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Il principio di correttezza e la “decadenza” dal diritto alla

Nel documento Privacy e rapporto di lavoro (pagine 95-102)

Il possibile contemperamento dei contrapposti interess

1. Il principio di correttezza e la “decadenza” dal diritto alla

privacy

Dall’analisi svolta, emerge un quadro normativo notevolmente complesso. Si è visto che, nell’ambito della giurisprudenza, anche se con significative oscillazioni, si sono fatti rilevanti sforzi per superare una acritica lettura degli artt. 4 e 8 dello Statuto dei lavoratori e per adeguare tale normativa alle esigenze del datore di lavoro e della produzione, anche perché, con l’apertura dei mercati, il nostro sistema economico sempre più risente della concorrenza di modelli esteri che si muovono in realtà produttive che presentano minori vincoli.

Analogo sforzo non sembra ravvisabile da parte dell’Organismo che, in prima battuta, è chiamato ad interpretare il codice della tutela della privacy, il quale, nella genesi della sua prima formulazione, rappresentata dalla più volte citata legge n. 675 del 1996, aveva, persino nell’atto fondativo che ne imponeva l’adozione costituito dalla direttiva 95/46/CE, ben impressa anche l’esigenza di determinare una soglia comune di trattamento dei dati ai fini dello sviluppo del mercato interno.

La specifica e settoriale disciplina dettata dalle norme dello Statuto dei lavoratori appare, quindi, in diverse circostanze,

difficilmente coordinabile, se non addirittura in contrasto, con la lettura che delle disposizioni dettate dalla disciplina generale prevista in materia di privacy177 viene data dall’autorità.

Tale difficoltà di coordinamento risulta di tutta evidenza, come si è precisato, nelle stesse decisioni e negli stessi orientamenti espressi dai principali interpreti di questo dato normativo178.

Assistiamo, infatti, da un lato, alle indicazioni fornite dall’Autorità garante, che, muovendo dalla puntuale e rigida applicazione delle norme contenute nel codice della privacy e ritenendo il diritto alla riservatezza nel contesto lavorativo alla stregua di un “diritto assoluto” dinanzi al quale poter “immolare” qualsiasi possibilità di interferenza datoriale, pone delle evidenti e talvolta eccessive limitazioni ai poteri organizzativi del datore di lavoro179.

Dall’altro lato, invece, si registrano diversi orientamenti della giurisprudenza, sia di legittimità, che di merito, che, muovendo da una diversa concezione dei contrapposti interessi, finiscono per ampliare notevolmente il novero dei possibili e legittimi comportamenti datoriali. E ciò anche con la conseguenza di una minore tutela della riservatezza all’interno del contesto lavorativo180.

177 Sull’argomento, vedi S.P.EMILIANI, Potere disciplinare e protezione dei dati

personali, in Arg. dir, lav., 2007, pp. 630 ss.

178 Cfr. L. PERINA, L’evoluzione della giurisprudenza e dei provvedimenti del

garante in materia di protezione dei dati personali dei lavoratori subordinati, cit.,

p. 327.

179 AncoraL. PERINA, L’evoluzione della giurisprudenza e dei provvedimenti del

garante in materia di protezione dei dati personali dei lavoratori subordinati, cit.,

p. 309.

180 Vedi C.TACCONE, Controlli a distanza e nuove tecnologie informatiche, cit., p. 310.

Abbiamo visto come alla rigida procedimentalizzazione costantemente imposta nelle decisioni dell’Autorità garante si contrappongono orientamenti giurisprudenziali volti a consentire decisi interventi nella sfera personale e privata dei lavoratori181.

O ancora, come alla tutela di posizioni soggettive scarsamente difendibili, affermata in ragione del rispetto delle norme contenute nel decreto legislativo n. 196 del 2003182, venga contrapposta una estensiva applicazione delle norme statutarie, realizzata anche tramite la “creazione” di apposite categorie concettuali183.

Tuttavia, a ben vedere, tali difformità interpretative derivano principalmente proprio del differente approccio alla materia, operato avendo come principale e pressoché esclusivo punto di riferimento o le norme contenute nel codice della privacy, come avviene nelle decisioni rese dall’Autorità garante, o le norme statutarie, come si registra nelle pur non univoche pronunce giurisprudenziali.

Senonché, l’apparente “conflitto” esistente tra le due discipline, o, meglio, nell’applicazione delle due discipline, sembra potersi risolvere muovendo da un’analisi non settoriale, ma complessiva dei due impianti normativi e, soprattutto, traendo spunto dagli stessi principi generali espressi dall’ordinamento.

In tal modo, oltre che riuscire ad “armonizzare” gli impianti normativi, sembra potersi raggiungere anche un ragionevole e

181 T. ERBOLI, Legittimità dei controlli difensivi e regime di utilizzabilità delle

prove, in Arg. dir. lav.,2012, p. 143.

182 Cfr. Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 14 febbraio 2006.

“coerente” bilanciamento tra la tutela delle esigenze di carattere aziendale e la salvaguardia del diritto alla riservatezza dei lavoratori.

In questa ottica, il punto di indagine primario dovrebbe essere costituito dal dettato dell’articolo 1175 del Codice Civile, norma che esclude la tutela giuridica nell’ipotesi in cui questa sia correlata ad un pregresso comportamento “antidoveroso”184 precedentemente posto in essere da colui che la richiede185.

