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IMPRESA, SOCIETA’, CONCORRENZA E CONSUMATORE - Interessante è la fattispecie

Provvedimenti organizzativi

6. IMPRESA, SOCIETA’, CONCORRENZA E CONSUMATORE - Interessante è la fattispecie

esaminata dall’ordinanza della Sez. 1, 14 gennaio 2011, n. 813, concernente un patto di non concorrenza pretesamente nullo, sol perché, in quanto riferito al divieto di partecipare a trattative commerciali con enti pubblici mediante gara, avrebbe integrato il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 cod. pen.. La Corte ha disatteso la deduzione, in quanto il patto di non concorrenza è rivolto ad una pluralità indeterminata di contratti possibili, che solo accidentalmente possono riguardare la pubblica amministrazione e, dunque, si tratta di una mera “contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici”; fra l’altro, osserva la Corte, assumere il contrario “in caso di impresa attiva esclusivamente o prevalentemente nel settore dei contratti pubblici, importerebbe, di fatto, la sua disapplicazione”.

Le Sezioni Unite (30 dicembre 2011, n. 30175) hanno poi stabilito che la competenza della corte d’appello a giudicare sulle azioni risarcitorie di cui all’art. 33, secondo comma, della l. 10 ottobre 1990, n. 287, sussiste qualora sia proposta un’azione risarcitoria per violazione del divieto di abuso di posizione dominante, non occorrendo, a tal fine, che sia individuabile uno specifico atto, del quale debba predicarsi la nullità e del quale l’attore sia destinatario attuale o potenziale.

Circa la nozione di consumatore, si è ritenuto che la tutela forte, di cui alla disciplina del Codice del Consumo, sia accordata soltanto alla persona fisica, e solo allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana; laddove, poi, essa rivesta anche la qualità di professionista od imprenditore, è sufficiente ad escludere la qualità di “consumatore” l’aver concluso il contratto per uno scopo anche solo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale [Cass. Sez. 1, 14 luglio 2011, n. 15531].

Con alcune sentenze pronunciate nel corso dell’anno [Sez. 3, 21 marzo 2011, n. 6347; Sez. 3, 26 maggio 2011, n. 11610; Sez. 3, 20 giugno 2011, n. 13486; Sez. 3, 18 agosto 2011, n. 17362; Sez. 3, 29 agosto 2011, n. 17698], la Corte ha attribuito pregnante valore probatorio agli accertamenti compiuti dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai fini del giudizio di risarcimento promosso dal consumatore per il danno patito a causa di un’illecita intesa anticoncorrenziale: laddove sia stata irrogata la sanzione amministrativa ad impresa partecipe del giudizio svoltosi davanti all’Autorità garante, possono, cioè, ritenersi oggetto di una presunzione a favore del consumatore gli elementi della condotta illecita, del nesso causale e dell’entità del danno, desumendosi ciò secondo una valutazione probabilistica come normale conseguenza dell’intesa.

Con la sentenza n. 17351 [Sez. 3, 18 agosto 2011] si è, inoltre, riconosciuta alle associazioni dei consumatori la legittimazione attiva (non quanto alle azioni risarcitorie individuali in favore dei singoli soggetti lesi da comportamenti anticoncorrenziali, ma) con riguardo all’accertamento di profili comuni, quali le condotte scorrette, il nesso causale fra l’illecito e il danno, l’esistenza ed entità potenziale dei danni “ed ogni altra questione idonea ad agevolare le iniziative individuali, sollevando i singoli danneggiati dai relativi oneri e rischi”.

Nel settore del mercato finanziario, la giurisprudenza della Corte è intervenuta anche nel 2011 a rafforzare la tutela dei risparmiatori.

Un’ordinanza delle S.U. (8 aprile 2011, n. 8034, pronunciata peraltro in sede di regolamento di giurisdizione), ha preso posizione sulla localizzazione delle azioni dematerializzate, immesse in un sistema di gestione accentrata, le quali presentano allocazione “spaziale” nel sito del conto

confermato la responsabilità da prospetto non veridico in capo all’emittente, come conseguenza di un illecito aquiliano autonomo.

Quanto al promotore infedele, è stato ribadito il principio della responsabilità della società preponente in ragione del suo stesso inserimento nell’attività da quella svolta, dovendo così ravvisarsi il nesso eziologico, con onere a carico dell’intermediario di provare eventualmente che l’illecito sia stato agevolato dall’investitore [Cass., Sez. 3, 25 gennaio 2011, n. 1741; Cass. Sez. 1, 24 marzo 2011, n. 6829].

La Corte, in alcune sue pronunce dell’ultimo anno, ha mostrato rigore nel valutare l’attività della Consob, ente pubblico di controllo e vigilanza sul mercato dei valori mobiliari e sulla raccolta finanziaria del risparmio, vista anche quale “organo di garanzia del risparmio pubblico e privato”, affermandosi come la violazione dei compiti ad essa imposti dalle leggi speciali, secondo il canone fondamentale della buona amministrazione, possa integrare il mancato rispetto della norma primaria del neminem laedere, di cui all’art. 2043 cod. civ., applicabile, in base alle comuni regole del codice civile, anche quanto ad imputabilità soggettiva, causalità, evento di danno e sua quantificazione [Cass., Sez. 3, 23 marzo 2011, n. 6681].

