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L’incidenza dei provvedimenti adottati dall’Autorità garante nell’ambito del processo civile

Nel documento Privacy e rapporto di lavoro (pagine 109-127)

Il possibile contemperamento dei contrapposti interess

3. L’incidenza dei provvedimenti adottati dall’Autorità garante nell’ambito del processo civile

Ricostruita, in questi termini, la “sorte” processuale dei dati attinenti alla sfera personale del lavoratore (e ciò anche quando questi siano stati appresi in violazione della disciplina a tutela della privacy), è necessario analizzare il differente profilo relativo al valore ed all’incidenza da attribuire ai provvedimenti resi dall’Autorità garante nell’ambito della tutela giurisdizionale.

E’ necessario capire, in sostanza, se, dinanzi ad un preventivo provvedimento dell’Autorità garante che vieti il trattamento dei dati, questi possano essere ugualmente “utilizzati” da una delle parti nell’ambito di un processo civile e liberamente valutati dal giudice. O se, al contrario, anche l’organo giurisdizionale debba necessariamente attenersi alla precedente pronuncia resa dal Garante e, conseguentemente, “cancellare” dal processo i dati che, a giudizio dell’autorità amministrativa, siano stati illegittimamente trattati206.

Per rimanere ai casi precedentemente analizzati207, il problema è quello di capire se, successivamente alla decisione del Garante che vieta il “trattamento”208 dei dati del lavoratore, i file contenuti nel

computer aziendale, il dettaglio delle telefonate effettuate, o le video

riprese comprovanti il comportamento “illecito” possano o meno entrare nel processo e divenire materiale probatorio.

206 Cfr., sul punto, D.IARUSSI, L’utilizzabilità delle prove acquisite a sostegno del

licenziamento disciplinare: tra potere datoriale (e del giudice) e diritto alla riservatezza del lavoratore, in Arg. dir. lav., 2008, pp. 1275 ss.

207 Vedi capitolo II che precede.

208 Cfr. Provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali del 14 febbraio 2006, del 18 maggio 2006, del 2 aprile 2008 e del 2 aprile 2009.

Per poter tentare di dare una risposta al problema, è necessario, anzitutto, definire il ruolo e la portata dei provvedimenti resi dall’Autorità garante.

A tal proposito, come visto in precedenza, va ribadito che il “ruolo” demandato al Garante non è, né potrebbe essere, quello di valutare i “comportamenti” posti in essere dal datore di lavoro, ma, semplicemente, quello di giudicare la legittimità del trattamento dei dati personali effettuato.

Ruolo che l’Autorità garante svolge tramite una funzione di mera “vigilanza amministrativa”209.

Del resto, come visto, riconoscere al Garante una natura giurisdizionale risulterebbe in chiaro ed evidente contrasto, oltre che con la legge che ha istituito questa figura, con il precetto contenuto nel secondo coma dell’articolo 102 della nostra Costituzione210.

Pertanto, da tale “natura” attribuibile all’Autorità garante ed ai provvedimenti da questa adottati, discende, anzitutto, che l’organo giurisdizionale non può in alcun caso considerarsi “vincolato” alle disposizioni precedentemente rese dall’Autorità amministrativa211.

Inoltre, da tale classificazione, deriva anche che l’organo giudiziario, nel decidere il caso concreto, ha il potere di disapplicare i provvedimenti adottati dall’Autorità garante212.

209 V. FERRANTE, Competenze dell’Autorità garante e controlli difensivi, cit., p. 1155.

210 Vedi, sul punto, Cass., 20 maggio 2002 n. 7341, in Guid. Dir., 2002, p. 28, con nota di M.CLARICH.

211 Vedi, ad esempio, Tribunale di Torino, sentenza dell’8 gennaio 2008, cit., confermata dalla Corte d’Appello di Torino, a quanto consta, inedita, che ha “disapplicato”, ritenendolo “illegittimo” il provvedimento dell’Autorità garante del 18 maggio 2006 di cui si è parlato nel capitolo III che precede.

Potere, questo, rintracciabile nel disposto degli articoli 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865, i quali, come noto, prevedono che il giudice ordinario, in ogni caso in cui il diritto fatto valere in giudizio trovi la sua fonte, diretta o indiretta, in un atto amministrativo, ha l'obbligo213 di verificarne, incidenter tantum, la legittimità e di pronunciare la disapplicazione dell'atto stesso ove ne accerti l'illegittimità214.

Per il principio della separatezza dei poteri, infatti, la decisione di natura amministrativa non può invadere i confini demandati alla giurisdizione ordinaria.

Limite, questo, di cui la stessa Autorità garante “sembra

consapevole” 215.

212 D.IARUSSI, L’utilizzabilità delle prove acquisite a sostegno del licenziamento

disciplinare: tra potere datoriale (e del giudice) e diritto alla riservatezza del lavoratore, in Arg. dir. lav., 2008, pp. 1275 ss.

213 Cfr., tra le tante, Cass., 11 luglio 1981 n. 4526, in Mass., 1981.

214 F. CINTIOLI, Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto

amministrativo, in Dir. amm., 2003, fasc. I, p. 45, secondo cui: “la disapplicazione è nata nel 1865 come espressione del moderno Stato liberale e come istituto di garanzia della disapplicazione dell’atto illegittimo. Sicché l’amministrazione poteva spiegare la sua autorità solo se le norme di diritto pubblico fossero state rispettate, mentre in caso contrario l’illegittimità dell’atto avrebbe aperto il varco ad una tutela giurisdizionale di tipo ordinario, da non confondere con i rimedi amministrativi, se del caso basata sulla protezione risarcitoria. L’espansione dello Stato sociale e la varietà dei nuovi interessi hanno però presto svelato l’insufficienza di questa garanzia ed alla lacuna si pose rimedio con l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato e con la nuova tutela di annullamento degli atti illegittimi. Dunque, nel breve volgere dal 1865 al 1889 la disapplicazione, nata come conquista di civiltà liberale e democratica, si è trasformata in una forma di tutela «minore». Gli studi degli anni ’50 e ’60 hanno poi rivalutato le possibilità della disapplicazione, questa volta come istituto da importare nel processo amministrativo ed, ironia della sorte, essa nella storia più recente ha assunto le vesti di una tutela avanzata della pretesa, invocata per superare le strettoie del termine di decadenza e addirittura per assicurare una giustizia effettiva ai diritti comunitari”.

Posto che, come visto, nei casi in cui individua una violazione della disciplina a tutela della privacy, si limita, nelle sue decisioni, a vietare il trattamento “ulteriore” dei dati, senza, però, nulla disporre per il pregresso216.

215 D.IARUSSI, L’utilizzabilità delle prove acquisite a sostegno del licenziamento

disciplinare: tra potere datoriale (e del giudice) e diritto alla riservatezza del lavoratore, cit., p. 1280. L’Autore rileva che, se la disciplina sulla privacy potesse

avere la funzione di modificare anche il regime probatorio, si arriverebbe al paradosso per cui “nei procedimenti penali l’imputato sarebbe legittimato a

rivolgersi alla Autorità garante ogni qual volta sorgesse una questione circa la liceità dei sistemi di investigazione”.

216 Vedi V.FERRANTE, Competenze dell’Autorità garante e controlli difensivi, cit.,

p. 1158 che osserva come, in questi casi, il comportamento del datore di lavoro potrebbe anche non configurarsi come un vero e proprio “trattamento di dati”. Ed infatti, l’utilizzo che ne verrebbe fatto sarebbe “sostanzialmente istantaneo; la loro

conservazione non mira ad altro che a giustificare il licenziamento che si intima al lavoratore”.

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