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La teoria fondata sulla “proprietà” degli strumenti di lavoro

Nel documento Privacy e rapporto di lavoro (pagine 91-95)

Il diritto alla riservatezza nel contesto lavorativo secondo l’interpretazione giurisprudenziale

3. La teoria fondata sulla “proprietà” degli strumenti di lavoro

Nell’esaminare l’approccio seguito dalla giurisprudenza nel contemperare gli opposti interessi che emergono nell’ambito del contesto lavorativo, suscita particolare interesse la teoria che si fonda sulla proprietà degli strumenti utilizzati169.

La tesi, che nasce e si sviluppa principalmente nell’ambito della giurisprudenza penale170, nell’esaminare i confini che delimitano i possibili controlli legittimi posti in essere dal datore di lavoro, pone l’accento sulla proprietà dei mezzi utilizzati dal lavoratore per svolgere la propria prestazione lavorativa e sui fini stessi per i quali tali strumenti vengono affidati in uso ai dipendenti dell’azienda171.

Secondo tale orientamento, nelle ipotesi in cui gli strumenti di lavoro, come ad esempio un personal computer, vengono concessi al lavoratore con il solo ed unico scopo di adempiere alla prestazione lavorativa, con un espresso e categorico divieto di poterne fare qualsiasi utilizzo “personale”, tali strumenti dovrebbero essere considerati come dei “meri strumenti di lavoro”172 che, rientrando

169 Sul tema, in dottrina, vedi M.DEL CONTE, Internet, posta elettronica e oltre: il

Garante della privacy rimodula i poteri del datore di lavoro, cit., pp. 497 ss. e S.

MAINARDI, Il potere disciplinare nel lavoro privato e pubblico, in P.SCHLESINGER (a cura di), Commentario al codice civile, Milano, Giuffrè, 2002.

170 Cfr. Tribunale di Milano, 10 maggio 2012, in Dir. e giust., p. 58, con nota di V. PEZZELLA e Tribunale di Torino, 20 giugno 2006, in Merit., 2006, p. 55, con nota di A.SORGATO.

171 Nella citata sentenza del 10 maggio 2002, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la condotta del datore di lavoro che, all’insaputa del lavoratore, controlla la sua posta elettronica non integrerebbe gli estremi del reato di violazione della corrispondenza di cui all’art. 616, primo comma, Cod. Pen.

nella disponibilità e nella proprietà del datore di lavoro, consentirebbero qualsiasi controllo sull’utilizzo fattone dai dipendenti. Il lavoratore non sarebbe titolare di un diritto esclusivo all’utilizzazione di tali apparecchiature e, pertanto, si esporrebbe al rischio, accettandolo, che altri lavoratori, o il datore di lavoro stesso, possano far uso, per motivi connessi con lo svolgimento del lavoro, delle sue stesse strumentazioni173, eventualmente anche osservando le attività da lui precedentemente poste in essere174.

La compressione della sua “sfera privata” e della sua privacy, pertanto, sarebbero insite nelle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e, in un certo qual modo, implicitamente accettate dal lavoratore stesso.

Tali argomentazioni, tradotte in ambito lavoristico, comporterebbero la legittimità di tutti i controlli effettuati sulle strumentazioni informatiche affidate in uso ai lavoratori per esclusive finalità professionali. Controlli che, secondo tale ragionamento, non incorrerebbero neanche nei divieti posti dagli articoli 4 e 8 dello Statuto dei lavoratori175.

172 M. DEL CONTE, Internet, posta elettronica e oltre: il Garante della privacy

rimodula i poteri del datore di lavoro, cit., p. 507.

173 Sia internet, che i sistemi di posta elettronica sono degli “strumenti” messi a disposizione dei singoli lavoratori e, rispetto ad essi, “il lavoratore si espone al

rischio che anche altri della medesima azienda possano lecitamente accedere alla casella in suo uso non esclusivo e leggerne i relativi messaggi in entrata ed in uscita ivi contenuti”, cfr. ancora Trib. Milano, 10 maggio 2002.

174 Anche lo scopo della password non sarebbe quello di “proteggere la segretezza

dei dati personali custoditi negli strumenti posti a disposizione del singolo lavoratore, bensì solo quello di impedire che ai suddetti strumenti possano accedere anche persone estranee alla società”, cfr. Trib. Torino, 20 giugno 2006,

Il lavoratore, pertanto, nel momento in cui, per svolgere la propria prestazione lavorativa, accetta di usufruire degli strumenti messi a sua disposizione dal datore di lavoro, acconsentirebbe ad una lecita compressione del suo diritto alla riservatezza, dando per scontato che tali apparecchiature, di proprietà del datore di lavoro, non solo non consentano, ma, addirittura, escludano a priori la possibile tutela della sua sfera privata.

Di conseguenza, non sarebbe neanche necessario “indagare” sulla finalità del controllo, sul momento, o sul motivo per il quale questo viene attuato.

L’unico presupposto per sancire la legittimità del controllo, infatti, sarebbe costituito dalla preventiva comunicazione ai lavoratori in ordine al divieto di effettuare qualsiasi utilizzo personale degli strumenti stessi.

Tuttavia, tale interpretazione si scontra inevitabilmente con il dettato normativo, che, vietando l’utilizzazione di qualsiasi apparecchiatura per finalità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, non contiene alcun riferimento alla proprietà o meno delle strumentazioni utilizzate dai lavoratori, o ai motivi per i quali queste vengono affidate in uso.

Ne deriva che, anche a prescindere dalla specifica tutela apprestata dalla normativa generale in materia di privacy, una

175 Cfr. Tribunale di Perugia, ordinanza del 20 febbraio 2006, in Dir. inf. e inf., 2007, p. 200, con nota di G.B.GALLUS. Nel caso posto all’esame del Tribunale di Perugia, ove vi era stato un precedente accordo con le rappresentanze sindacali ai sensi del secondo comma dell’art. 4, legge n. 300 del 1970, è stato ritenuto legittimo un controllo effettuato sul numero e sulla durata degli accessi ad internet effettuato su un lavoratore con lo scopo di verificare un eventuale abuso nell’utilizzo degli strumenti aziendali.

interpretazione del genere risulta chiaramente in contrasto con il dettato normativo contenuto nello Statuto dei lavoratori.

Accedendo a tale tesi interpretativa, infatti, il bilanciamento dei contrapposti interessi risulterebbe gravemente compresso, riconoscendo la legittimità di qualsiasi controllo operato dal datore di lavoro e negando qualsiasi rilevanza al diritto dei lavoratori alla tutela della loro riservatezza.

Diritto che le norme statutarie, proprio tenendo conto del particolare contesto in cui si svolge l’attività lavorativa, mirano a salvaguardare176.

176 Cfr. M.PAISSAN, E-mail e navigazione in internet: le linee del Garante, cit., pp. 15 ss.

CAPITOLO IV

Nel documento Privacy e rapporto di lavoro (pagine 91-95)