• Non ci sono risultati.

In moto: la postura eretta e l’esercizio fisico

All’esercizio fisico andrebbero dedicate non meno di due ore al giorno a prescindere dal clima. Se il corpo è debole, la mente non

potrà essere forte.

THOMAS JEFFERSON

   

Nessuno sa perché camminiamo. Delle circa 250 specie di primati, siamo gli unici ad aver scelto di raddrizzarci per andarcene in giro su due sole gambe. Secondo alcuni esperti la postura eretta è una caratteristica specifica degli esseri umani, importante almeno quanto il nostro super cervello.

Sul perché i nostri avi abbandonarono gli alberi e adottarono la postura eretta sono state avanzate numerose teorie – per avere le mani libere con cui portare i piccoli e gli oggetti; per avere una visuale migliore in campo aperto;

per poter lanciare meglio i proiettili – ma l’unica certezza è che camminare su due gambe ci è costato un prezzo altissimo. Spostarsi così rese i nostri antichi predecessori molto vulnerabili dal momento che non erano creature imponenti, per usare un eufemismo. Lucy, giovane e gracile

australopiteco che visse nell’attuale Etiopia 3,2 milioni di anni fa, spesso usata come esempio di prima postura eretta, era alta poco più di un metro e pesava appena trenta chili, statura tutt’altro che in grado di intimidire un leone o un ghepardo.

È probabile che Lucy e la sua tribù fossero costretti a correre il rischio di uscire allo scoperto. Quando il cambiamento climatico ridusse le foreste, che erano i loro habitat, ebbero bisogno di allontanarsi sempre di più per cercare il cibo, ma senza dubbio quando potevano tornavano sugli alberi. Persino Lucy sembra fosse solo parzialmente convertita alla vita a terra. Nel 2016 gli antropologi della University of Texas369 hanno infatti concluso che morì in seguito alla caduta da un albero (subì

«un evento di decelerazione verticale», come hanno scritto con un certo distacco), a riprova che passava molto tempo fra i rami, e forse lì si sentiva a casa proprio come sul suolo. O almeno fino agli ultimi tre o quattro secondi di vita.

Camminare è un’impresa più complessa di quanto pensiamo. Tenendoci in equilibrio su due soli sostegni, sfidiamo di continuo la forza di gravità. Come dimostrano i bambini che fanno i primi passi, e sono alquanto spassosi, camminare equivale a lanciare il busto in avanti per poi rincorrerlo con le gambe. Una persona in movimento tiene uno o l’altro piede lontano dal suolo per circa il 90 per cento del tempo, e questo la costringe a regolare costantemente e in modo inconscio l’equilibrio. Inoltre abbiamo un baricentro alto – si trova subito sopra la vita – che non fa che accrescere l’innata instabilità.

Per poterci trasformare dai primati che vivevano sugli alberi ai moderni umani eretti che siamo, la nostra anatomia ha subito profondi cambiamenti. Si è già visto come il collo si sia allungato e raddrizzato, congiungendosi al cranio in posizione più o meno centrale e non verso il

retro, come nelle scimmie. Abbiamo una schiena flessuosa che si piega, ginocchia fuori misura e femori dall’ingegnosa inclinazione. Le nostre gambe, infatti, non vengono giù dritte dalla vita – come nei primati – perché il femore è angolato verso l’interno via via che scende dal bacino al ginocchio, con l’effetto di avvicinare i polpacci e donarci un’andatura molto più fluida e aggraziata. Nessuna scimmia riuscirebbe mai a camminare come noi. La struttura ossea costringe i primati a ondeggiare, e per giunta con scarsissima efficienza. Per spostarsi a terra gli scimpanzé usano il quadruplo370 dell’energia impiegata dagli esseri umani.

Per spingerci in avanti abbiamo un muscolo enorme nelle natiche, il grande gluteo, più il tendine di Achille, che nessun primate possiede. Abbiamo i piedi arcuati (per il molleggio), una spina dorsale sinuosa (per redistribuire il peso) e vie nervose e sanguigne riconfigurate, il tutto reso necessario, o quantomeno consigliabile, dall’imperativo evolutivo di collocare la testa ben al di sopra dei piedi. Per non surriscaldarci quando facciamo uno sforzo abbiamo perso il grosso dei peli e sviluppato abbondanti ghiandole sudoripare.

