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GLI INCENTIVI AGROAMBIENTALI E LE OPPORTUNITÀ OFFERTE DAI PSR

10 Food Policy 2009, n 34, issue

3.4. GLI INCENTIVI AGROAMBIENTALI E LE OPPORTUNITÀ OFFERTE DAI PSR

Il primo sostegno finanziario diretto per l’agricoltura biologica è stato reso possibile grazie al reg. 2078/92 che prevedeva la corresponsione di appositi pagamenti agroambientali agli agricoltori disponibili ad adottare tecniche produttive eco-compatibili. Oltre ad offrire una retribuzione per i servizi ambientali

19 La nuova legge, in particolare, potrebbe offrire la possibilità di trovare strumenti di sostegno e di

valorizzazione nelle politiche ambientali (in materia di biodiversità, protocollo di Kyoto, convenzione sul paesaggio, verde pubblico), di educazione alimentare e della sanità.

forniti, il sostegno era finalizzato a compensare i maggiori costi e i mancati redditi conseguenti all’adozione di tali tecniche. In linea con le disposizioni del Regolamento, Piani agroambientali appositamente predisposti dagli Stati membri o dalle Regioni (come nel caso italiano) e sottoposti all’approvazione della Commissione europea, riportavano le misure da attuare con le relative modalità e i livelli dei pagamenti, secondo modelli volti a rispondere alle specifiche situazioni locali.

Questa impostazione del sostegno si ripete anche nelle fasi normative successive, quando, a conclusione del reg. 2078/92, le misure agroambientali vengono integrate nel reg. 1257/99 che costituisce il riferimento per il sostegno allo sviluppo rurale. In particolare, la misura F contenuta nei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) per il periodo di programmazione 2000-2006 ripropone gli incentivi agroambientali in tutte le regioni. Analogo modello viene previsto per l’attuale fase di programmazione (2007-2013) mediante il reg. 1698/2005 e la misura 214 dei relativi PSR.

I pagamenti agroambientali, come noto, hanno contribuito in misura molto rilevante allo sviluppo dell’agricoltura biologica registrato negli anni ’90, determinandone la diffusione sul territorio e contribuendo ad aumentare la conoscenza su questo metodo produttivo. L’influsso del sostegno pubblico si registra d’altronde anche nel decennio successivo, quando, alla riduzione delle risorse destinate alle misure agroambientali, al progressivo esaurimento dei contratti del precedente periodo programmatorio e ai ritardi nell’attuazione di quello successivo, si accompagna una riduzione della crescita del settore che, con particolare riguardo alla contrazione delle superfici biologiche, raggiunge i suoi apici negli anni 2004 e 2008.

Tale sostegno non può tuttavia essere considerato l’unico strumento che la politica di sviluppo rurale mette a disposizione per il biologico. Altre possibilità sono offerte, in particolare nell’Asse 1, per poter definire una strategia - possibilmente integrata - che, considerando anche le dimensioni territoriali e di filiera, promuova il settore nel suo complesso in maniera coerente.

Un’analisi recente delle strategie regionali per l’agricoltura biologica in Italia (Viganò, 2009) ha messo in evidenza una situazione piuttosto variegata relativa, per un verso, a grado e modalità di utilizzazione delle opportunità offerte dalla politica di sviluppo rurale e, per altro, a entità e articolazione dei pagamenti.

Per quel che riguarda il primo punto, sono da considerare innanzitutto le scelte delle Regioni in merito al livello di sostenibilità ambientale desiderato per la propria agricoltura: è evidente che il sostegno accordato anche ad altri metodi a basso impatto (tra cui l’agricoltura integrata) può distrarre risorse da un’azione più efficace realizzata mediante l’agricoltura biologica. Tra gli elementi che possono concorrere alla definizione di strategie a favore del settore nell’ambito dei PSR, le priorità accordate alle aziende biologiche per l’accesso ad altre misure

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costituiscono un segnale di evidente preferenza per questo metodo produttivo: partecipazione ai costi di certificazione e controllo, ammodernamento delle aziende, progetti di filiera, consulenza aziendale sono alcune delle misure per le quali è stata prevista una priorità di accesso per le aziende biologiche (Emilia- Romagna e Lazio rappresentano in questo caso esempi ‘virtuosi’ per il numero di misure considerate).

Parallelamente a questi fattori, sono inoltre da considerare numero e tipo di eventuali vincoli stabiliti dai Piani: dimensione minima aziendale per l’accesso all’azione, specializzazione nel biologico, quota minima di prodotto biologico commercializzato con marchio, se rappresentano, da un lato, la volontà dell’amministrazione di aumentare l’efficacia ambientale dell’intervento, d’altro canto possono tradursi in un disincentivo allo sviluppo del settore.

