L’organizzazione degli uffici giudiziari come leva di cambiamento
4. Profili generali dell’organizzazione degli uffici
Queste considerazioni ci rimandano, innanzitutto, all’attività dei singoli uffici giudiziari e all’adozione delle soluzioni organizzative più funzionali rispetto alle specifiche realtà. Il tema, trattato nelle più accurate relazioni pervenute dai presidenti delle corti d’appello e che appare legato alla dimensione locale, propone aspetti di grande rilievo per vari profili di ordine generale.
4.1. Progetto organizzativo.
La giusta richiesta di avere a disposizione risorse umane e supporti proporzionati alla domanda di giustizia non può andare disgiunta dalla consapevolezza che la sola quantità di risorse non costituisce la risposta alla crisi di efficienza degli uffici e che l’aumento di risorse senza un adeguato progetto organizzativo aumenta la complessità e può perfino condurre al peggioramento dei risultati complessivi. Si dirà che non è un rischio che gli uffici giudiziari corrono in questo momento, segnati, come si è sopra denunciato, dalla continua emorragia di personale e dalla riduzione delle risorse per gli strumenti informatici
e i supporti operativi; tuttavia, l’acquisita consapevolezza che la richiesta di risorse aggiuntive non è la sola risposta alle esigenze di operatività degli uffici costituisce la premessa per la ricerca di metodologie di gestione più efficienti.
Ciò, ovviamente, non implica alcuna indifferenza al tema delle risorse minime indispensabili, così che occorre saper individuare e sostenere le situazioni di maggiore sofferenza, strada in passato non percorribile a causa della generalizzata abitudine a “chiedere 100 per ottenere 50” e dell’assenza di strumenti di misurazione dei bisogni e delle risposte.
4.2. Misurazione del lavoro giudiziario.
Quanto si è finora detto rimanda al tema della misurazione del lavoro giudiziario, a partire dai carichi di lavoro per giungere alla distribuzione delle risorse e ai risultati raggiunti. Si tratta di un terreno sul quale si registrano passi avanti importanti, ma non ancora acquisizioni che godano di adeguata stabilità. Va dato atto al Ministero della giustizia e al Csm di avere finalmente investito sugli strumenti di conoscenza e di misurazione del lavoro giudiziario e dell’attività degli uffici, ma anche in questo campo si registrano carenze di coordinamento che vanificano una parte degli sforzi compiuti.
Premessa indispensabile per procedere in modo efficace sulla strada intrapresa, e già in parte percorsa, è quella di sgombrare il campo dalle resistenze culturali che ancora si manifestano. La complessità e la delicatezza del tema della misurazione del lavoro giudiziario non giustificano gli atteggiamenti che antepongono i timori di cambiamento alle innovazioni necessarie a mettere tutti in grado di conoscere la realtà per migliorarla. Gli strumenti statistici a disposizione del sistema sono ancora imperfetti57 e negli ultimi dieci anni hanno
registrato progressi inferiori alle attese e alle possibilità. Sarebbe, tuttavia, profondamente errato attendere che quegli strumenti raggiungano livelli ottimali prima di proseguire nella utilizzazione accorta di quanto è già disponibile. In primo luogo, perché nei fatti quegli strumenti vengono oggi utilizzati secondo prassi stratificatesi nel tempo, col rischio che una cattiva utilizzazione impedisca
57 Basti ricordare, nel settore civile, che i rilevamenti del Ministero della giustizia relativamente alla materia
civile riguardano esclusivamente i procedimenti definiti, mancando una completa ed esaustiva rilevazione statistica nazionale che dia conto di quelli definiti con sentenza o con ordinanza o con decreto, ovvero di tutti i procedimenti cautelari (soprattutto di quelli ante causam), comprese le pronunce in sede di reclamo, dei procedimenti di volontaria giurisdizione contenziosi e, persino, di quelli definiti con il rito del procedimento sommario di cognizione, introdotto con la legge 18 giugno 2009, n. 69 e che, a seguito del d. lgs. 1 settembre 2011, n. 150, sulla semplificazione e riduzione dei riti, è diventato uno dei tre fondamentali modelli nei quali si articola il processo civile. Quanto al settore penale, la situazione presenta limiti ancora maggiori, dovuti sia alla presenza di tre diversi sistemi informatici di gestione dei registri generali, sia alla impossibilità di rilevare in modo preciso alcuni aspetti importanti del lavoro svolto, quali, ad esempio, le tipologie di reato trattate nei singoli procedimenti, il numero di persone soggette a misura cautelare, l’esito del singolo giudizio e quello dei giudizi di impugnazione.
di trarne le indicazioni già adesso possibili e porti con sé effetti distorsivi; in secondo luogo, perché utilizzare in modo intelligente quanto è disponibile contribuisce a migliorarne la qualità e pone le condizioni per le successive necessarie innovazioni.
