti del mondo il malato mentale è ancora visto con diffidenza, fonte di vergogna o da emarginare. Spesso lo stigma peggiora l’esperienza della malattia e porta ad un ridotto accesso alle cure, a maggiore isolamento sociale e sentimenti di colpa, vergogna e inferiorità. (Weiss M.G., et al., 2006).

Riprendendo l’esempio del Nepal, ad esempio, gli studiosi riportano come l’uso del termine “trauma o shock” si traduca in “pazzo” e “rabbia”. L’uso di questo termine

73 da parte dei professionisti del settore, potrebbe quindi avere un potenziale effetto negativo nei pazienti e nelle loro famiglie perché il concetto è associato ad una condizione altamente stigmatizzata (Summerfield D., 2001).

Si tratta quindi di un quadro molto delicato che necessita di competenze e piani di interventi specifici anche per i paesi che accolgono le vittime dei disastri naturali di diverse parti del mondo.

È di fondamentale importanza per capire quando ci siano veramente gli effetti di un trauma sulla psiche, quanto i soggetti siano in grado di rispondervi autonomamente e quanto necessitino, al contrario, di un supporto specifico.

Nelle situazioni in cui è necessario agire con urgenza, come in caso di calamità e disastri, la psicologia dell’emergenza può intervenire attraverso un approccio multidisciplinare e trasversale (psicologia clinica, dinamica, sociale, ambientale, delle comunicazioni di massa, etc.) studiando e cercando di gestire i processi psicologici che si attuano nelle situazioni degli eventi “acuti”.

Emerge la necessità urgente di avere sul campo specialisti che, al fianco di chi si occupa del ritorno alla normalità fisica e infrastrutturale, si prendano cura delle ferite interiori lasciate o aggravate dai disastri naturali.

Oltre all’aspetto clinico, la psicologia dell’emergenza può operare anche attraverso la gestione dello scenario psicosociale e comunitario all’interno del quale è avvenuta l’emergenza e si costituisce il significato della stessa (Axia, G., 2006).

Oltre all’intervento di crisi nell’immediatezza dell’emergenza, lo psicologo dell’emergenza deve anche contribuire alla pianificazione di medio termine dei servizi assistenziali della popolazione. Questo, come abbiamo visto, risulta un fattore protettivo nella fase post-trauma.

Sul versante sociale, sono parte integrante della psicologia dell’emergenza le attività di studio della “percezione del rischio” e della “comunicazione del rischio”. In una prospettiva di prevenzione e promozione risulta particolarmente utile comprendere le rappresentazioni che la popolazione ha di certi tipi di rischi, in questo caso dei

74 cambiamenti climatici, per impostare di conseguenza comunicazioni di emergenza più efficaci e mirate.

A tal proposito la ricerca sui meccanismi che influenzano tale percezione necessita di un’attenzione particolare, sia allo scopo di sensibilizzare le persone circa i rischi dei cambiamenti climatici, sia per mitigare le conseguenze e progettare interventi adatti. Anche al fine di stimolare un cambio di approccio alla sostenibilità.

Per l’impegno nel mitigare il cambiamento climatico è necessario che obiettivi "grandi" come la protezione dell'ambiente siano riformulati in sotto obiettivi più piccoli, affinché le persone percepiscano che il loro contributo possa valere la pena, ad esempio riducendo consumo personale, partecipando ad attività pro-ambientali o sensibilizzando le altre persone su tematiche ecologiste.

Riformulando un grande obiettivo in obiettivi più piccoli e raggiungibili, le persone si motivano a impegnarsi in questo comportamento (Kirby N. et al., 2001) e possono trarre benessere edonico dal loro impegno (Wrosch et al., 2003).

In questo caso, il contributo della psicologia potrebbe essere quello di indagare quali fattori possono motivare questi tipi di comportamento e, viceversa, quali variabili possono allontanare gli individui “dall’obbiettivo sostenibilità”.

Abbiamo infatti visto, attraverso la Teoria del Comportamento Pianificato, quanto siano importanti le norme soggettive nell’influenzare il comportamento. Se un comportamento pro-ambientale viene condiviso e messo in atto dalla propria comunità, la probabilità che i singoli individui lo adottino sarà maggiore.

È necessario esplorare, oltre le dinamiche individuali e i conflitti sottostanti, le abitudini e gli stili di vita familiare che vengono appresi e fatti propri.

La psicologia potrebbe far leva, attraverso campagne di prevenzione e sensibilizzazione, su diversi aspetti precedentemente presi in esame.