Soprattutto, però, abbiamo una testa che si è evoluta in maniera molto diversa da quella degli altri primati. Il viso è piatto e il naso si è ridotto notevolmente. La fronte è alta per accogliere un cervello più imponente. L’abitudine di cuocere i cibi ha rimpicciolito denti e mascella. La cavità orale è corta, come anche la lingua, che è più arrotondata, e la laringe si trova in basso nella gola. I cambiamenti anatomici della parte superiore del corpo ci hanno consegnato, per un caso fortunato, un apparato vocale unico, in grado di articolare il linguaggio. Forse il camminare e il parlare sono collegati. Per una creaturina che caccia animali ben più grandi poter comunicare è decisamente un vantaggio.

Sul retro della testa c’è un modesto legamento, assente nei primati, che smaschera all’istante ciò che ha permesso alla nostra specie di evolversi. Si tratta del legamento nucale, che ha un solo compito: tenere ferma la testa quando corriamo. E correre – in maniera seria, accanita, duratura – è un’attività che svolgiamo magnificamente.

Non siamo le creature più veloci del mondo, come sa bene chiunque abbia inseguito un cane, un gatto o addirittura un criceto in fuga. Gli esseri umani più veloci arrivano a una trentina di chilometri all’ora, anche se giusto per brevi tratti. Eppure in una gara con un’antilope o uno gnu durante una calda giornata non c’è storia. Mentre noi sudiamo per raffreddarci, i quadrupedi lo fanno tramite la respirazione, cioè ansimando. Se non si fermano per riprendersi si surriscaldano e non hanno scampo. La maggior parte degli animali di grandi dimensioni non è in grado di correre per più di una quindicina di chilometri prima di crollare. A rendere i nostri antenati ancora più efficienti era la possibilità di riunirsi in gruppo per cacciare, accerchiare la preda o spingerla in spazi confinati.

I cambiamenti anatomici furono così monumentali da dar vita a un nuovo genere (che nella classificazione biologica è sopra la specie ma sotto la famiglia) chiamato Homo.

Daniel Lieberman di Harvard sottolinea che la trasformazione fu un processo in due fasi. Prima diventammo abili a camminare e ad arrampicarci, ma non a correre. Poi pian piano diventammo abili a camminare e a correre, ma non più ad arrampicarci. Correre non è solo una forma di locomozione più veloce rispetto a camminare ma, dal punto di vista meccanico, è proprio un’altra attività. «Camminare ricorda l’andatura del trampoliere e prevede adattamenti assai diversi dal correre» spiega Lieberman. Lucy camminava e si arrampicava, ma non aveva la struttura per correre che subentrò molto dopo, quando il cambiamento climatico trasformò buona parte

dell’Africa in foreste rade e savane erbose inducendo i nostri antenati vegetariani a modificare la dieta diventando carnivori (anzi, onnivori).

Questi cambiamenti anatomici e di stile di vita si verificarono con estrema lentezza. Le prove fossili dimostrano che i primi ominidi371 camminavano circa sei milioni di anni fa, ma ce ne vollero altri quattro per acquisire la capacità di correre a lungo e cacciare. Poi passò un altro milione e mezzo di anni prima che mettessero insieme abilità cerebrale sufficiente a fabbricare lance appuntite. È una lunghissima attesa per un insieme di doti di sopravvivenza in un mondo ostile e famelico. Malgrado le lacune, i nostri avi cacciavano già con successo i grandi animali poco meno di due milioni di anni fa.

Questo grazie a un trucchetto che si aggiunse all’armamentario dell’Homo: il lancio. Lanciare richiese tre cambiamenti fisici cruciali: vita alta e mobile (per creare molta torsione), spalle libere e versatili e, infine, parte superiore del braccio capace di imitare il movimento della frusta. L’articolazione della spalla non è composta da una sfera che poggia in una cavità, come l’anca, ma è più libera e aperta. Questo significa che è più sciolta e capace di ruotare – proprio ciò che serve per lanciare con forza – ma anche che rischia di dislocarsi con facilità.

