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L'incidenza di Leonardo Cinnamo sulla scena gesuitica napoletana del

LE TRAGEDIE DI LEONARDO CINNAMO

V. 2 «Lo farò madre, sì lo farò»: la pietà nel Melitone.

V.3 L'incidenza di Leonardo Cinnamo sulla scena gesuitica napoletana del

secolo.

Si è ampiamente sottolineata l'importanza che il teatro gesuitico assume nel corso del Seicento con la sua intrinseca capacità di raccordare l'esperienza della scena con l'istanza pedagogica e formativa. Giovani destinati all'esercizio del potere concludono sui palcoscenici dei collegi il loro percorso di formazione retorica.

Si tratta degli stessi palchi che palpitano di proposte innovative che incidono in maniera fondamentale sullo sviluppo della drammaturgia, della scenotecnica, dell'artigianato legato al teatro, andando ad assecondare e stuzzicare i gusti del pubblico in un momento storico, il barocco appunto, che si regge sulla dissimulazione e la meraviglia.

I Gesuiti a Napoli non sono meno attivi che in Sicilia o a Roma, né si risparmiano nell'infarcire le scene dei loro teatri di drammi sempre più complessi. Tuttavia la realtà napoletana di quegli anni, articolata e complessa, ha notevolmente pesato sulle opere dei Padri che in essa hanno operato: il Cinnamo è stato solo uno dei tanti interpreti di questo momento storico alla stessa maniera di come lo sono stati Muzio Brancaccio, Cesare Pappacoda, Diomede Carafa, Francesco Zuccarone, Ettore Capece Galeota, tutti abilissimi a conciliare le direttive provenienti dal Collegio Romano con la situazione storico/sociale di una città vincolata sia ai mutamenti di governo sia alle imposizioni della componente ecclesiastica.10 Di questa situazione Leonardo Cinnamo è forse

10 Riportiamo qui alcune delle opere di questi autori tutt'ora conservate alla Biblioteca Nazionale di Napoli: Mutio Brancaccio, Apolline in Tessaglia, favola allegorica che si recita nel Collegio dei

Nobili...disteso atto per atto e scena per scena, in Napoli, per Egidio Longo, 1635; Cesare

Pappacoda, Ciro, tragedia che si recita da signori del Collegio in Napoli...a Luigi Pappacoda,

vescovo di Lecce, in Napoli, nella stampa del Gasparo, 1640; Id., Il Zenone. Tragedia rappresentata in Napoli dal Collegio dei Nobili della Compagnia di Gesù, in Napoli per Novello

de Bonis, 1659; Diomede Carafa, I presagi, dramma allegorico che si recita dalla camera dei più

piccoli del Seminario dei nobili della Compagnia di Gesù in congratulazione del figlio maschio nato all'eccellentissimo signor di Penoranda vicerè, spiegato col suo argomento e scenario...da Diomede Carafa d'Aragona al vicerè, in Napoli, per Giacinto Passero, 1661; Francesco

Zuccarone, Il Leone Armeno. Tragedia del Padre Francesco Zuccarone della Compagnia di

Giesù rappresentata dal Collegio de' Nobili di Napoli avanti l'Ecc.mo Sig.r Don Pietro Antonio d'Aragona, Napoli 1666; Ettore Capece Galeota, Il Ciro, recitato da' signori del Collegio dei Nobili, in Napoli, per Novello de Bonis, 1670. Aggiungiamo a queste anche una riflessione di

Croce che afferma:«Famosi autori nel genere furono allora in Napoli il Sorrentino, il De Castro, il Castaldo, e poi un secondo Francesco Zacconi domenicano, e il padre Francesco Gizzio, e Andrea Perrucci, e altri molti; dei quali ci avanzano il San Pasquale Baylon, il San Gregorio

l'esempio più precoce.

Santo Eudossio e Melitone si presentano come due drammi paradigmatici innanzitutto

perché sono due tra le prime opere drammaturgiche gesuitiche scritte e rappresentate al Collegio dei Nobili di Napoli: dalla data di fondazione di questo istituto (1634) a quella di rappresentazione delle tragedie (1642) passano solo otto anni, perciò si tratta di testi dai quali scaturiscono le linee guida di tutta la produzione di quella scuola elaborata negli anni successivi.

Il primo risultato dell'incontro fra le regole gesuitiche e la realtà napoletana , poli tra i quali il Cinnamo si pone in qualità di mediatore, è il passaggio dal latino, dominante in Sicilia e a Roma, al volgare, che garantisce una fruizione immediata e diretta allo spettatore. Anzi, probabilmente potremmo azzardare un'ipotesi ancora più suggestiva legata alla mancanza degli Argomenti sia del Santo Eudossio che del Melitone.

