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Gli indicatori adottati per la misurazione della performance come strumenti di rating per il terzo settore

Gli indicatori sono strumenti di misurazione rappresentativi dell’attività svolta dall’azienda. Essi possono essere quantitativi o qualitativi.

Gli indicatori rappresentano un rapporto o una serie progressiva di dati – non necessariamente contabili, né monetari – il cui scopo ultimo è quello di interpretare l’attività aziendale in una prospettiva prevalentemente tem- porale, evidenziando le linee di tendenza dei risultati e indicando agli uti- lizzatori della comunicazione economico-finanziaria dell’ANP l’evoluzione dell’organizzazione.

Gli indicatori quantitativi, su cui concentreremo la nostra attenzione, costituiscono risultati di sintesi, rappresentativi di specifici aspetti gestio- nali e, per questo, sono espressi tramite misure quantitative. L’unità di mi- sura varia in relazione all’indicatore medesimo; la moneta può essere un metro utilizzato per definire gli indicatori, ma non certamente l’unico.

Questi, partendo dall’analisi esposta nel capitolo precedente e in base, quindi, alla finalità con cui gli indicatori sono predisposti, possono essere suddivisi in:

• indicatori di efficacia (gestionale e sociale);

21

Si veda: G. Bronzetti, Le aziende non profit, cit., p. 173. 22

Si veda: L. Fazzi, Governance per le imprese sociali e il non profit. Democrazia, approc-

cio multistakeholder, produttività, Roma, Cacucci Faber, 2007, pp. 35 e ss.

• indicatori di efficienza; • indicatori di economicità.

Gli indicatori di efficacia misurano il livello di raggiungimento degli obiettivi prefissati.

In particolare, gli indicatori di efficacia possono essere classificati co- me indicatori di “ouput”, quando riferiti alla misurazione dell’efficacia ge- stionale e indicatori di outcome, se riferiti alla misurazione dell’efficacia istituzionale o sociale23. Alla misurazione dell’efficacia sociale sarà dedi-

cato ampio spazio nei capitoli successivi.

Gli indicatori di efficienza sono solitamente utilizzati in via comparati- va piuttosto che assoluta. Tale comparazione può essere effettuata nei con- fronti di altri soggetti (l’associazione A è più o meno efficiente del- l’associazione B) o di diversi periodi di tempo (la mia associazione è stata più o meno efficiente rispetto all’esercizio o al periodo precedente).

Il complesso dei proventi dell’esercizio è un indicatore di efficienza. Tale indicatore – che, si ricorda, non è l’unico né il principale – può essere comparato con quello di organizzazioni analoghe e contestualmente con quanto prodotto in precedenza e con quanto predeterminato in sede di defi- nizione del budget e del preventivo.

Gli indicatori di economicità misurano l’ottenimento dei risultati in re- lazione alle risorse a disposizione.

Nel corso degli ultimi anni si stanno facendo strada a livello internazio- nale alcune organizzazioni volte a fornire un rating delle ANP, ossia a dare un giudizio alla rendicontazione e, quindi, al funzionamento delle aziende in parola. In prospettiva nazionale, il rating del non profit è ancora prevalente- mente utilizzato dagli istituti di finanziamento, interessati a sostenere progetti meritevoli dal punto di vista della finalità perseguita, oltre che della sosteni- bilità finanziaria.

Si consideri che il rating delle ANP ha finalità diversa rispetto a quello delle imprese24. Entrambi possono essere adottati, rappresentando lo stato di

salute delle aziende – e, quindi, la loro solvibilità e liquidità finanziaria – ai fini di definire l’accesso al credito di tali strutture. Il rating delle imprese è volto soprattutto a indirizzare, in generale, l’attività degli investitori poten- ziali ed effettivi, intesi quali soggetti disposti in base alle prospettive future e ai piani aziendali a investire risorse economiche nel capitale di rischio di un’azienda. Le ANP, invece, non hanno investitori; il rating delle aziende

23 Si veda: C. Travaglini, “Valutazioni e indicatori dei servizi prodotti nelle organizzazioni non profit”, Azienda pubblica, 1992, pp. 221 e ss.