Il catastrofismo e l’ineluttabilità, su cui fanno spesso leva le campagne di sensibilizzazione sul clima possono, talvolta, creare l’effetto opposto, ossia

75 climatico rilevante sia per i singoli che per i gruppi sociali, ed è importante per promuovere l'azione.

Favorire la divulgazione scientifica sul tema dei cambiamenti climatici e dell’impatto sulla salute dell’uomo, attraverso un linguaggio fruibile ed accessibile a tutte le persone potrebbe essere una strategia per sensibilizzare, così come ridurre l'incertezza sul fatto che il cambiamento climatico stia accadendo.

Allo stesso tempo però, comunicare alle persone che possono offrire il loro

contributo in modo significativo, attraverso testimonianze dei miglioramenti e degli effetti positivi che ogni individuo può svolgere, può favorire la percezione di controllo e la conseguente azione comportamentale.

Così come trasmettere fiducia, attraverso informazioni e dati affidabili, che non sia “troppo tardi” per fare qualcosa nei confronti dell’emergenza climatica.

È necessario opporsi allo scetticismo di chi pensa che il singolo sia condannato all’impotenza, rinchiuso in una sorta di “melanconia ambientale”.

Altri elementi salienti, emersi tra le barriere psicologiche alla sostenibilità, sono la percezione che gli effetti dei cambiamenti climatici sono situati nel futuro, e che spesso colpiscono principalmente paesi in via di sviluppo e con impatti molto più gravi rispetto agli impatti a livello locale.

Ridurre quindi la distanza temporale percepita degli effetti dei cambiamenti climatici, attraverso dati e testimonianze, unito all’attenzione verso gli impatti e cambiamenti a livello locale, potrebbe essere una strategia utile a promuovere l’attenzione al cambiamento climatico. Tuttavia, quando si tratta di azioni di promozione, può anche essere importante evidenziare gli impatti globali più ampi dell’emergenza climatica.

È giusto riflettere anche sulle modalità comunicative delle campagne di

sensibilizzazione ecologica e delle militanze ambientaliste, in quanto, attraverso l’esaltazione acritica del mondo naturale, la drammatizzazione delle pratiche di difesa ambientale e, talvolta, l’opposizione al progresso scientifico, possono

76 configurarsi come meccanismi di difesa che “snaturano” e riducono l’impatto

comunicativo e la vera essenza del messaggio ecologista.

Sarebbe quindi utile approfondire i fattori motivazionali e le barriere psicologiche per integrarli nei messaggi di sensibilizzazione e divulgazione delle tematiche ambientali.

Infine abbiam anche visto come le due visioni di benessere, edonico e eudaimonico, possono non escludersi a vicenda, ad esempio, sentirsi bene può portare a fare del bene.

In tal senso stimolare il benessere individuale, per poterlo espandere verso un concetto di benessere collettivo, eudaimonico, che si collega a sua volta a quello di inconscio collettivo, potrebbe essere un primo passo per giungere ad un approccio al benessere che includa gli altri e il mondo.

L’ecopsicologia potrebbe essere parte attiva al processo di consapevolezza dei gravi problemi ecologici del nostro pianeta, per stimolare una riflessione sugli ostacoli, anche inconsci, che impediscono un’assunzione di responsabilità da parte dell’uomo e della collettività verso l’ambiente che ci circonda.

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Conclusioni

L’intento di questo elaborato è stato quello di stimolare la riflessione sull’impatto che i cambiamenti climatici possono avere sulla salute dell’essere umano.

L’emergenza climatica si è originata in un passato in cui l’uomo si è in qualche modo allontanato dalla natura, adottando uno stile di vita sempre meno sostenibile per il nostro pianeta.

In questo presente possiamo osservare le conseguenze sul benessere dell’individuo, e queste sono destinate ad aumentare sempre di più anche nel futuro.

Si stanno originando nuove forme di disagio legate all’emergenza climatica, come l’ecoansia, e stanno emergendo nuovi fenomeni migratori.

Il ruolo della psicologia è fondamentale; nella pratica clinica, nella gestione delle situazioni di emergenza post-disastro, per contribuire allo sviluppo di programmi di intervento di comunicazione e sensibilizzazione, per motivare le persone verso una dimensione di benessere più sostenibile anche attraverso lo studio e la ricerca di quelli che possono essere i fattori di maggiore influenza.

Nonostante possa sembrare ingenuo pensare che un cambio di atteggiamento possa modificare il corso degli eventi che si stanno verificando a livello climatico, è anche vero che, ad una presa di coscienza collettiva, verso un atteggiamento di maggiore rispetto per l’ambiente, potrebbero seguire una serie di effetti positivi a catena.

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