• Non ci sono risultati.

L’ “incapienza” del Fondo nazionale di Risoluzione: quid iuris?

Capitolo I- Dal “too big to fail” alla“likehood to fail” Dalla liquidazione alla risoluzione I Fondi d

7. L’ “incapienza” del Fondo nazionale di Risoluzione: quid iuris?

La questione dell’eventuale incapienza del Fondo di Risoluzione nazionale va evidentemente affrontata in via interpretativa. Il legislatore nel tempo ha avvertito l’esigenza di regolare eventuali situazioni d’incapienza riferibili a specifiche figure di patrimonio separato e lo ha fatto anzitutto con riferimento a una figura che ormai potremmo definire archetipica della separazione patrimoniale in Italia: i patrimoni destinati a uno specifico affare ex artt. 2447-bis e sgg. C.c. (cfr. par. 4.1). Il legislatore è intervenuto sul testo dell’art. 2447-novies C.c. con il D.Lgs. 310/2004 proprio per disciplinare questa situazione. Se si ammette una ricostruzione del Fondo di risoluzione nazionale in termini di patrimonio separato è evidente che la disciplina sull’incapienza dei patrimoni destinati delle S.p.a. può fornire delle indicazioni importanti per le situazioni di eventuale incapienza dello

272 Bisogna inoltre considerare che nel caso che qui ci occupa mancherebbe anche il presupposto oggettivo (i.e. l’insolvenza) di una eventuale procedura fallimentare. La costituzione di un patrimonio separato determina- come ampiamente visto-una riserva di quel patrimonio all’azione esecutiva dei creditori particolari. Ciò significa che questi creditori sono in grado di determinare ex ante la misura della loro garanzia e, specularmente, la responsabilità dei debitori sarà, generalmente parlando, direttamente correlata a questa garanzia esistente sicchè una volta che il patrimonio separato (inteso come garanzia) dovesse esaurirsi, non potrebbe aversi alcun inadempimento del debitore da far valere. Ecco perché si suole designare queste situazioni come di “incapienza”, piuttosto che di insolvenza.

138

stesso. Quella di cui all’art.2447-novies costituirebbe cioè l’unica ipotesi che fa espresso riferimento all’insolvenza di un patrimonio separato- se si esclude la nuova disciplina sulla liquidazione dei fondi comuni d’investimento273- con la conseguenza che a questa dovrebbe farsi riferimento per sciogliere il nodo circa le conseguenze di un’incapienza del Fondo nazionale.

Il testo dell’art. 2447-novies C.c. oggi prevede che “quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l’affare cui è stato destinato il patrimonio […] gli amministratori redigono un rendiconto finale che, accompagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese”. In questa situazione può accadere che il patrimonio separato sia incapiente o che, per dirla con il comma 2 dell’art. 2447-novies, “non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio”.

In tale scenario, a fronte del patrimonio generale della S.p.a. che è in bonis, vi è il patrimonio destinato che non è in grado di far fronte alle obbligazioni contratte. È data allora ai creditori insoddisfatti la possibilità di chiedere la liquidazione del patrimonio destinato274 a mezzo di raccomandata da inviare alla società entro 90 giorni, che decorrono dal deposito della relazione finale. La liquidazione del patrimonio - ed è questo il punto di grande interesse ai fini dell’analisi che qui si sta conducendo- avverrà, per espressa previsione legislativa, esclusivamente secondo le disposizioni sulla liquidazione delle società, in quanto compatibili (si tratta, come noto, delle disposizioni di cui al Capo VIII del C.c., artt. da 2484 a 2496). È dunque radicalmente esclusa-in linea con quanto sinora detto con riferimento al Fondo di Risoluzione nazionale- un’ipotesi di fallimento del patrimonio destinato della S.p.a. Ciò è invero ulteriormente confermato dall’intervento effettuato sul testo dell’art. 156 della L. fallimentare (R.D. 267/42) con il D.Lgs. 5/2006. Con la

273 Il rinvio alla disciplina della liquidazione dei fondi comuni d’investimento non sembra possibile. È infatti vero che la Suprema Corte ha negato la soggettività ai fondi, ma ciò è avvenuto prima della previsione di una loro liquidazione. Come si è notato (cfr.

nota 265), l’innesto di questa disciplina sembrerebbe costituire un ulteriore indice verso la soggettività dei fondi comuni di

investimento, in contrasto con quanto statuito dalla Cassazione. Se così stessero le cose- se cioè si concludesse per una soggettività dei fondi comuni- bisognerebbe ammettere che la negazione di una soggettività al Fondo di Risoluzione nazionale renderebbe ad esso inapplicabile la disciplina sulla liquidazione dei fondi comuni di investimento. Il rinvio alle disposizioni sull’incapienza dei patrimoni destinati delle S.p.a. sembra dunque essere la strada più ragionevole da percorrere.