Nell’atto del lancio è coinvolto tutto il corpo. Se provate a lanciare un oggetto con forza restando immobili ci riuscirete a malapena. Un buon lancio prevede un passo avanti, un’energica rotazione di vita e busto, un’ampia estensione all’indietro del braccio all’altezza della spalla e tanta potenza. Se il lancio è ben eseguito, l’oggetto può viaggiare con notevole precisione a una velocità di 150 chilometri all’ora, come dimostrano di continuo i lanciatori di baseball professionisti. La capacità di ferire e tormentare una preda sfinita lanciandole sassi da una distanza di

sicurezza dev’essere stata una dote assai utile fra i primi cacciatori.

Anche la postura eretta, però, ha avuto conseguenze con cui tutti noi oggi conviviamo, come può testimoniare chiunque abbia mal di schiena cronico o problemi alle ginocchia. Il bacino più stretto, adatto alla nuova andatura, ha aumentato molto il dolore che provano e i rischi che corrono le donne durante il parto. Fino a non molto tempo fa nessun altro animale del pianeta aveva più probabilità di morire di parto di un’umana, e forse nessuno soffre altrettanto.

Per tanto tempo non è stata riconosciuta l’importanza del movimento per una vita sana. Alla fine degli anni Quaranta, però, il dottor Jeremy Morris del Medical Research Council della Gran Bretagna si convinse372 che l’aumento dell’incidenza di infarto e coronaropatia era associato al livello di attività fisica, non solo all’età o allo stress cronico come pensavano quasi tutti all’epoca. Poiché la Gran Bretagna si stava ancora riprendendo dalla guerra e i fondi per la ricerca erano esigui, Morris dovette trovare un modo per svolgere un valido ed economico studio su vasta scala.

Un mattino, mentre andava al lavoro, gli venne in mente che gli autobus a due piani di Londra sarebbero stati il laboratorio ideale, perché in ciascuno c’erano un conducente che passava l’intera giornata lavorativa seduto e un bigliettaio che la passava in piedi. Oltre a spostarsi lateralmente, i bigliettai salivano in media seicento gradini in ogni turno. Difficilmente Morris avrebbe potuto inventarsi due gruppi più perfetti da raffrontare. Seguì per due anni 35.000 conducenti e bigliettai scoprendo che, tenuto conto di tutte le altre variabili, i primi – a prescindere dalla forma fisica – presentavano il doppio delle probabilità di avere un infarto rispetto ai secondi. Era la prima dimostrazione di un legame diretto e misurabile fra esercizio e salute.

Da allora, studio dopo studio, si è dimostrato che l’attività fisica produce benefici straordinari. Camminare con regolarità riduce il rischio373 di infarto e di ictus del 31 per cento. Da un’analisi condotta su 655.000 persone nel 2012 è emerso che dopo i quarant’anni bastano appena undici minuti di moto al giorno per aumentare di 1,8 anni l’aspettativa di vita. Un’attività di un’ora o più374 al giorno la aumenta di 4,2 anni.

Oltre a rafforzare le ossa, l’attività fisica potenzia il sistema immunitario, stimola gli ormoni, riduce il rischio di diabete e di diversi tumori (fra cui quello al seno e il colorettale), migliora l’umore e addirittura ritarda la senilità. Com’è stato detto più volte, forse non c’è organo o apparato del corpo che non tragga benefici dall’esercizio fisico. Se inventassero una pillola con effetti pari a quelli di una moderata attività, diventerebbe all’istante il farmaco più affermato della storia.

Quanto esercizio occorre fare? Rispondere non è facile.

La convinzione più o meno generale per cui dovremmo fare diecimila passi al giorno375 – sugli otto chilometri – non è certo una cattiva idea, ma non ha alcun fondamento scientifico. Ovviamente qualunque tipo di movimento ci fa bene, però l’idea che esista un numero magico e universale di passi capace di donarci salute e longevità è una leggenda, spesso attribuita a un unico studio effettuato in Giappone negli anni Sessanta, anche se persino quello potrebbe essere una leggenda. E neppure le raccomandazioni dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) degli Stati Uniti, cioè due ore e mezzo di attività moderata a settimana, si basano sulla quantità ottimale necessaria per la salute, che non si conosce, bensì sugli obiettivi che secondo i consulenti dei CDC la gente ritiene realizzabili.

