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L’imposta sulle società e le decisioni di investimento nel contributo fondativo d

Per definire gli effetti che l’imposta sul reddito delle società esercita sul livello degli investimenti, si deve partire da una considerazione di base: l’impresa investirà in capitale fino al punto in cui il valore del prodotto marginale (al netto di eventuali costi di aggiustamento) eguaglierà il costo d’uso del capitale. Tale costo d’uso è definibile

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come il rendimento minimo necessario affinché un investimento abbia luogo e deriva a sua volta dal concetto di costo opportunità del capitale.

Il costo opportunità del capitale è definito come il rendimento ottenibile dal miglior uso alternativo che si può fare dello stesso, a sua volta dato dal tasso di interesse di mercato

risk-free o rendimento normale del capitale. Affinché un investimento societario sia

intrapreso, è necessario che il suo rendimento al lordo delle imposte sia sufficientemente alto da garantire un rendimento al netto delle stesse almeno pari a quello ottenibile da un investimento alternativo, ossia tale da garantire un rendimento netto pari al rendimento normale del capitale.

Il punto di partenza della riflessione contemporanea in materia di imposte societarie è rappresentato dall’articolo di Jorgenson (1963), nel quale viene definito il concetto di costo d’uso del capitale. Jorgenson costruisce un modello di investimento da parte dell’impresa a partire dalla teoria neoclassica dell’accumulazione ottima del capitale. L’impresa punta a massimizzare il proprio valore attuale netto e per farlo deve scegliere le quantità di input da utilizzare, prendendo i prezzi degli stessi come dati. Dispone di una funzione di produzione, , nella quale appaiono quali fattori il lavoro, nella quantità , e il capitale, nella quantità .

Il capitale entra come input nella funzione di produzione secondo le caratteristiche della propria funzione di domanda, la quale risponde a variazioni sia del prezzo relativo dei fattori che del rapporto tra prezzo dei fattori e prezzo dell’output. La risposta di lungo periodo in termini di quantità ottima di capitale è riconciliata alla risposta di breve periodo – e quindi alle decisioni di investimento periodo per periodo – tramite l’assunzione di una forma fissa di risposta ritardata alla variazione della domanda di capitale. Inoltre, Jorgenson assume che il deprezzamento dello stock di capitale rappresenti una frazione costante dello stesso.

I ricavi netti dell’impresa, , sono dati da:

(4)

dove indica il prezzo dell’output, la quantità di output prodotta, il saggio salariale, il prezzo unitario del capitale e il tasso di investimento.

Si ipotizza che l’impresa sia soggetta a un sistema fiscale in cui indica l’aliquota societaria legale, la proporzione del deprezzamento del capitale, , fiscalmente deducibile dal reddito, la proporzione di interesse fiscalmente deducibile dal reddito

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e la proporzione di perdite in conto capitale fiscalmente deducibili dal reddito. Le condizioni del primo ordine derivanti dalla massimizzazione del ricavo netto da parte dell’impresa rispetto all’uso dei fattori produttivi lavoro e capitale sono le seguenti:

(5)

(6)

[ ̇]

Il numeratore della parte destra della (6) rappresenta il prezzo ombra del capitale, che può essere pensato (Mintz (1996a)) come il costo d’affitto di una unità dei servizi del capitale per un singolo periodo di tempo. Sempre seguendo Jorgenson e ipotizzando quindi che guadagni e perdite in conto capitale siano avvenimenti transitori, possiamo definire il costo d’uso del capitale, , come:

(7)

[

]

La condizione del primo ordine relativa al capitale descrive il modo in cui vengono prese le decisioni di investimento dell’impresa in presenza di imposte sul capitale: il prodotto marginale del capitale è eguagliato al costo marginale dello stesso, espresso in rapporto al prezzo dell’output.

Tornando a Mintz (1996a), il costo d’uso del capitale è definibile come la somma del costo del deprezzamento, del premio per il rischio e del costo di finanziamento, il tutto tenuto conto delle imposte.

Il costo del deprezzamento di un asset consiste nella perdita di valore economico registrata sullo stesso asset durante un periodo di tempo. Tale perdita di valore economico è il risultato, da una parte, della consunzione fisica dell’asset, il cui tasso abbiamo indicato con ; e, dall’altra, della variazione del prezzo dello stesso. Indicando con il prezzo dell’asset nel periodo zero e con il prezzo dello stesso nel periodo , e tenendo a mente che nel periodo saranno rimaste – unità fisiche dell’asset, il costo del deprezzamento sarà dato da – – .

Il costo di finanziamento è il costo di prendere a prestito denaro sui mercati finanziari. Può essere un costo implicito, come è quello per i capitali azionari. Ovvero esplicito, come il tasso di interesse netto richiesto sulle obbligazioni. Ipotizzando che l’investimento sia risk-free, il costo di finanziamento, , è appunto uguale al costo di emettere debito o azioni al netto delle imposte societarie.

