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Imposizione societaria, concorrenza tra giurisdizioni e offerta dei beni pubblici:

La letteratura teorica relativa agli effetti dell’apertura dei mercati sull’imposta societaria si inserisce nella più generale teoria della concorrenza fiscale, all’interno della quale si possono individuare due contributi fondamentali, opposti quanto alle reciproche previsioni circa gli effetti della stessa concorrenza fiscale sul livello dei servizi pubblici.

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Entrambi i modelli, a differenza della letteratura fin qui esaminata, considerano le decisioni che l’operatore pubblico prende in relazione sia al lato dell’entrata sia a quello della spesa finanziata tramite imposte. In particolare si concentrano sulle conseguenze che la concorrenza tra giurisdizioni avrà sul livello di imposizione e sul livello di fornitura dei servizi pubblici. Ambedue partono dalla comune ipotesi che il governo massimizzi il benessere dell’elettore rappresentativo residente nella giurisdizione e che pertanto in un’economia chiusa la regola adottata sarà quella dell’equalizzazione al margine di costi e benefici sociali. Differiscono, invece, per quanto riguarda l’ipotesi di esternalità associata ai servizi pubblici.

Il primo contributo è quello di Tiebout (1956). Tiebout riprende la formalizzazione elaborata da Samuelson (1954) e da Musgrave (1959) relativamente alle caratteristiche proprie dei beni pubblici – non escludibilità e non rivalità nel consumo – e la conseguente soluzione ottimale per la fornitura degli stessi – l’addizione verticale delle curve di domanda individuali. Nota, tuttavia, che nella soluzione teorica dei due sopracitati autori è assente un meccanismo che permetta di: 1) forzare l’elettore a rivelare le proprie preferenze; 2) poterle soddisfare analogamente a quanto fa il mercato concorrenziale; 3) tassarlo corrispondentemente.

Nella teorizzazione di Samuelson e Musgrave si considera difatti un governo centrale, non sottoposto a concorrenza fiscale da parte di altri governi. Il modello di Tiebout nasce principalmente in risposta alla conclusione di Samuelson (1954) secondo cui gli individui non hanno incentivo alla rivelazione delle proprie preferenze rispetto ai beni pubblici, perché possono agire da free-rider. Tiebout contrasta questo scenario con quello alternativo in cui a fornire i servizi pubblici sono dei governi locali in reciproca concorrenza. Spostando la fornitura di beni pubblici a livello locale, gli individui implicitamente rivelano le proprie preferenze scegliendo la giurisdizione con il mix preferito di imposte e spesa pubblica. Difatti, sotto una serie di ipotesi relative alla mobilità (perfetta) e alla informazione (completa) disponibile agli elettori, nonché al numero (infinito) di giurisdizioni concorrenti e all’assenza di esternalità dei servizi pubblici, Tiebout giunge al risultato secondo cui gli individui, votando con i piedi, scelgono la giurisdizione preferita in termini di servizi pubblici e di imposte

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corrispondenti7. È la concorrenza tra giurisdizioni a far sì che i governi locali rispondano ai movimenti degli elettori scegliendo proprio quei livelli di imposte e spesa pubblica che ne rispecchiano le preferenze. In presenza di un numero sufficientemente elevato di giurisdizioni decentralizzate8, ciascuna delle quali offre un diverso mix di beni locali, i cittadini sceglieranno di vivere nella giurisdizione che meglio risponde alle loro preferenze individuali. Votando con i piedi (secondo la famosa espressione coniata dallo stesso Tiebout), gli individui riveleranno le proprie preferenze rispetto al mix di imposte e servizi pubblici, promuovendo l’allocazione efficiente dei beni pubblici locali e rendendo pertanto possibile il raggiungimento dell’ottimo paretiano, a imitazione di quanto avviene in un mercato privato.

Tale risultato si estende facilmente alla concorrenza tra giurisdizioni per le imprese. Queste ultime beneficiano della spesa pubblica produttiva in termini di riduzione dei costi del proprio prodotto. In un equilibrio caratterizzato da molte giurisdizioni in concorrenza le imprese verranno pertanto tassate in modo tale che l’aliquota societaria rifletta il costo di fornire l’input pubblico all’impresa marginale. Ne risulterà una divisione efficiente di imprese tra regioni (Wilson e Wildasin (2004)). In maniera del tutto analoga, questo risultato si estende agli investimenti, risultando nel marginal cost

pricing: l’imposta sull’unità di investimento eguaglierà il costo marginale sostenuto dal

governo per fornire l’input pubblico.

