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Mutamenti linguistici e urbani, il cambiamento della realtà

Nel documento Critici del Novecento (pagine 168-174)

La piazza, la fi era e il mercato sono i luoghi “forti”, punti nevralgici di qualsiasi città perché sono i punti d’incontro e d’unione di tante persone, di settori lontani, di scambio e di conoscenza. La piazza del primo Rinascimento, essendo già il punto nodale della vita urbana, aveva una parte “uffi ciale”, rappresentata dallo spazio religioso e/o politico e “non uffi ciale”, rappresentato dallo spazio mercantile. Bachtin lascia inosservati l’accostamento di queste due culture e il loro incontro nello stesso spazio urbano.

Se ci spostiamo nel Novecento e nelle città europee del Novecento, troviamo una situazione del tutto diversa da quella descritta da Rabelais. Partiamo con una breve osservazione degli spazi urbani e dei cambiamenti avvenuti. Come avevamo notato nella parte precedente, la piazza aveva un ruolo fondamentale di incontro dei cittadini e svolgeva anche funzioni pratiche. Nelle città europee del Novecento assistiamo a una separazione degli spazi e alla loro netta distinzione funzionale. Ogni evento ha uno spazio apposito: la fi era ha il fi era district, il mercato è di solito situato nei centri storici, oppure nelle metropoli esiste un mercato per ogni quartiere (l’esempio di Mosca) ed è uno spazio chiuso, i teatri rispettano una netta divisione per generi (drammatico, operetta, lirico, balletto) e spesso per ogni tipo di spettacolo esiste un edifi cio a parte (in genere sono abbinati opera e balletto) e non condividono mai lo stesso edifi cio con il teatro drammatico (l’esempio di Parigi, Londra, New York). La vendita di piazza è sostituita da un sistema molto ramifi cato di vendita che si esprime in negozi piccoli,

shopping mall (centri commerciali) e shopping ville, un insieme di shopping mall. Questi negozi enormi invece di unire le persone nella loro massa li

separano perché la struttura del negozio è fatta apposta per creare cellule, dipartimenti per ogni tipo di consumatore. Non vediamo e non troviamo più quella folla allegra e libera che festeggia né in fi era, né nei shopping

mall, né al mercato, perché non sono più spazi di carnevale e di riunione

della comunità ma sono spazi per realizzare obiettivi “materiali” precisi che non hanno più niente a che fare con il basso “corporeo” di Bachtin.

La struttura della piazza medioevale consisteva nell’insieme degli elementi di piazza (dei quali abbiamo parlato sopra). Gli spazi e le piazze commerciali delle città, nonostante abbiano strutture ben defi nite e molto organizzate, non contribuiscono alla creazione d’interscambio e di network, ma alla divisione e alla buona gestione dei visitatori. Questa divisione ha lasciato le sue impronte anche sul linguaggio e sulla sua struttura. Bachtin ha diviso la lingua in due grandi gruppi: uffi ciale e non uffi ciale, che possiamo anche considerare due dominii. Il dominio uffi ciale includeva tutte le situazioni comunicative e gli scambi linguistici tra i rappresentanti delle classi sociali alte, della borghesia, del «mondo dell’ordine e dell’ideologia uffi ciale»12. Il non uffi ciale veniva rappresentato nella vita della piazza

e quindi nella vita del popolo, degli elementi declassati e di tutti quelli che sceglievano la libertà d’azione e d’espressione senza gerarchia e regole imposte dall’alto.

Nel Novecento la visione del linguaggio non è più così lineare e bipolare com’era nel Medioevo a causa dello sviluppo della struttura sociale e della sua più raffi nata stratifi cazione, pertanto ora possiamo tracciare la diretta dipendenza tra il luogo e la varietà diastratica della lingua (sottocodici, registri ecc).

Esaminiamo ora i mutamenti dei linguaggi di piazza e come si presentano oggi: il linguaggio degli imbonitori di piazza e dei venditori di erbe è diventato un linguaggio pubblicitario che noi possiamo classifi care come linguaggio settoriale; il linguaggio della fi era è diventato il linguaggio

IL “LINGUAGGIO DI PIAZZA” NEL RABELAIS DI BACHTIN

commerciale tipico degli aff ari, delle trattative e della comunicazione uffi ciale nell’ambito del commercio. Il linguaggio degli attori della piazza è diventato un linguaggio teatrale, colto e tipico dei ceti colti e alti. Il linguaggio degli studenti è diventato gergo giovanile. In realtà la nostra osservazione è possibile grazie allo sviluppo nel Novecento della linguistica variazionista che studia tutte le varietà della lingua usate in diversi contesti sociali. Bachtin ha introdotto la sua classifi cazione delle parlate di piazza prima dello sviluppo di quest’ambito della linguistica e ci è riuscito perché valutava più l’uso e lo scambio linguistico che la struttura o il sistema.

Bachtin unisce tutta la folla e la considera come comunità linguistica di piazza.

Tutti gli elementi della piazza, analizzati in questo capitolo, sono molto legati tra loro sia sul piano contenutistico che su quello formale. Indipendentemente dalle loro funzioni pratiche, essi danno un unico aspetto non uffi ciale del mondo. Non uffi ciale sia per il tono (il riso) che per l’oggetto (il “basso” materiale e corporeo). […] Così tutti gli elementi eterogenei della piazza da noi analizzati, sono pervasi nella loro diversità dall’unità interna della cultura popolare del Medioevo13.