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Indicando con il rendimento richiesto dagli azionisti e con il tasso di inflazione, il costo reale del finanziamento mediante capitale azionario è dato da – ; in vigenza della deducibilità degli interessi, , dalla base imponibile societaria, il costo di finanziamento reale tramite debito è dato da – – . Ipotizzando che la società scelga le proprie fonti di finanziamento in considerazione non delle sole variabili fiscali, ed indicando con la proporzione in cui essa decide di finanziarsi tramite debito, il suo costo di finanziamento risulta essere pari a :

(8)

– –

– –

Consideriamo adesso il costo di acquisto di un bene capitale. Sia il prezzo di mercato dello stesso. Supponiamo che la legislazione fiscale riconosca un credito fiscale per l’acquisto del bene capitale pari a una proporzione del prezzo dello stesso, per cui se il bene capitale in questione costa un euro sul mercato, il costo del bene capitale è ridotto a . Assumiamo inoltre che la legge tributaria includa una scheda di ammortamento per tale bene tale da generare un valore attuale dei futuri ammortamenti fiscali pari ad . Il costo effettivo di acquisto del bene capitale che ne risulta sarà pari a – – .

Il rendimento netto guadagnato sull’ultima unità di investimento – ossia il rendimento marginale dello stesso – è pari a – , mentre il costo di “affitto” del capitale durante un anno è dato dal prodotto tra il prezzo effettivo di acquisto del capitale moltiplicato per il costo d’uso dello stesso, a sua volta consistente nella somma del costo di deprezzamento e del costo di finanziamento. La condizione di ottimo prevede che il rendimento marginale e il costo marginale siano uguali, ossia:

(9)

– –

e quindi

(10)

– –

In assenza di qualsiasi tipo di tassazione, la condizione marginale diventerebbe semplicemente:

(11)

Ossia: il prodotto marginale dell’investimento verrebbe eguagliato al rendimento normale del capitale (al lordo del tasso di deprezzamento dello stesso).

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L’equazione (10) ci permette di definire il concetto di imposta marginale effettiva (indicata con l’acronimo inglese EMTR, effective marginal tax rate). Se indichiamo con ̃ il tasso di rendimento che guadagna l’investimento marginale, ossia il tasso di rendimento minimo che, in presenza di imposta societaria, risulta dalla (10), l’EMTR si definisce come:

(12)

̃ ̃

Se, ad esempio, il sistema fiscale è tale da portare il costo del capitale da (ossia dal costo del capitale in assenza di imposte) a un valore doppio rispetto a , l’EMTR sarà pari a 0,5.

La scelta della base imponibile standard influenza il livello degli investimenti societari in misura variabile a seconda delle fonti di finanziamento cui si è ricorsi. Il costo del capitale non viene alterato se si producono le seguenti condizioni: l’investimento è finanziato tramite debito; l’inflazione è nulla; l’ammortamento fiscale coincide col reale ammortamento economico. Se, tuttavia, l’investimento è finanziato tramite emissione di capitale azionario allora l’imposta societaria produce un aumento del costo del capitale. Ciò dipende dal fatto che il costo opportunità dei fondi azionari utilizzati per il finanziamento dell’investimento non è deducibile dal reddito societario ai fini fiscali. Il rendimento lordo di un investimento finanziato tramite azioni dovrà pertanto essere sufficientemente alto da garantire un rendimento netto pari al tasso di interesse di mercato. In questo caso, nei termini dell’equazione (6) e ipotizzando che non vi sia ammortamento economico, il rendimento marginale dell’investimento finanziato con azioni dovrà essere tale da presentare una produttività marginale del capitale pari a

.

Pertanto l’imposta societaria standard scoraggia il ricorso al capitale azionario e, nella misura in cui le società ricorrono ad esso, genera una diminuzione del flusso di investimento. Difatti, a causa dell’aumentato costo del capitale per gli investimenti finanziati con azioni, saranno abbandonati tutti quei progetti che non garantiscono un rendimento al netto delle imposte pari all’interesse di mercato.

È interessante notare che, per un investimento finanziato tramite azioni, la condizione di neutralità del sistema fiscale richiede che ( – – ) – . Da tale condizione si deduce che il sistema fiscale può agire sia nel senso di ridurre la quantità di

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investimenti sia, simmetricamente, nel senso di accrescere tale quantità. Quest’ultimo caso si verifica, per esempio, quando il sistema fiscale, oltre a riconoscere la deducibilità immediata dell’intero costo del bene capitale , concede anche una qualche forma di credito fiscale per l’acquisto di beni capitali. Nel caso in cui, invece, il finanziamento sia finanziato tramite debito, per avere “neutralità fiscale” si dovrà dare una scheda di ammortamenti fiscali che rifletta esattamente il reale ammortamento economico del bene capitale in questione, come si evince dalla (6).

3. L’imposta societaria e la tassazione delle rendite nei modelli di Harberger e