274 Come evidenziato da Campobasso, in dottrina si tende a riconoscere il diritto dei creditori a ottenere la liquidazione del patrimonio incapiente a prescindere dall’accertamento dell’insolvenza da parte degli amministratori e dal deposito del rendiconto. CAMPOBASSO G.F.;CAMPOBASSO M.(a cura di), “Diritto Commerciale 2- Diritto delle società”, pag. 183; Ottava Edizione,UTET,

139

novella si è infatti disciplinata la situazione in cui la S.p.a., diversamente dalla situazione regolata dall’art. 2447-novies, non è in bonis. L’art. 156 L. fall. oggi dispone che “se a seguito del fallimento della società, o durante la sua gestione, il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili”.

In entrambi i casi troveranno applicazione le disposizioni in materia di liquidazione delle società di capitali, nella misura in cui queste siano compatibili.

La liquidazione volontaria delle società avviene, come noto, al di fuori di una vera e propria cornice di concorsualità, presentando dunque il limite - tra i vari - di non essere improntata alla par condicio creditorum: il rinvio a questo fascio di norme determina che la liquidazione del patrimonio destinato della S.p.a. avvenga anch’essa senza l’operatività della par condicio275.

Ciò che qui più interessa è il disposto dell’art. 2447-novies, comma 2° che, occupandosi dell’incapienza del solo patrimonio destinato, ben si potrebbe adattare alla situazione di incapienza del Fondo di Risoluzione nazionale. D’altronde saremmo in entrambi i casi dinanzi ad una forma di separazione patrimoniale in cui, sol che si badi alla sostanza delle due discipline, assumono rilievo preminente alcuni elementi comuni: l’impressione di una specifica destinazione, la riserva del patrimonio separato ai creditori particolari, la distinzione del patrimonio separato da altri patrimoni (da quello della S.p.a. nell’un caso, da quello della Banca d’Italia e delle banche contribuenti nell’altro). Si tratta di elementi- come visto- ricorrenti nelle varie figure di separazione patrimoniale che potrebbero giustificare un’applicazione analogica della disciplina sulla liquidazione dei patrimoni destinati delle S.p.a. ai casi d’incapienza del Fondo di Risoluzione nazionale.

Semplificando: qualora il Fondo di Risoluzione nazionale, anche a seguito dell’intervento effettuato a novembre (cfr. par.3), fosse incapiente, sembrerebbe legittimo concludere che i creditori (si pensi a Unicredit, UBI o Intesa Sanpaolo) possano chiederne la liquidazione, che avverrebbe secondo la disciplina appena vista in materia di patrimoni destinati delle S.p.a.

275 Ciò se può giustificarsi nell’ambito della liquidazione volontaria delle società di capitali, con riferimento all’incapienza del patrimonio destinato della S.p.a. crea delle forti disparità di trattamento dei creditori riservatari rispetto a quelli generali, per cui invece in caso di fallimento della società opererà la par condicio

140

È evidente che si tratta di un problema di non poco conto e difficilmente risolvibile in assenza di qualsiasi indicazione legislativa espressa. Un problema simile si era posto con riferimento al contratto di rete nel cui ambito fosse istituito un fondo patrimoniale comune e un organo comune. Alcuni di quelli che, già prima della novella legislativa in materia (si v .par. 4.6), propendevano per l’inesistenza di una soggettività in capo alla rete, avevano proposto, per i casi d’incapienza del fondo patrimoniale comune della rete, un’applicazione analogica proprio della disciplina codicistica in materia di incapienza dei patrimoni destinati delle società276. Una soluzione dunque simile a quella che qui si propone.

Accogliendo la ricostruzione qui avanzata si profilerebbe la possibilità per un creditore del Fondo di Risoluzione di chiedere la liquidazione dello stesso secondo le regole in materia di liquidazione delle società, se e in quanto compatibili. La liquidazione avverrebbe conseguentemente senza che il principio della par condicio creditorum possa operare.

La questione dell’eventuale incapacità del Fondo di Risoluzione di adempiere alle obbligazioni contratte è comunque ulteriormente complicata – più di quanto già non lo sia- dalla circostanza che, a differenza dell’art. 2447-quinquies del C.c., il legislatore del novembre 2015 non ha inserito la previsione secondo cui il Fondo di Risoluzione nazionale risponde esclusivamente nei limiti della sua capienza. L’unica cosa che si è prevista è che il Fondo risponda esclusivamente per certe obbligazioni, ma nessun riferimento è fatto a una responsabilità limitata esclusivamente al suo ammontare. Il limite della capienza - è vero- potrebbe essere recuperato in via interpretativa sostenendo che nei casi di separazione patrimoniale il patrimonio separato costituisce comunque

misura massima della sua responsabilità 277, ma la mancanza del legislatore sicuramente non aiuta ad

orientarsi in una situazione già di per sé dubbia.