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CAPITOLO III – MODELLI D'INTERVENTO INNOVATIVI PER IL SOSTEGNO LEGGERO ALLA GENITORIALITÀ STATO DELL'ARTE

3.3 Il Progetto "Dare una Famiglia a una Famiglia"

3.3.3 Impianto epistemologico e metodologico

Lo strumento caratterizzante del progetto "Dare una Famiglia a una Famiglia" è l'affiancamento familiare. Esso si inserisce nel solco normativo e metodologico dell'affido e in particolare presenta caratteri di continuità con la forma dell'affido diurno, pur differenziandosene attraverso alcune innovazioni:

• spostamento dell'attenzione dal minore preso singolarmente alla sua famiglia, che si traduce in una presa in carico dell'intero nucleo;

• mantenimento del minore nel suo contesto di vita abituale, al fine di rafforzare la relazione genitori-figli;

• enfasi sulle risorse della famiglia bisognosa, piuttosto che sui suoi deficit, secondo la prospettiva della resilienza;

• relazione d'aiuto non-professionale tra due famiglie, in un'ottica di reciprocità;

• presenza di un mandato meno rigido rispetto a contesti d'intervento maggiormente istituzionalizzati.

Se per certi versi l'Affiancamento Familiare intende recuperare le tradizionali forme di aiuto spontaneo tra pari, in termini di prossimità solidale, gratuità e reciprocità, esso presenta

tuttavia degli elementi di discontinuità, che lo qualificano come intervento di Servizio Sociale professionale:

• la natura progettuale, in particolare la durata definita in dodici mesi per ciascun progetto di affiancamento;

• il supporto professionale – per quanto "leggero" – ad un aiuto non-professionale tra famiglie.

Già da queste prime battute, emerge con chiarezza la finalità preventiva dello strumento ed il riferimento al diritto del minore a crescere nella propria famiglia. Occorre però evitare l'errore di considerare l'affiancamento come una versione rivista e migliorata dell'affido, buona per tutte le stagioni: perché un tale progetto abbia senso per una famiglia in difficoltà, è essenziale che la situazione sia presa per tempo e non presenti caratteristiche di disagio conclamato, maltrattamento, né abuso, dove interventi considerati maggiormente invasivi – quali l'allontanamento – si rendono talora purtroppo necessari. All'estremo opposto del continuum, lo strumento risulterebbe inadeguato per famiglie con problematiche di tipo squisitamente economico (affrontabili con trasferimenti monetari) o organizzativo (per i quali basterebbe un aiuto non formalizzato). In altri termini, l'Affiancamento si rivolge a famiglie in cui le figure genitoriali presentano:

• problemi rispetto alla genitorialità, nelle funzioni educative e di cura;

• momenti di particolare fragilità ed affaticamento – dovuti anche ad eventi traumatici quali separazioni, lutti, malattia di un familiare – e necessitano di sollievo;

• difficoltà ad orientarsi rispetto alle possibilità offerte dal territorio, in termini sia organizzativi-lavorativi, sia relazionali.

Specularmente, la Famiglia Affiancante o famiglia-risorsa non deve certamente essere "perfetta" ma piuttosto "sufficientemente buona", per dirla alla Winnicott. Quel che è necessario è che in essa le figure genitoriali si percepiscano come efficaci ed abbiano in generale un sentimento di soddisfazione rispetto alla propria funzione.59 Tale ruolo nell'affiancamento può essere assunto tanto da coppie che da single, con o senza figli, ed

59. Monini T., Dare una Famiglia a una Famiglia. L'esperienza del Centro per le Famiglie di Ferrara, "Animazione Sociale", 2013, N°270: 37-79;

eventualmente da più famiglie insieme per una stessa famiglia vulnerabile. Alla famiglia- risorsa sono inoltre richiesti:

• un atteggiamento di ascolto e non-giudizio;

• disponibilità a dedicare un congruo tempo al progetto;

• apertura a relazioni comunitarie, nell'ottica di allargare le reti sociali della famiglia bisognosa;

• disponibilità alla reciprocità, sia in termini di aiuto, sia di messa in discussione dei propri modelli educativi e relazionali.