Rimanendo sul piano linguistico, possiamo pertanto aff ermare l’unità della folla in piazza anche come appartenenza alla stessa comunità linguistica non uffi ciale e popolare che condivide lo stesso codice e lo adopera come «come elemento di coesione, di coesione sociale che provoca un sentimento d’aff ettività, di condivisione, di appartenenza e di identifi cazione»14. Il codice usato in piazza è il linguaggio popolare, cioè la

varietà sociale del linguaggio, tipica delle fasce sociali non istruite con una

13 Ivi, p. 213.

14 Dizionario di linguistica e di fi lologia, metrica, retorica, diretto da G L

“collocazione bassa”15. Infatti, se torniamo all’analisi di Bachtin troviamo

che il linguaggio di piazza è parlato principalmente dalle classi sociali basse, dalle persone non istruite, quindi è giusta l’attribuzione del termine “popolare”.

La comunicazione che vi presiede è caratterizzata dall’impiego di un linguaggio familiare, in cui le distanze fra i soggetti della comunicazione sono abolite e in cui ricorrono epiteti ingiuriosi che assumono spesso un tono aff ettuoso e elogiativo; in cui trovano frequente impiego litanie di imprecazioni e parole oscene16.

Il termine “familiare” che usa Bachtin, nella linguistica contemporanea può essere inteso in due modi: come variabile sociale o contestuale/ situazionale. La situazione comunicativa della piazza, infatti, è informale, non condizionata dai rapporti di gerarchia e da relazioni uffi ciali. Quando parliamo però delle varietà contestuali usiamo il termine “registro” che designa la variabile stilistica ed è in diretto rapporto di dipendenza con la variabile sociale. In piazza il registro adoperato può essere “familiare” o “popolare”, che corrisponde al termine proposto da Bachtin.

Continuando a valutare l’analisi di Bachtin dal punto di vista contestuale possiamo parlare anche del gergo di piazza. «Così questo linguaggio, liberato dal potere delle regole, delle gerarchie e dei divieti della lingua comune, si trasforma in un certo senso in una lingua a sé, che, paragonata alla lingua uffi ciale, è una specie di argot. Ma questo linguaggio crea contemporaneamente anche una collettività particolare, la folla in

piazza, la folla soprattutto nei giorni di festa, di fi era, di carnevale»17.

Bachtin stesso usa il termine “gergo” e argot di piazza, distinguendoli dal

15 La varietà popolare di lingua, visto che si trova sull’asse diastratico, rappresenta la posizione sociale del parlante.

16 A P, Michail Bachtin, cit., p. 134.

IL “LINGUAGGIO DI PIAZZA” NEL RABELAIS DI BACHTIN

linguaggio familiare di piazza. Dal punto di vista sociolinguistico questa distinzione è corretta perché il gergo può essere defi nito come la lingua in cui si riconoscono, si identifi cano determinati gruppi di individui, che abbiamo defi nito come “marginali”, in opposizione alla parlata degli “altri”18.

Per concludere, possiamo osservare che sono passati quasi cinquant’anni dalla pubblicazione nel 1965 de L’opera di Rabelais, non pochi considerando gli importantissimi cambiamenti intercorsi nella linguistica. Ad esempio è stata creata una nuova disciplina, la sociolinguistica, con l’aiuto della quale abbiamo svolto l’analisi del linguaggio della piazza proposto da Bachtin. Il solo fatto che l’analisi di Bachtin sia ancora attuale, ci mostra il livello d’importanza della sua ricerca.

Il linguaggio di piazza è visto e studiato da lui in prospettive diverse: sociale e funzionale. Lo studioso distingue tra il gergo di piazza e il linguaggio di piazza, colloca la provenienza sociale dei parlanti con la scelta dei termini, analizza tutti i mestieri e i generi orali della piazza.

Quest’opera di Bachtin non è riconosciuta per il suo valore linguistico: non compare per esempio nelle opere generali, come quelle di Berruto e Sobrero, mentre, nel Dizionario di linguistica e di fi lologia, metrica, retorica di Beccaria, Bachtin viene citato nelle voci ‘discorso’ con l’accenno all’opera

Marxismo e fi losofi a del linguaggio e nella voce ‘dialogismo’ con l’accenno

alle opere Dostoevskij. Poetica e stilistica ed Estetica e romanzo. Sulla stampa giornalistica l’Autore risulta poco presente. Dallo spoglio del «Corriere della sera», «Le Monde», «Il Sole 24 ore», «la Repubblica» degli ultimi decenni, risulta che solo su quest’ultimo quotidiano sono stati dedicati a Bachtin, dal 1984 a oggi, due articoli: uno nel 1985, in occasione del Convegno

Bachtin teorico del dialogo, svoltosi a Cagliari proprio quell’anno, l’altro

nel 1990.

18 Cfr. Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A A. S, Bari,

L’opera di questo studioso, così ricca di suggestioni sociolinguistiche, meriterebbe di essere rivisitata e valorizzata, alla luce delle nuove conoscenze nei diversi campi di cui Bachtin è stato, in un certo qual modo, profondo precorritore.

Nel documento Critici del Novecento (pagine 168-174)