Se l'Argomento distribuito agli spettatori svolge la funzione di compendio alla rappresentazione, se la sua utilità sostanziale è legata alla difficoltà che l'uso del latino nei dialoghi crea ad un pubblico che ha solo una conoscenza media di questa lingua e che, quindi ha bisogno di un riferimento per seguire l'azione scenica, è probabile che , nel momento in cui questo ostacolo viene superato con l'uso del volgare, il testo sussidiario diviene assolutamente inutile.

Occorre quindi chiedersi se la mancanza dell'Argomento sia un dato legato alle vicissitudini storiche dei Collegi. Indifferentemente dal fatto che esso sia andato perduto nell'intricata mole di documenti prodotta nelle scuole gesuitiche, oppure che non sia mai stato composto, dobbiamo pensare al Cinnamo come ad un drammaturgo non esclusivamente orientato allo sfoggio dell'abilità retorica, ma ad un comunicatore di più ampio respiro che tenta di instaurare un rapporto diretto tra la scena e la platea senza servirsi di mezzi intermedi.

Per quel che concerne il discorso della lingua, non si deve dimenticare che Cinnamo, al fine di una più immediata fruizione da parte del pubblico, aveva già curato una traduzione di una tragedia di Scipione Sgambati, il Cyrus. La traduzione è del 1640 e,

taumaturgo, il San Romualdo, il San Vito, la Santa Maria Maddalena dei Pazzi, la Santa Elena romita, la Taide alessandrina, la Santa Rosa, il San Giovanni Battista, il San Pietro d'Alcantara,

il Sant'Eustachio, la Santa Teodora, la Conversione di Pietro Bailardo famoso mago, e via enumerando»(Benedetto Croce, op.cit., p.130-31).

quindi, l'autore aveva intrapreso immediatamente la strada del volgare appena giunto al Collegio dei Nobili in qualità di Padre Superiore e professore di retorica.

Se al Collegio Romano, sotto l'influenza delle opere di Bernardino Stefonio, incombe il modello antico di versificazione, confortato anche dalle elaborazioni teoriche di Tarquinio Galluzzi, Famiano Strada e Alessandro Donati,11 a Napoli i Padri cercano di

ampliare le premesse teoriche, almeno nell'ambito dei versi lirici dove troviamo fedeli calchi, oltre che di Seneca, anche di Orazio e di Prudenzio. Tali riferimenti si affiancano a interessanti contaminazioni legittimate dalla teoria e dalla precettistica dei grammatici antichi, i cui modelli venivano offerti agli alunni.

Nella sua scrittura Cinnamo affida agli endecasillabi e ai settenari solo le parti musicate, sacrificando l'altisonante e magniloquente retorica della lingua antica al gusto dello spettacolo e alla diretta ricezione del messaggio da parte del pubblico. Ma quello della lingua non è l'unico aspetto strutturale sul quale Cinnamo disattende la Ratio e l'uso del Collegio Romano: Santo Eudossio e Melitone si snodano in tre atti invece dei canonici cinque di stampo classicista ai quali si rifacevano i drammaturghi gesuiti. In questo modo la tragedia viene snellita risultando molto più scorrevole, soprattutto se si considera il fatto che ad ogni atto corrisponde un intermezzo verosimilmente movimentato da musica e spazi coreutici.

Se il grande limite del teatro gesuitico si risconta nella pesantezza delle tragedie, nella loro eccessiva lunghezza e staticità, specchio della magniloquenza severa dell'ambiente romano, a Napoli il Cinnamo si rifà al gusto molto più leggero del teatro locale, trasponendo nelle tragedie l'ottica di un popolo molto meno conforme all'austerità controriformista.

L'attenzione del Cinnamo è più legata a contenere le sue opere entro una linea d'ossequio al potere costituito. Per questa ragione esse sono costruite con molta circospezione affinché, in alcuna maniera, potessero risultare politicamente scomode.

11 Entrambi allievi di Bernardino Stefonio, al Galluzzi si è data ampia rilevanza nel cap. II, par. 3 del presente studio. Famiano Strada (1572-1649), entrato nella Compagnia di Gesù nel 1591, professore di retorica, è stato tra i principali officianti dell'eloquenza sacra del XVII sec., ispirata ad un gusto tutto barocco dei concetti e delle metafore. Alessandro Donati (1584-1640), professore di retorica al Collegio Romano, autore di un piccolo libretto, Ars Poetica, pubblicato nel 1631, presenta l'opera dello Stefonio come archetipica del teatro gesuita (cfr. Lydia Salviucci Insolera, L'imago primi saeculi (1640) e il significato dell'immagine allegorica nella Compagnia

Nessuna lotta per il potere trova spazio negli intrecci e non vi è alcun rimando ad idee politiche, anzi gli eroi restano sempre assolutamente fedeli alla concezione dello Stato come entità da servire incondizionatamente.