In relazione alla crisi d’impresa, all’ambito del controllo giudiziario nel campo concorsuale ed ai poteri di intervento degli organi dei diversi procedimenti, le principali pronunce della Suprema Corte, che hanno segnato il 2011, hanno affrontato le questioni della determinatezza (o determinabilità) che, già ex ante, dovrebbe connotare la proposta di concordato del debitore, della natura progressiva delle verifiche di fattibilità (dall’ammissibilità all’omologazione), della latitudine dell’intervento dell’unica parte pubblica, il Pubblico Ministero. Così, sulla nozione di fattibilità è stato affermato che <<il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi degli artt. 162 e 163 legge fall., ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, senza che possa essere svolta una valutazione relativa all'adeguatezza sotto il profilo del merito>> [Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3586 del 14 febbraio 2011], mentre, per la fase dell’omologazione, si è opposta la categoria civilistica dell’impossibilità dell’oggetto ove la proposta risulti manifestamente irrealizzabile, e ciò anche in difetto di singole contestazioni formalizzate dai creditori [Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18864 del 15 settembre 2011]. In tema di revoca, si è evidenziato come <<la nozione di atto in frode, che opera … quale presupposto … esige … che la condotta del debitore sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse siano state "accertate" dal commissario giudiziale, cioè da lui "scoperte", essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori>> [Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13817 del 23 giugno 2011]. Un’importante delimitazione di intervento giudiziale è stata, peraltro, assicurata sul terreno delle classi, sia pur in una pronuncia relativa al concordato fallimentare (ma con evidente vocazione generale), ove si è chiuso il quadro ermeneutico a qualunque ipotesi di classamento obbligatorio. Il tema è sintetizzabile in due proposizioni: da un lato, nella votazione con le classi di creditori, <<all'interno di esse il voto di ciascun creditore non può essere valutato alla stregua del rispetto o meno di un interesse comune trascendente quello dei singoli, non essendo configurabile alcun conflitto d'interesse>>, dall’altro, però, <<non sussiste alcuna obbligatorietà nella formazione delle classi dei creditori, pur in presenza di interessi di alcuni creditori differenziati rispetto a quelli della generalità degli altri (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3274 del 10 febbraio 2011 ).

L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite Sez. 1, n. 27063 del 15 dicembre 2011 postula, da ultimo, l’opportunità di meglio precisare sia i termini di incidenza della non fattibilità del piano rispetto alla categoria dell’impossibilità dell’oggetto, sia la stessa ascrivibilità al giudice di un controllo su quanto attestato dalla relazione ex art. 161 legge fall. ove <<non si dimostri la falsità o l’erroneità dei dati sui quali l’attestazione è basata>>.

nel principio generale per cui l’ordinamento offre tutela a chi ricorre agli strumenti di soluzione anticipata della crisi nei limiti in cui essi sono poi impiegati in coerenza con il fine per cui sono stati istituiti, senza in particolare procurare «a chi li utilizza un vantaggio ulteriore rispetto alla tutela del diritto presidiato dallo strumento e a chi li subisce un danno maggiore rispetto a quello strettamente necessario per la realizzazione del diritto dell’agente» [Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16738 del 29 luglio 2011].

Del pari, con riguardo al concordato preventivo, si è ritenuto dalla Corte di ravvisare un «abuso dello strumento concordatario in violazione del principio di buona fede laddove emerga la prova che determinati comportamenti depauperativi del patrimonio siano stati posti in essere con la prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento del concordato, ponendo i creditori di fronte ad una situazione di pregiudicate o insussistenti garanzie patrimoniali in modo da indurli ad accettare una proposta comunque migliore della prospettiva liquidatoria». [Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13817 del 23 giugno 2011].

E’ proseguita nell’ultimo anno pure la riflessione della Corte sui profili di continuità, o piuttosto di cambiamento, del nuovo assetto delle società di capitali derivante dalla Riforma del 2003.

Cass., Sez. 1, 20 gennaio 2011, n. 1361, resa in tema di acquisito di azioni proprie, con riguardo ai vizi della deliberazione assembleare, ha osservato che non può parlarsi di “inesistenza” in caso di mancanza del quorum deliberativo, in quanto tale categoria è “contraria alle fondamentali esigenze di certezza e di affidamento che ispirano (ed ispiravano anche nel regime anteriore alla cennata riforma societaria) la disciplina dell’art. 2377 e ss. cod. civ.”. Ha ribadito, inoltre, che può verificarsi il vizio di abuso o eccesso di potere, quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto.

In materia di amministratori e sindaci, la Corte ha tracciato i limiti, pur con riguardo a vicenda maturata prima della riforma societaria, della responsabilità da omesso controllo secondo la formula della “vigilanza sul generale andamento della gestione”, di cui al previgente art. 2392, secondo comma, cod. civ. [Cass., Sez. 1, 27 aprile 2011, n. 9384].