Quest'ultimo punto è enfatizzato a più riprese in diversi documenti prodotti in ambito sia valutativo che divulgativo dalle diverse esperienze cittadine, proponendo una chiave di lettura che superi la dicotomia tra chi riceve e chi presta aiuto, tra famiglie disfunzionali e funzionanti: se la relazione si inscrive nei codici della reciprocità, essa non può che essere trasformativa per entrambi gli attori sociali. La questione risulta di particolare pregnanza per stimolare una riflessione su uno dei nodi che ha dato origine alla presente ricerca: come due sistemi familiari si modifichino reciprocamente quando entrano in una relazione d'aiuto.

3.3.4 L'esperienza ferrarese: innovazioni metodologiche e organizzative

Nata a Torino come esperienza a livello comunale, la sperimentazione fu replicata nel 2009 a Ferrara, dove assunse da subito una dimensione provinciale. Nella documentazione programmatica del progetto pilota, si legge:

Rispetto all’esperienza torinese, il progetto ferrarese si caratterizza per nascere da subito con una dimensione provinciale in grado di valorizzare sia il ruolo istituzionale assegnato dalla Regione all’Amministrazione Provinciale quale ente di coordinamento e promozione dell’istituto dell’affido familiare, che l’intera rete dei servizi sociali dei tre distretti ferraresi, nonché la ricca presenza di associazioni familiari e di volontariato attive oltre che nel capoluogo anche negli altri centri del territorio provinciale.60

Proprio nell'esperienza della città estense vedono la luce due importanti innovazioni metodologiche, che entreranno stabilmente nell'impianto progettuale come elementi caratterizzanti di tutte le sperimentazioni successive. Si tratta dello strumento "Patto Educativo" e della figura del "tutor". Il patto educativo costituisce lo strumento di 60. www.famiglienumerose.org, data consultazione 18 ottobre 2015.

progettazione condivisa, nonché di formalizzazione dell'affiancamento familiare. Esso si sostanzia in un accordo scritto, dove vengono indicati i termini temporali del progetto d'aiuto e gli impegni che tutte le parti coinvolte – famiglie, volontari ed operatori dei Servizi – si impegnano ad assumere sottoscrivendolo. Alla figura del tutor sono deputate le funzioni di monitoraggio e supervisione dei singoli progetti di affiancamento, in particolare rispetto alla cura della relazione e delle comunicazioni tra le due famiglie. Egli svolge altresì un ruolo di "cerniera" tra le famiglie e gli operatori dei Servizi, mettendo in comunicazione il mondo delle relazioni naturali con quello dell'aiuto professionale. Nel caso dell'esperienza ferrarese, i tutor erano individuati fra "volontari esperti", appartenenti alle associazioni di famiglie, le quali erano di fatto "titolari" dei singoli progetti di affiancamento ed incaricate di individuare le potenziali famiglie affiancanti e da affiancare. Come vedremo nei paragrafi e nei capitoli successivi, un tale livello di responsabilità e protagonismo delle associazioni non è stato sempre facile da replicare in Territori diversi: in alcuni contesti, ad esempio, tale funzione di guida relazionale è stata assolta da educatori professionali, mentre in altri è stata svolta dagli assistenti sociali stessi.

A questo punto dell'analisi, risultano chiaramente individuati due tipi di soggetti esterni ai Servizi, implicati nell'affiancamento delle famiglie vulnerabili: le Famiglie Affiancanti e i tutor. Per ciascuno di questi soggetti, oltre alla possibilità del confronto diretto con gli operatori, la metodologia prevede supporti professionali di tipo gruppale: gruppi di auto- mutuo aiuto per le famiglie affiancanti e di supervisione per i tutor. Tali dispositivi sono stati applicati con misure e modalità differenti nelle sperimentazioni successive, a seconda delle necessità e delle risorse espresse da ciascun Territorio.

3.3.5 Diffusione del modello sperimentale, disseminazione degli esiti e impatto