Il fatto che gli individui e le imprese dispongano di molteplici alternative non solo genera una maggiore mole di informazioni riguardo alle loro preferenze ma spezza il monopolio pubblico governativo nella fornitura dei beni e dei servizi. Dal momento che sorgono diversi fornitori alternativi di beni pubblici, nessuno di loro possiede il potere monopolistico che possiede un governo centralizzato. La concorrenza tra giurisdizioni decentralizzate fornisce l’incentivo affinché i politici locali soddisfino le preferenze di cittadini e imprese rispetto alle combinazioni di servizi pubblici e imposte.

7 Le due ulteriori condizioni sono date da: esistenza di soli redditi da dividenti (escludendo pertanto i

legami lavorativi con la giurisdizione); rendimenti costanti di scala nella produzione dei beni pubblici locali (ciò che si traduce in un costo marginale costante).

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Sotto l’ipotesi di governo Leviatano, Brennan e Buchanan (1980), interrogandosi sul numero ottimale di giurisdizioni decentralizzate, trovano che tale numero dipenderà positivamente dal costo della mobilità per gli individui e dalla possibilità di collusione tra autorità pubbliche e negativamente dal carattere pubblico dei beni prodotti da queste autorità (specialmente dalla non escludibilità del consumo) e dai costi di organizzazione e amministrativi.

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Questa cornice teorica permette di modificare i risultati relativi alla capitalizzazione di un’imposta sul reddito sulle società o di un’imposta sulla proprietà (anche) societaria. Difatti, in un modello à la Tiebout, nel lungo periodo non si assisterebbe alla capitalizzazione dell’imposta nel valore dell’asset sottostante. Ciò accade perché, nel lungo periodo, i differenti livelli impositivi rispecchierebbero i diversi livelli di spesa in beni pubblici produttivi propri di ciascuna giurisdizione decentralizzata.

Ci si allontana tuttavia da questo risultato ottimale nel momento in cui vengano rimosse le ipotesi sottostanti e in particolare quella relativa all’assenza di esternalità nella fornitura dei servizi pubblici. È questa l’ipotesi alternativa considerata da Oates (1972), il quale sostiene – e qui arriviamo al secondo fondamentale contributo in materia – che la concorrenza fiscale tra giurisdizioni può condurre a una fornitura sub-ottimale di tali servizi. Soprattutto in relazione a quei programmi di spesa pubblica che non vanno a diretto beneficio delle imprese, il livello di spesa risultante da uno scenario di concorrenza fiscale può attestarsi su livelli tali da comportare una divergenza tra costi e benefici marginali. La misura tradizionale del costo marginale deve infatti essere ora integrata da un elemento che invece è assente quando non si ha concorrenza fiscale tra giurisdizioni: il costo derivante dall’impatto negativo dell’imposizione societaria sugli investimenti delle stesse società. Oates ne conclude che è il governo federale (centralizzato) a trovarsi nella posizione migliore per fornire il livello ottimo di spesa pubblica, in quanto non esposto a comportamenti opportunistici da parte degli elettori. Va, innanzitutto, sottolineato come Oates dia per scontato che il governo centrale possegga le informazioni e gli incentivi necessari a perseguire la massimizzazione del benessere sociale (Lee (1994)). Sembra di poter dire, inoltre, che entrambi i modelli non considerino il potenziale “imitativo” che la concorrenza possiede. Con ciò si vuol sostenere che la concorrenza tra giurisdizioni non ha come unico effetto quello di permettere alle stesse di scegliere un mix ottimale di imposte e di servizi pubblici, bensì è in grado anche di generare nuova conoscenza grazie alla sperimentazione di soluzioni innovative (Hayek (1988)), sia sotto il profilo istituzionale sia sotto quello del suddetto mix (come ad esempio accade nei BIDs americani, di cui si dirà in seguito). Rendendo possibile questa sperimentazione e grazie al “dato di controllo” del successo comparativo delle varie giurisdizioni nell’attirare fattori produttivi e nel generare

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crescita economica, la concorrenza è capace di produrre uno spettro più ampio di soluzioni imitabili e quindi di amplificare i suoi benefici potenziali.

Lo stesso Oates in un successivo lavoro del 1999 chiama questo tipo di concorrenza inter-giurisdizionale laboratory federalism: in un contesto caratterizzato da informazione imperfetta e da learning-by-doing, vi sono evidenti vantaggi potenziali associati alla sperimentazione di un’ampia varietà di politiche. Il “progresso tecnico” delle politiche pubbliche può dunque dipendere in modo cruciale dalla concorrenza tra giurisdizioni.