In ordine alla prova del danno e del nesso causale, si è ribadito che la mancanza o l’irregolare tenuta delle scritture contabili, tale da comportare l’impossibilità di provare il danno cagionato dagli amministratori, non esonera questi da responsabilità, perché, al contrario, ciò può comportare addirittura l’inversione dell’onere della prova in ordine all’elemento oggettivo della fattispecie, dal momento che tale condotta è di per sé idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale [Cass. Sez. 1, 11 marzo 2011, n. 5876 e Cass. Sez. 1, 4 aprile 2011, n. 7606].

Ha trovato conferma, altresì, la funzione prudenziale delle iscrizioni in bilancio, posto che la norma secondo cui i crediti “devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione”, dettata dal vecchio art. 2425, n. 6 (anteriore alle modifiche introdotte con il d. lgs. 9 aprile 1991, n. 127) e del tutto analoga al nuovo art. 2426, n. 8, non attribuisce affatto agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma li vincola a principî di razionalità alla stregua della situazione concreta, dovendo, quindi, escludersi l’iscrizione (integrale) in bilancio dei crediti semplicemente sperati o anche di quelli certi, liquidi ed esigibili, ove di dubbia o difficile esazione [Cass. Sez. 5, 21 aprile 2011, n. 9218].

In tema di gruppi di società, si è puntualizzato come l’influenza notevole, di cui all’art. 2359, terzo comma, cod. civ., quale regola generale valida per tutte le società di capitali, si riscontra anche al di fuori del possesso di una quota di voti in assemblea, in tutti i casi in cui sussista una ristretta base familiare, da cui discende la più agevole conoscibilità degli affari ed il controllo reciproco, nonché quel particolare “vincolo di complicità che, quanto meno secondo l’id quod plerumque accidit, connota i rapporti dei parenti di primo e di secondo grado, facendone derivare

mediante l’utilizzazione delle risorse patrimoniali di ciascuna delle società” [Cass. Sez. 1, 1° aprile 2011, n. 7554].

In relazione alle problematiche connesse alla giurisdizione sulle controversie relative alla scelta del contraente appaltatore da parte della Pubblica Amministrazione, e nell’individuazione della correlata figura dell'organismo di diritto pubblico, in quanto tale soggetto all’obbligo dell’evidenza pubblica, la sentenza delle Sezioni Unite del 7 luglio 2011, n. 14958 ha riaffermato la decisività della finalizzazione dell’ente al soddisfacimento di esigenze di carattere generale, rimanendo irrilevante il dato dell’esiguità del finanziamento pubblico versato dall’Amministrazione controllante.

Quanto, poi, alla configurabilità della responsabilità per danno erariale (inteso come danno alla finanza pubblica o alle risorse pubbliche) e della conseguente giurisdizione della Corte dei conti, in ordine agli effetti applicativi del fenomeno delle privatizzazioni, con la trasformazione degli enti pubblici economici in società di capitali e la partecipazione dello Stato e degli altri enti pubblici in società di diritto privato, Cass., sez. un., 9 maggio 2011, n. 10063, ha ritenuto sufficiente a radicare la giurisdizione contabile l’utilizzo di risorse pubbliche per la cura di interessi pubblici, a prescindere dagli strumenti utilizzati e dalla forma, pubblicistica o privatistica, delle figure soggettive coinvolte. Altrimenti, Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20941, ha affermato che «nella società di diritto privato a partecipazione pubblica, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla “mala gestio” dei suoi organi sociali non integra il danno erariale in quanto si risolve in un “vulnus” gravante in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società stessa, soggetta alle regole di diritto privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci; l’azione di responsabilità per danno erariale, può, invece, configurarsi nei confronti di chi, essendone incaricato, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d’indirizzare correttamente l’azione degli organi sociali o di reagire opportunamente agli illeciti da questi ultimi commessi”..

La Corte ha anche recentemente stabilito che gli ordini ed i collegi professionali non sono sottoposti al controllo di gestione della Corte dei conti, non rilevando l’esistenza di un interesse pubblico al corretto espletamento dei compiti istituzionali da parte degli ordini professionali [Cass., sez. 1, 14 ottobre 2011 n. 21226].

Sempre con riferimento a società per azioni con partecipazione pubblica ed al rapporto tra società ed ente locale, quanto, in specie, alla riconducibilità della facoltà di nomina di membri degli organi della società ai poteri autoritativi o discrezionali dell’ente, le Sezioni Unite hanno di recente escluso la configurabilità della giurisdizione amministrativa sulla caducazione degli atti consequenziali alla scelta illegittima del socio di società partecipata, atteso che tutti gli atti societari a valle restano interamente soggetti alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito, essendo riservata al giudice ordinario la valutazione delle conseguenze provocate sul contratto sociale dall’annullamento dell’atto amministrativo prodromico (Cass., sez. un., 6 dicembre 2011, n. 29107; sez. un., 7 dicembre 2011, n. 30167).