Se si parla di esercizio fisico, si può dire che la maggior parte di noi non ne fa abbastanza. Solo il 20 per cento circa

delle persone376 riesce a svolgere una modesta attività in maniera regolare. La maggior parte non ne fa quasi per niente. In media oggi un americano fa377 appena mezzo chilometro al giorno, considerando ogni movimento, anche a casa e sul luogo di lavoro. Di meno sarebbe quasi impossibile persino in una società indolente. Stando all’Economist, alcune aziende americane hanno cominciato a offrire ricompense ai dipendenti che totalizzano un milione di passi all’anno con un Fitbit. Sembrerebbe un numero piuttosto ambizioso, che si riduce però a 2740 passi al giorno, poco meno di due chilometri. Ma neanche questo sembra essere alla portata di tutti. «Alcuni dipendenti378 hanno messo il Fitbit al cane per aumentare il proprio punteggio» ha scritto l’Economist. I moderni cacciatori-raccoglitori, di contro,379 arrivano in media a trentuno chilometri al giorno per procurarsi da mangiare, ed è ragionevole ipotizzare che i nostri progenitori facessero altrettanto.

In breve, il cibo se lo sudavano e di conseguenza finirono con l’avere corpi adatti a compiere due azioni per certi versi contraddittorie: essere quasi sempre attivi, ma mai più dello stretto necessario. Come spiega Daniel Lieberman: «Per capire il corpo umano380 bisogna capire che ci siamo evoluti per essere cacciatori-raccoglitori, vale a dire pronti a usare molta energia per cercare il cibo e a non sprecarla quando non serve». Se l’esercizio è importante, anche il riposo è vitale. «Per fare un esempio»

prosegue Lieberman, «non si può digerire durante l’attività fisica perché il corpo devia il sangue dall’apparato digerente per poter soddisfare la maggiore domanda di ossigeno dei muscoli. Quindi a volte occorre riposare per fini metabolici e per riprendersi dalla fatica dell’esercizio fisico.»

Dovendo sopravvivere in tempi di vacche sia magre sia grasse, i nostri antenati svilupparono la tendenza a

immagazzinare i grassi come riserva di carburante, riflesso che oggi fin troppo spesso ci uccide. L’esito è che milioni di noi passano la vita a faticare per mantenere un equilibrio fra un corpo progettato per il Paleolitico e i moderni eccessi di gola, una battaglia che in tanti perdono.

Non esiste luogo in tutti i paesi sviluppati in cui questo è più vero degli Stati Uniti. Secondo l’OMS, oltre l’80 per cento degli uomini americani e il 77 per cento delle donne americane è sovrappeso e il 35 per cento di loro è obeso, contro il 23 per cento del 1988. Nello stesso periodo l’obesità è più che raddoppiata fra i bambini e quadruplicata fra gli adolescenti. Se tutti381 fossero fisicamente simili agli americani sarebbe come aggiungere un miliardo di persone alla popolazione mondiale.

Il sovrappeso è definito come l’indice di massa corporea (IMC) compreso tra 25 e 30, oltre diventa obesità. L’IMC è il peso espresso in chili diviso per il quadrato dell’altezza espressa in metri. I Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie mettono a disposizione un utile calcolatore che permette a chiunque di ricavare il proprio IMC digitando altezza e peso. Va però detto che si tratta di una misura approssimativa, perché non distingue fra l’eventuale presenza di muscoli e il grasso. Un culturista e un pantofolaio382 potrebbero avere un IMC identico ma uno stato di salute diversissimo. Ma anche se l’IMC non è un metodo di misura infallibile, basta guardarsi intorno per avere la conferma che in giro c’è parecchia carne di scorta.

Forse nessun dato statistico che si occupi del nostro costante aumento di massa è più eloquente del fatto che oggi negli Stati Uniti una donna pesa in media383 quanto pesava un uomo nel 1960. In questo mezzo secolo il peso medio di una donna è passato da 63,5 a 75,3 chili, quello medio di un uomo da 75,3 a 89 chili (un aumento di oltre 12 chili). Il costo economico annuale per le cure sanitarie aggiuntive dovute al sovrappeso è stimato attorno ai 150

miliardi di dollari. Quel che è peggio, secondo un recente modello matematico di Harvard oltre la metà dei bambini di oggi384 a trentacinque anni sarà obesa. L’attuale generazione di giovani385 è la prima nella storia documentata che, in base alle previsioni, non vivrà quanto i genitori per disturbi legati al peso.