24

Si veda: F. Vannini, “Osservazioni sul rating delle organizzazioni non profit all’estero e in Italia”, Enti non profit, vol. 6, 2008, pp. 419 e ss.

senza scopo di lucro individua nel potenziale donatore il proprio principale destinatario.

Gli istituti di rating delle ANP, inoltre, tendono – a differenza di quanto si verifica solitamente nel mondo delle imprese – a rendere noto e illustrare la modalità di valutazione delle aziende oggetto di analisi. In tal modo, è possibile fruire di tali indicazioni per comprendere se vi sia un orienta- mento comune anche a livello internazionale, in altre parole se vi sia una prassi consolidata in materia oppure se tali modelli siano articolati su tecni- che difformi.

In ciascun caso, tali modelli, se autorevoli, contribuiscono a rendere maggiormente trasparente il terzo settore nel proprio contesto di riferimen- to, in quanto:

forniscono agli stakeholder un metro di valutazione per comprendere se le organizzazioni a cui sono affidate le loro risorse hanno utilizzato cor- rettamente le risorse messe a disposizione;

• agevolano le ANP a comparare la propria gestione con altre realtà si-

milari o che svolgono operazioni confrontabili (per esempio, la raccolta fondi);

• incrementano la cultura aziendalistica nel settore in oggetto.

Non c’è dubbio che l’analisi dei dati contabili rappresenti un’indagine conoscitiva importante per i lettori esterni delle ANP, che desiderano acqui- sire il maggior numero possibile di informazioni utili per prendere le pro- prie decisioni25.

Per trarre giovamento dalle indicazioni che emergono dall’applicazione di questi modelli deve, in ogni caso, essere possibile comparare i dati nel tempo e nello spazio; se i costi di fund raising sono determinati in modo differente e con tecniche tra loro discordanti, è evidente che non è possibile paragonare validamente i dati pervenuti da diverse organizzazioni.

Infine, è certo che le aziende possono trovarsi in fasi differenti della propria vita (start-up, riorganizzazione ecc.), così come non tutti i periodi sono estranei da fatti specifici che rendono tali periodi “particolari”.

In sostanza, la standardizzazione delle valutazioni non potrà mai essere tagliata su misura per le singole organizzazioni.

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A tale proposito, Riparbelli afferma che: “La ragioneria direzionale costituisce quel ramo della ragioneria che, servendosi dei propri caratteristici strumenti di rilevazione e di inter- pretazione dei dati quantitativi d’azienda, tende a informare, illuminare, orientare e guidare gli organi di governo e di direzione aziendale su ogni aspetto dell’attività produttiva e distri- butiva affinché essi possano effettuare le loro scelte di gestione e prendere le loro decisioni nel modo più consapevole, oculato e conveniente”. Si veda per tutti: A. Riparbelli, “La ra- gioneria direzionale”, in: Aa. Vv., Scritti in onore di Giordano Dell’Amore, Milano, Giuffrè, 1969, pp. 1258 e ss.

In sintesi, appare utile al fine di definire un ragionevole sistema di indi- catori, considerare i “suggerimenti” sugli indicatori di output di Anthony e Young, per i quali:

• un indicatore imperfetto è sempre meglio di niente, considerato che

tutti gli indicatori sono perfettibili e oggetto di potenziale critica; • è consigliabile, se possibile, confrontare gli indicatori con quelli desu-

mibili da altre ANP similari o da medie statistiche delle organizzazioni che operano nel settore;

• è necessario utilizzare indicatori che possono essere ricavati tempesti- vamente, considerato che fornire informazioni quando non sono più ne- cessarie è del tutto inutile;

• occorre sviluppare una gamma di indicatori, in grado di individuare un limitato ma significativo numero di misure-chiave di risultato;

• non è necessario individuare più informazioni di quelle necessarie; • non dare eccessivo credito agli indicatori sostitutivi, poiché esse assi-

milano ma non rappresentano la realtà26.

4. L’esperienza del Charity Navigator e del Consiglio Nazionale