Così il conte Eudossio abbandona per Cristo il cingolo militare, pur sempre restando un soldato romano che accetta senza alcuna esitazione la morte impostagli da un rappresentante dell'ordine costituito; anzi la legge dello Stato che ne decreta il martirio è un mezzo ulteriore per avvicinarlo alla gloria celeste.

Alla stessa maniera Melitone e i suoi compagni, pur nel rifiuto di abiurare la fede, non inveiscono contro il Preside Agricolao, ma si limitano a rimanere fermi e composti nel loro orgoglioso dichiararsi servitori di Roma.

Il nemico, quindi, non è mai lo Stato, ma ciò che dev'essere con tutte le forze combattuto è il Maligno e i suoi servi. Se l'ossequio della nobiltà e dell'ordine costituito era una priorità in una città spesso scossa da fermenti rivoluzionari qual era la Napoli di quegli anni e se la gioventù andava catechizzata al rispetto di quella gerarchia dalla quale sarebbero presto stati assorbiti, ciò che andava demonizzato era la superstizione, l'assoggettamento agli inganni del demonio che, sulla scena, erano incarnati dai malefici dei negromanti, unici nemici possibili dei cristianissimi eroi. Questa lotta contro la superstizione e il paganesimo è parte integrante dell'apostolato gesuitico e l'avventura che il Cinnamo dipinge si regge, con esemplare equilibrio, su una concezione provvidenziale della storia all'interno della quale eroi come Eudossio e Melitone sono campioni del Bene contro il Male, non già esponenti di una ideologia che si contrappone a quella dominante.12

Il rispetto della Ratio Studiorum è ben chiaro in alcuni particolari scenici sui quali l'autore interviene con molta decisione. Primo fra tutti il modo di trattare le protagoniste femminili (anche se le uniche due donne che appaiono nelle tragedie, Basillissa e Irene, figure caste e devote di moglie e madre), che non vestono mai abiti femminili, così

12 Il Cinnamo considera l'opportunità di non inscenare congiure di palazzo, come accade, ad esempio ad uno Stefonio o, per rimanere in ambito napoletano, al padre Zuccarone nel Leone

Armeno o nel Demetrio.Le due tragedie del padre Francesco Zuccarone, che scrive negli anni un cui si andava spegnendo l'eco della rivolta partenopea del 1647, incentrano l'azione su intrighi e congiure di palazzo. A tal proposito rimandiamo a Rosanna Spirito (a cura di), Il Leone Armeno.

Tragedia del padre Francesco Zuccarone, Salerno, Edisud, 2007, passim e Ead., Il Demetrio, cit.,

come espressamente prescrive il manuale pedagogico dei Gesuiti.

Basillissa infatti appare in scena travestita da uomo adducendo come motivazione la necessità di non farsi riconoscere dai soldati che nella selva sono alla caccia di Eudossio. Ancor più più sottile è il modo in cui l'autore presenta Irene prima vestita da soldato e poi da servo, dopo aver scambiato abito e status con Sisinnio.

Accanto a questi dettami si affianca, soprattutto nel Santo Eudossio, anche il gusto del macabro. Del resto il Cinnamo, in linea con i precursori della drammaturgia gesuitica, coltiva un teatro che contempla immagini di di grande forza visiva: la testa mozzata di Corpoforo, il viso butterato di uno dei pastori ucciso da un fulmine e soprattutto Eudossio che conclude la tragedia apparendo quasi come uno spirito con il corpo decollato, esercitano una carica impressionante su un pubblico di collegio sensibile a queste trovate ad effetto.

Lontano dall'estetica classicista è anche il rispetto relativo dell'unità di luogo dal momento che il Cinnamo applica una funzione simbolica alle ambientazioni.

Se si prende in esame il Santo Eudossio si nota subito come esso si svolga interamente in una selva intesa quale spazio indefinito tra due punti antitetici eppure ugualmente focali, ossia il centro dal quale si irradia il Bene, la dimora di Eudossio, e il punto donde sorge e si alimenta il Male, rappresentato dall'albero incantato fatto sorgere da Arbogasto.