Il problema non si limita all’America. Si ingrassa ovunque. Nei paesi ricchi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico il tasso medio di obesità è del 19,5 per cento, ma varia molto da stato a stato. I britannici sono fra i più pienotti386 dopo gli americani, con circa due terzi di adulti che pesano più di quanto dovrebbero, e il 27 per cento di questi è obeso, rispetto al 14 per cento del 1990. Il Cile ha la percentuale più alta di cittadini sovrappeso, il 74,2 per cento, seguito dal Messico con il 72,5 per cento. Persino nella relativamente snella Francia il 49 per cento degli adulti è sovrappeso e il 15,3 per cento è obeso, rispetto a meno del 6 per cento di appena venticinque anni fa. Il dato globale dell’obesità si attesta al 13 per cento.387

   

Dimagrire è difficile, non c’è dubbio. Secondo una stima,388 per perdere appena mezzo chilo bisognerebbe camminare per 56 chilometri o correre per sette ore. Uno dei principali problemi dell’attività fisica è che non la calcoliamo con precisione. Uno studio condotto in America ha scoperto che in genere si sopravvaluta389 di quattro volte il numero di calorie bruciate durante un allenamento. E poi si consuma in media il doppio di quanto si è appena bruciato. Come scrive Daniel Lieberman nel libro La storia del corpo umano, in un anno un operaio390 brucia circa 175.000 calorie in più rispetto a un impiegato, pari a oltre sessanta maratone. È un dato imponente, ma la domanda è: quanti operai hanno l’aspetto di chi fa una maratona ogni sei

giorni? Non tanti, a essere franchi, perché la maggior parte di loro, come quasi tutti, quando non lavora reintegra le calorie bruciate con gli interessi. Il punto è che mangiando troppo, come molti di noi, si fa in fretta a cancellare buona parte dell’esercizio fisico.

Come minimo – ed è davvero il minimo – bisognerebbe alzarsi e muoversi un po’. Secondo uno studio, per un pantofolaio incallito (chi sta seduto sei ore o più al giorno) il rischio di mortalità aumenta quasi del 20 per cento se è uomo, del doppio se è donna (perché la sedentarietà sia ben più pericolosa per le donne è un mistero). Chi sta troppo seduto391 ha il doppio delle probabilità di sviluppare diabete e infarto fatale, e due volte e mezzo la probabilità di soffrire di malattie cardiovascolari.

Il dato strano e allarmante è che non importa quanta attività si faccia nel tempo restante. Una serata trascorsa392 sull’allettante imbottitura che è il grande gluteo può vanificare i benefici ricavati durante una giornata di moto. Come ha scritto James Hamblin in un articolo dell’Atlantic: «Il tempo passato seduti non si può disfare». Chi ha un’occupazione o uno stile di vita sedentari – cioè il grosso di noi – rischia di passare seduto quattordici o quindici ore al giorno, stando completamente e patologicamente immobile più o meno per la sua intera esistenza.

James Levine, esperto di obesità393 della Mayo Clinic e dell’Arizona State University, ha coniato l’espressione

«Termogenesi da attività non associata all’esercizio fisico»

per descrivere l’energia che si consuma in una normale giornata. Già esistere brucia di per sé un bel po’ di calorie.

Cuore, cervello e reni ne consumano ciascuno sulle quattrocento al giorno, il fegato circa duecento. Mangiare e digerire richiede un decimo del fabbisogno energetico giornaliero del corpo. Il solo levare le chiappe dal divano fa molto di più. L’atto di alzarsi brucia 107 calorie all’ora.

Camminare ne brucia altre 180. In uno studio i volontari hanno passato una serata a guardare la televisione, ma alzandosi e gironzolando per la stanza durante ogni pausa pubblicitaria. Solo così hanno bruciato 65 calorie in più

Camminare ne brucia altre 180. In uno studio i volontari hanno passato una serata a guardare la televisione, ma alzandosi e gironzolando per la stanza durante ogni pausa pubblicitaria. Solo così hanno bruciato 65 calorie in più

Documenti correlati