Per altri elementi introdotti per assicurare una più ampia adesione degli agricoltori e quindi un impatto positivo relativamente all’estensione del metodo, si profila, al contrario, il rischio di un effetto di breve durata se non sono accompagnati da opportune azioni di consolidamento in una strategia complessiva. La durata del periodo di conversione è uno di tali elementi. Come noto, la fase di introduzione dell’agricoltura biologica in azienda è caratterizzata da livelli di premi generalmente più elevati rispetto al periodo di mantenimento, poiché si considerano i maggiori costi che l’imprenditore sostiene nel periodo di conversione aziendale da convenzionale a biologico. Anche se tali differenze sembrano contenute rispetto alle maggiori risorse impiegate e alle minori entrate (considerando anche l’impossibilità di vendere i prodotti realizzati in questa fase come biologici spuntando il relativo premium price20), il livello di pagamenti più elevato può essere considerato un incentivo alla conversione aziendale limitatamente ai casi in cui la durata del periodo di conversione è superiore ai due- tre anni previsti21, ritenuti necessari per compensare i maggiori costi/minori entrate. In tal caso però è concreto il rischio che l’impresa non muti il profilo convenzionale dell’azienda e le relative strategie di commercializzazione e di mercato (Viganò, 2009).

Con la revisione di medio termine della PAC, si sono profilate nuove opportunità per la definizione di strategie a sostegno dell’agricoltura biologica che presenta carattere trasversale rispetto alle sfide individuate. Tuttavia, sulla base delle modifiche dei PSR conseguenti all’Health Check, non sembra che tali opportunità siano state colte adeguatamente, soprattutto riguardo al rafforzamento della base produttiva e alla strutturazione della filiera (Abitabile e Viganò, 2010).

20 A questo riguardo va segnalato uno studio condotto a livello europeo - in cui è coinvolta anche l’Italia -

(Tranter et al, 2009) che verifica la disponibilità dei consumatori a pagare un sovraprezzo per i prodotti in conversione, potendo questi spuntare quindi un prezzo più elevato rispetto all’attuale situazione, anche se più contenuto rispetto al premium price del biologico.

Le principali questioni aperte relative ai pagamenti per l’agricoltura biologica ruotano sostanzialmente intorno alla metodologia di calcolo utilizzata, da cui dipende il livello dei pagamenti e la relativa differenziazione tra regioni e colture. Come noto, i pagamenti annuali sono finalizzati a compensare l’imprenditore agricolo del minor ricavo e/o dei maggiori costi derivanti dall’applicazione del metodo produttivo a minor impatto rispetto alla baseline, alla situazione cioè determinata dalla conduzione ordinaria (convenzionale) dell’azienda nel rispetto degli obblighi normativi correnti (condizionalità). Il pagamento è distinto in base alla modalità di accesso (fase di introduzione o mantenimento), gruppi di colture e zone di intervento ma deve rispettare i massimali stabiliti a livello europeo. Sulla base di indicazioni comunitarie relative, tra l’altro, alla verificabilità dei dati utilizzati e alla necessità di modulare i pagamenti in relazione alle condizioni locali, questi sono poi calcolati dalle singole amministrazioni regionali.

La fase empirica del calcolo ha in realtà messo in evidenza tutta una serie di problemi connessi in particolare alle informazioni necessarie per la simulazione dei due bilanci da confrontare (azienda baseline e azienda biologica) per determinare le differenze in termini di costi e ricavi. Indisponibilità dei dati, utilizzo di fonti diverse in numero e tipo, divergenze nei dettagli metodologici sono tra le cause delle differenze nei livelli dei pagamenti regionali per l’agricoltura biologica (Rete rurale nazionale, 2009).

Nella tabella 3.4 si evidenziano i premi medi regionali per il biologico stabiliti per le due ultime fasi programmatorie. Le divergenze tra le regioni, sebbene ridotte rispetto al periodo 2000-2006, permangono. Naturalmente, trattandosi di valori medi – pur se ponderati22 - non è possibile stabilire se tali differenze possano essere giustificate sulla base delle condizioni locali cui si riferisce la Commissione europea, ma risulta altrettanto evidente che nella situazione attuale non è possibile escludere l’eventuale concausa nei problemi metodologici cui si accennava.

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Tabella 3.4 – Premi medi ponderati per l’agricoltura biologica e confronto tra vecchia e nuova programmazione (euro)

2000-2006 2007-2013 diff. % Piemonte 289 317 10 Valle d’Aosta 537 359 -33 Lombardia 268 193 -28 Bolzano 621 386 -38 Friuli V. G. 585 253 -57 Liguria 392 328 -16 Emilia Rom. 257 257 0 Toscana 272 270 -1 Umbria n.d. 233 Marche 223 185 -17 Lazio 307 413 34 Abruzzo 323 218 -33 Molise 319 313 -2 Campania 446 306 -31 Basilicata 253 217 -14 Calabria 365 333 -9 Sicilia 414 378 -9 Italia 318 290 -9 Nord 284 276 -3 Centro 274 256 -6 Sud e Isole 358 317 -12