Nel Melitone lo spazio si restringe in maniera centripeta dato che l'azione fa convergere inesorabilmente tutti i protagonisti verso lo stagno gelato, luogo dell'esecuzione dei martiri. Dunque Cinnamo non propone, nella scenografia, palazzi claustrofobici, ma muove i protagonisti in ampi spazi offrendo all'azione vasto respiro.

Ovviamente la ragione di questa scelta va ricercata anche nel fatto che gli esercizi ginnici o le abilità nel ballo che i giovani del collegio andavano a mostrare possono avere in questi spazi un'ambientazione più verosimile ed una maggiore libertà di movimento.

La scena concepita dal gesuita nolano tenta di catturare in ogni modo l'attenzione di un pubblico certo abituato a soluzioni che esulavano dalla regolarità del teatro accademico.

L'impegno di Leonardo Cinnamo è di fare della recita di collegio un veicolo di comunicazione la cui fruizione auditiva e visiva deve essere istantanea e piacevole, in

grado allo stesso tempo di assecondare i dettami della Ratio Studiorum. In questo senso sono soprattutto i cori e gli intermezzi, con la loro commistione di musica, danza e forza scenotecnica, a garantire i maggiori sussulti di meraviglia.

In questi frangenti l'effervescente teatralità napoletana prende il sopravvento offrendo anche spunti estremamente originali man mano che la pratica teatrale di collegio tende a stereotiparsi generando, quindi, un bisogno di ravvivarne l'efficacia. Se nella seconda metà del XVII secolo i tempi saranno maturi al punto che Francesco Zuccarone, negli intermezzi del Demetrio, concederà il vernacolo napoletano al colorito personaggio di Coviello,13 Cinnamo è ancora un antesignano legato alla norma rappresentativa mutuata

dai grandi drammaturghi dell'Ordine. In quello che è stato, per dirla con le parole di Croce, «il secolo della pomposa devozione, delle gonfie prediche concettose, degli apparati nelle piazze e nelle chiese»,14 il teatro gesuitico assume un ruolo primario e

fondamentale a Napoli.

La corrispondenza epistolare con la vicina Roma rende assolutamente feconda questa stagione caratterizzata anche dall'influenza spagnola (non si dimentichi che molti dei riduttori dei drammi del teatro spagnolo sono napoletani come il Tauro, il Pasca, il De Vito, il De Castro e soprattutto Carlo Celano, noto con lo pseudonimo di Ettore Calcolona). I drammi del Cinnamo segnano un punto di passaggio dall'arcaica ed ingenua forma del teatro sacro alla grande recita teatrale in una città di Napoli.

13 Cfr. Rosanna Spirito (a cura di), Demetrio, cit., passim. 14 Benedetto Croce, op. cit., p.129.

FIG. 1

COLLEGIO DEI NOBILI DI NAPOLI.

Il 4 ottobre 1656 si comprò, per la somma di 15000 ducati il vasto palazzo di Girolamo d'Afflitto, principe di Scanno, in via Nilo, dove il Collegio dei nobili si trovava a pigione dal 1646; altri 5000 ducati furono spesi in lavori di adattamento. L'ampiezza del cortile rendeva l'edificio particolarmente adatto per gli esercizi ginnici e cavallereschi (Cfr. Michele Errichetti, op.cit., p.253).

FIG.2

TARGA ATTUALE POSTA ALL'INGRESSO DEL COLLEGIO DEI NOBILI.

Terminati i lavori di adattamento del palazzo d'Afflitto, fu posta sopra la porta l'iscrizione preparata dal fondatore: SEMINARIVM NOBILIVM/SOCIETATIS IESU/MONS MANSUM ADDIXIT/ ANNO MDCLXXVIIII. Dopo l'espulsione dei Gesuiti furono scalpellate le parole SOCIETATI IESU e ADDIXIT, sostituite con ADOLESCENTIVM e EREXIT (Cfr. Michele Errichetti, op. cit., p.253).

FIG.3

ESEMPIO DI TEATRO GESUITICO

Disegno tratto dal testo di Jean Dubreuil, La perspective pratique, che mostra schematicamente il teatro all'interno di un collegio gesuitico. L'illustrazione ci offre l'idea dell'ambiente deputato alle rappresentazioni nel Collegio dei Nobili di Napoli.

FIG.4

ESEMPIO DI SCENA SILVESTRE

L'illustrazione tratta dalla Perspective pratique mostra una scenografia silvestre simile a quella pensata dal Cinnamo per il Santo Eudossio.

FIG.5

Festone decorativo utilizzato nel teatro gesuitico (illustrazione tratta da La perspective

FIG.6

FIG.

Capitolo VI

I TESTI