Pertanto, posto che la “violazione” della richiamata disposizione comporta, a seconda del contesto in cui si inserisce, la perdita stessa del diritto vantato, o, comunque, l’improcedibilità della relativa eccezione186, nel caso che qui occupa dal comportamento illecito posto in essere dal lavoratore discenderebbe la “decadenza” dal diritto alla privacy.

O, meglio, la decadenza dalla possibilità di poter apporre le norme ed i meccanismi previsti dal decreto legislativo n. 196 del 2003 a tutela del comportamento “antidoveroso” precedentemente posto in essere. In questo caso, infatti, le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 196 del 2003, più che tutelare la riservatezza del lavoratore, opererebbero a tutela di un atto illecito.

184 Tribunale di Torino, sentenza dell’8 gennaio 2008, in Arg. dir. lav., 2008, p. 1265.

185 Sul tema, L.NANNI, La buona fede contrattuale, Padova, Cedam, 1988, p. 547, che afferma: “una parte non può esercitare il suo diritto, o comunque, invocare

una disposizione ad essa favorevole, quando ciò sia in contraddizione con un comportamento da essa tenuto in precedenza nel corso dell’esecuzione del rapporto” e F.FESTI, Il divieto di «venire contro il fatto proprio», Milano, Giuffrè, 2007. .

186 Vedi Cass., 11 dicembre 2000 n. 15592, in Giust. civ., 2001, I, p. 2439, con nota di M.COSTANZA.

Risultato, questo, non solo irrazionale da un punto di vista meramente “sostanziale”, ma che, a ben vedere, pare essere scongiurato anche da specifiche disposizioni contenute nelle due discipline che qui interessano.

E’ in questa ottica, infatti, che, senza operare eccessive “forzature”, andrebbe letto il disposto dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori ed in cui si inserisce anche il disposto dell’articolo 24 del codice della privacy.

La prima norma, come visto, nel vietare l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, non impedisce, con i limiti e le “accortezze” di cui si è detto, un controllo mirato non “sul lavoro”, ma su eventuali comportamenti illeciti del lavoratore.

L’articolo 24 del decreto legislativo n. 196 del 2003, prevedendo che il trattamento dei dati personali può essere effettuato senza il consenso dell’interessato quando ciò sia necessario “per far

valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”187, rappresenta la

187 L’art. 24 del d.lgs. n. 196 del 2003 prevede che il consenso non è richiesto quando il trattamento:

“a) è necessario per adempiere ad un obbligo previsto dalla legge, da un

regolamento o dalla normativa comunitaria;

b) è necessario per eseguire obblighi derivanti da un contratto del quale è parte l'interessato o per adempiere, prima della conclusione del contratto, a specifiche richieste dell'interessato;

c) riguarda dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati;

d) riguarda dati relativi allo svolgimento di attività economiche, trattati nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale; e) è necessario per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica di un terzo. Se la medesima finalità riguarda l'interessato e quest'ultimo non può prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità

norma di chiusura del sistema, idonea a garantire la legittimità dei controlli effettivamente difensivi posti in essere dal datore di lavoro e, più in generale, di determinate e giustificate “invasioni” nella sfera personale dei lavoratori.

di intendere o di volere, il consenso è manifestato da chi esercita legalmente la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimora l'interessato. Si applica la disposizione di cui all'articolo 82, comma 2;

f) con esclusione della diffusione, è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale;

g) con esclusione della diffusione, è necessario, nei casi individuati dal Garante sulla base dei principi sanciti dalla legge, per perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo destinatario dei dati, qualora non prevalgano i diritti e le libertà fondamentali, la dignità o un legittimo interesse dell'interessato;

h) con esclusione della comunicazione all'esterno e della diffusione, è effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, in riferimento a soggetti che hanno con essi contatti regolari o ad aderenti, per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dall'atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo, e con modalità di utilizzo previste espressamente con determinazione resa nota agli interessati all'atto dell'informativa ai sensi dell'articolo 13;

i) è necessario, in conformità ai rispettivi codici di deontologia di cui all'allegato A), per esclusivi scopi scientifici o statistici, ovvero per esclusivi scopi storici presso archivi privati dichiarati di notevole interesse storico ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, di approvazione del testo unico in materia di beni culturali e ambientali o, secondo quanto previsto dai medesimi codici, presso altri archivi privati;

i-bis) riguarda dati contenuti nei curricula, nei casi di cui all’articolo 13, comma 5-bis;

i-ter) con esclusione della diffusione e fatto salvo quanto previsto dall’articolo 130 del presente codice, riguarda la comunicazione di dati tra società, enti o associazioni con società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile ovvero con società sottoposte a comune controllo, nonché tra consorzi, reti di imprese e raggruppamenti e associazioni temporanei di imprese con i soggetti ad essi aderenti, per le finalità amministrativo contabili, come definite all'articolo 34, comma 1-ter, e purché queste finalità siano previste espressamente con determinazione resa nota agli interessati all’atto dell’informativa di cui all’articolo 13”.

In tale contesto, la “coerenza dell’ordinamento”188 risiederebbe proprio in un sistema capace di preservare, efficacemente, la sfera privata e personale del lavoratore, ma che, allo stesso tempo, sia anche idoneo ad evitare che le tutele apprestate si possano tramutare in una illogica difesa di posizioni dolosamente illecite189.

188 T. ERBOLI, Legittimità dei controlli difensivi e regime di utilizzabilità delle

prove, cit., p. 145.

189 A. STANCHI, Apparecchiature di controllo, strumenti di comunicazione

2. L’utilizzabilità delle prove raccolte in violazione della disciplina

Nel documento Privacy e rapporto di lavoro (pagine 95-102)