La cultura scettica o rassegnata (fortunatamente in regressione tra i magistrati, i dirigenti e il personale amministrativo) secondo cui investire in innovazione “non serve a niente”, e non serve a niente cercare di misurare lavoro e risultati, ha rappresentato una delle cause principali dei ritardi che registriamo, al pari della diffidenza verso la misurazione, avvertita come un pericolo rispetto a prassi, metodi di lavoro e abitudini personali che taluni non vogliono mettere in discussione.
Per queste ragioni dobbiamo guardare con grande favore alle attività che sono svolte dalla Direzione Generale di Statistica, dalle commissioni flussi e dalle articolazioni consiliari che stanno affrontando i temi dei carichi di lavoro e delle valutazioni di professionalità. Esse meritano di essere sostenute con decisione, anche attraverso critiche costruttive quando occorre, e debbono trovare luoghi di coordinamento per non disperdere energie e per evitare il perpetuarsi di contraddizioni che indebolirebbero l’intero sistema.
4.3. Cultura dell’ufficio.
I temi legati alla misurazione richiamano un ulteriore profilo di ordine generale, che merita di essere affrontato prima di guardare a ciò che accade nelle realtà locali. Il riferimento è alla cultura del lavoro di ufficio. Si avverte, infatti, la tendenza di una parte della magistratura a reagire con atteggiamenti di chiusura alle difficoltà incontrate nel lavoro quotidiano. E’ evidente che in molti casi il magistrato deve affrontare carichi di lavoro davvero elevati con strumenti inadeguati ed è altrettanto vero che la crescente richiesta di tempestività nelle risposte, accompagnata da profili di rischio disciplinare, acuisce la sensazione di difficoltà e incertezza. In questo contesto vi è chi ritiene che la risposta necessitata sia la così detta “auto-organizzazione”, accompagnata da un approccio ostile verso i momenti di coordinamento, vissuti come un intralcio rispetto al proprio autonomo modello di gestione. Si tratta di una risposta inefficace anche rispetto alle esigenze che la ispirano e, comunque, errata e non più accettabile, giacché - come è stato efficacemente sottolineato dal Presidente della Corte d’appello di Torino in un seminario svoltosi in questo edificio qualche settimana fa - la gestione del tempo dell’attività giudiziaria non appartiene all’autonomia e all’indipendenza del singolo giudice, ma rientra nella competenza dell’organizzazione complessiva dell’ufficio giudiziario e nella responsabilità di chi la dirige.
Si è già evidenziata l’importanza della diffusione delle migliori pratiche e quanto sia utile il confronto sulle soluzioni adottate a livello di ufficio e di singolo settore; si è ricordato quanto sia rilevante distribuire bene risorse e affari da trattare. E’ ora il momento di ricordare l’importanza che agli avvocati e agli utenti sia garantita l’uniformità delle procedure seguite negli uffici e siano assicurate per quanto possibile la omogeneità dei modelli di lavoro e la coerenza nei tempi di trattazione. Risorse e numero elevato di affari richiedono che ogni ufficio utilizzi nel modo migliore le risorse disponibili e faccia del coordinamento l’elemento di forza su cui costruire risposte efficaci e nello stesso tempo trasparenti. Emerge, così, in tutta la sua portata l’importanza della partecipazione attiva di ogni magistrato e di ogni dirigente, di ogni unità amministrativa o tecnica alla vita dell’ufficio.
4.4. Novità organizzative: la carta dei servizi e il bilancio sociale.
Il segno palese della positiva evoluzione che la cultura dell’organizzazione sta determinando all’interno dell’amministrazione giudiziaria è rinvenibile anche nella utilizzazione di nuovi strumenti di lavoro costituiti dalla carta dei servizi e dal
bilancio sociale. Numerosi uffici di diverse dimensioni, dal Nord al Sud del Paese,
hanno adottato questi strumenti che sono, insieme, concreto esercizio di rendiconto e assunzione di responsabilità verso la collettività, nonché elementi di conoscenza delle diverse prassi operative, di quantificazione dei tempi e di analisi dei costi, che innescano processi di miglioramento organizzativo, di partecipazione attiva dei magistrati e del personale alla vita dell’ufficio, di esercizio critico da parte degli utenti del servizio.