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Impegno critico e diff usione dello strutturalismo

Nel documento Critici del Novecento (pagine 176-179)

Metodi e fantasmi rappresenta un testo fondamentale per tutti quelli che

hanno fatto della semiotica uno strumento critico. Appartiene di diritto a

5 M B, Rigore e fantasia, «L’immaginazione», 2003, n. 195, pp. 6-7. 6 I B, U V, Filologia, linguistica, stilistica, in Letteratura

italiana, direzione: A A R, vol. 4: L’interpretazione, Torino, Einaudi,

una generazione tra le più eccezionali, che visse un periodo di grande vivacità culturale. L’Italia partecipava allora attivamente al processo di teorizzazione critica che stava avvenendo in Europa e in America (il decennio ’65-’75), la semiotica entrava negli ambienti accademici e l’Università di Pavia, luogo di accoglienza per la Corti, fu tra le prime due, con Torino, a intestarle un insegnamento. Nel 1966 nasceva «Strumenti critici», sotto la direzione di Avalle, Corti, Isella e Segre.

Qui la semiotica mostrava i segni più marcati. «Da questo percorso della Corti viene la conferma del carattere abbastanza anomalo e peculiare dello strutturalismo letterario italiano» scrive Remo Ceserani. «Esso è nato, è stato assunto e portato avanti da alcuni fi lologi di professione […] abituati a impostare storicamente i loro lavori»7. L’importanza di Metodi e fantasmi

sta anche dunque nella sua capacità di testimoniare un caso emblematico dello “strutturalismo all’italiana”, nel rifl esso di una studiosa che aveva assorbito l’attrazione per la linguistica stilistica da Schiaffi ni, Spitzer, Devoto e dal maestro Terracini; che dal prestrutturalismo fi lologico di Contini aveva invece acquisito l’idea di mantenere un pattern di riferimento con il quale confrontarsi, senza mai farsi limitare. Nell’idea terraciniana di una produzione letteraria come incontro/scontro “di lingua e cultura”, lo strutturalismo della Corti fu più fedele a Tartu, Lotman e Uspenskij, aperto alla coesistenza di un contromodello nel modello, convinto che l’opera dovesse essere squadrata dentro la storia e nel suo incontro con la cultura.

«Il ricercatore – aff erma la Corti – deve tener presente lo scopo per cui fa la ricerca; nel caso in questione il critico deve obbedire al suo compito di interpretare un’opera d’arte, accostarsi a uno o più dei suoi segreti di composizione, relazionarla a un contesto letterario più ampio»8. Il suo 7 R C, Guida breve allo studio della letteratura, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. XIV.

8 M C, Nuovi metodi e fantasmi, nuova ed. ampliata, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 70.

MARIA CORTI, METODI E FANTASMI

approccio intendeva guardare all’opera in rapporto al sistema letterario e ai suoi sottoinsiemi (istituti o generi letterari). A tale proposito De Meijer considera la Corti prima in Italia a portare lo studio dei generi in una prospettiva esplicitamente semiotica9. Gli sviluppi di questa idea si

vedranno soprattutto in Principi della comunicazione letteraria, dove Maria Corti off re un approccio storico-semiologico ad alcuni generi letterari. In

Metodi e fantasmi, però, la Corti individua già nella lontananza o vicinanza

di un determinato autore ai codici e sottocodici letterari con i quali dialoga una cifra del suo carattere innovativo (ossia: più l’autore se ne discosta, maggiore è la sua novità). Unendo alla prospettiva storicistica una nuova impostazione semiologica nello studio dei generi, spiega la Corti, è possibile inserire ogni opera nel «punto che le spetta nell’evoluzione di un istituto letterario, cui già pervengono principi organizzativi di contenuti e forme». Tali considerazioni appartengono al saggio Nuova vita interdisciplinare della

critica, di un anno successivo a un altro lavoro che prova come le teorie

della Corti scaturiscano da esperimenti già fatti, ossia Il codice bucolico e

l’«Arcadia» di Jacobo Sannazaro, dove Sannazaro appare come colui che

toglie il genere arcadico dal «santuario dei prodotti classici»10.

Defi nire il lascito dello strutturalismo in letteratura oggi è impresa diffi cile. Come nota Jonhatan Culler11, il dibattito critico in generale

sullo strutturalismo e sulla sua natura tentacolare può essere disorientante e confuso. In specie, non tutti i critici inclini alla teoria sono defi nibili in questo modo. Già in quei primi anni, quando ancora non era passato attraverso decostruzione e teorie post-strutturaliste, lo strutturalismo era un oggetto sfuggente. Maria Corti stessa rimproverava alle neoavanguardie usi

9 P D M, La questione dei generi, in Letteratura italiana, direzione: A A R, vol. 4: L’interpretazione, cit., pp. 255-256.

10 M. C, Nuovi metodi e fantasmi, cit., p. 284.

11 Vedi J C, On Deconstruction. Th eory and Criticism After

Structuralism, Ithaca, NY: Cornell University Press, 1982 (trad. it.: Sulla decostruzione,

a sproposito di uno strumento che non sapevano connotare perfettamente. Molto dello strutturalismo in letteratura si è perso, ma è pur vero che il modello Tartu, quello che la Corti prediligeva, è destinato ad avere vita più lunga di altri12. In Italia, cioè, un modello strutturalista sempre moderato,

se pure rigoroso e attento alla tradizione fi lologica, come quello cortiano, ha mantenuto una fortuna costante, come metodo applicabile, con Starobinski, non in quanto “visione del mondo”, ma solo quando è davvero pertinente. Il lascito vero dello strutturalismo oggi è probabilmente la semiotica e, in critica letteraria, un maggiore rigore epistemologico. Allo stimolo del quale la Corti si impegnava per elaborare un recupero di isotopie testuali, modelli culturali nascosti e rapporti intertestuali, un linguaggio nuovo fatto di pseudoneologismi, lessemi e sintagmi tecnici tra i quali si ricorda la parola «avantesto», che Maria Corti fu la prima a usare.

La semiotica è ancora viva in lei fi no agli ultimi anni (se ne veda l’applicazione al frammento manzoniano Con Manzoni all’osteria della

Luna Piena). In questo è vicina agli studiosi riuniti nel testo La semiotica letteraria italiana a cura di Marin Mincu: Avalle, Segre, Eco, Garroni,

Agosti, Pagnini, Serpieri, Rossi, Beccaria, Buttitta, Caprettini. Potremmo poi ricollegare alcuni critici fi lologi-linguisti alla Corti, su una linea ideale che va dai primi saggi di Giacomo Debenedetti con Strutturalismo e critica (1965) ai Modelli semiologici nella commedia di Dante di D’Arco Silvio Avalle (1975), fi no ad arrivare a Umberto Eco, la voce più costante nel campo.

Nel documento Critici del Novecento (pagine 176-179)