2. STATO DELL’ARTE DELLE CONOSCENZE NEL SETTORE
2.1 Le colate detritiche
2.2.2 Indicatori geomorfometrici e idrologici
Da un punto di vista operativo, il processo di analisi geomorfometrica può essere riassunto nello schema di Figura 2.2.5. Le fasi che lo contraddistinguono sono le seguenti (da Pike et al., 2009):
1. Campionamento della superficie del terreno (rilievi delle quote).
2. Generazione di un modello superficiale a partire dalle quote campionate. 3. Correzione degli errori presenti e introdotti nel modello della superficie.
4. Calcolo degli indici (es. pendenza, esposizione) e degli elementi del terreno (es. spartiacque, reticolo idrografico) collegati alla morfologia superficiale.
5. Applicazione degli indici e degli elementi del terreno calcolati.
Esistono diversi criteri di classificazione degli indici e degli elementi. Comunemente, essi vengono distinti in primari e in secondari, a seconda che siano derivati direttamente dal DEM o che siano richiesti ulteriori processi o input per il loro calcolo (Wilson e Gallant, 2000).
Nell’analisi morfometrica basata sui dati in formato raster, spesso le analisi sono condotte su finestre mobili di diversa forma e ampiezza (es. finestra rettangolare di nxn celle). L’utilizzo delle finestre mobili permette di analizzare l’informazione contenuta nell’intorno di una cella e, attraverso diversi algoritmi, elaborarla per ricavarne indici quali, a titolo d’esempio, la pendenza, la direzione del deflusso, la densità dell’informazione riferita a un’estensione maggiore. Gli indici e gli elementi di interesse per la presente tesi sono riassunti di seguito: ‐ Pendenza (slope): misura il grado di acclività o di inclinazione della superficie. Esistono diversi algoritmi per il calcolo della pendenza, che può venire espressa in gradi oppure in percentuale. Rappresenta l’influenza della forza di gravità nei processi di deflusso e nel potenziale erosivo.
‐ Esposizione (aspect): esprime l’orientazione della direzione di massima pendenza di
una superficie topografica. Viene quantificata tramite l’angolo azimutale (sul piano orizzontale) che la linea di massima pendenza per la cella del DEM in esame forma con il Nord geografico, misurato in senso orario. Condiziona i processi relativi alla radiazione solare, all’evapotraspirazione, all’umidità dei suoli, alla distribuzione delle diverse tipologie vegetazionali.
‐ Ombreggiamento (hillshade o shaded relief map): rappresenta l’illuminazione ipotetica
di una superficie. Il calcolo dell’ombreggiamento simula la presenza di una fonte di luce, la cui posizione viene stabilita specificando zenit e azimut, che solitamente viene posta a nordovest (azimut = 315°, zenit = 45°) rispetto alla superficie di interesse. La carta dell’ombreggiamento agevola la comprensione delle strutture topografiche del DEM.
‐ Spartiacque (watershed): rappresenta l’area del bacino idrografico. Stabilite le
coordinate della sezione di chiusura del bacino idrografico (coincidenti con le linee di deflusso principali) e dato un DEM idrologicamente corretto (ossia privo di depressioni al di fuori delle quali l’acqua non è in grado di defluire) è possibile calcolare l’estensione del DEM che rappresenta tutte le celle che drenano nella sezione di chiusura impostata.
‐ Densità di punti (point density): non rappresenta un indice morfometrico, tuttavia il
tematismo della densità di punti può essere utile per quantificare l’informazione disponibile relativa al DEM (es. il numero di punti LiDAR riferito al metro quadro che contengono l’informazione relativa al suolo nudo, dai quali è stato interpolato il DEM). ‐ Scabrezza topografica o superficiale (terrain roughness): misura la variabilità locale
delle quote. Esistono diversi algoritmi per calcolare la scabrezza superficiale (McKean e Roering, 2004; Glenn et al, 2006; Frankel e Dolan, 2007). Nella presente tesi la scabrezza è stata calcolata come la deviazione standard della topografia residuale all’interno di una finestra mobile (Cavalli, 2009), e viene calcolata come: ∑ [Eq. 2.2.1] dove σ è l’indice di scabrezza, 25 è il numero delle celle utilizzate nel calcolo ricadenti all’interno della finestra mobile di 5x5 celle, xi è il valore di una specifica cella all’interno della finestra mobile, xm è il valore medio dei 25 valori.
‐ Curvatura (curvature): rappresenta la variazione della pendenza nello spazio e si
esprime come gradiente della pendenza. Il calcolo può essere fatto nei confronti della linea di massima pendenza (curvatura di profilo o profile curvature) oppure ortogonalmente alla linea di massima pendenza (curvatura planare o plan curvature). La curvatura di profilo fornisce informazioni sui cambiamenti potenziali nella velocità di flusso idrico e dei sedimenti trasportati, mentre la curvatura planare risulta utile per valutare la propensione del flusso idrico a convergere o divergere lungo il suo percorso. ‐ Area drenata: per ciascuna cella rappresenta il flusso cumulato delle celle che drenano.
I valori possono variare da uno (per le celle “sorgente” che drenano solamente se stesse) al numero totale di celle del bacino per la sezione di chiusura. Il calcolo dell’area drenata è condizionato dal calcolo delle direzioni di deflusso. Questa operazione può essere effettuata utilizzando diversi algoritmi:
o D8: il gradiente di quota viene calcolato verso le otto celle circostanti sulla base della differenza di quota e della distanza tra i centri delle celle. Si presuppone quindi che il deflusso avvenga nella direzione della massima pendenza. L’algoritmo ha il pregio di individuare in modo univoco la connessione tra le celle che compongono il raster;
o D8 Facets: rappresenta una variante del modello D8, nel quale l’azimut viene calcolato a facets con le stesse modalità del modello D‐Inf, ma forzato ad assumere valori multipli di 45°.
o D‐Inf: il gradiente di quota viene calcolato su otto facets triangolari di ampiezza 45°, ciascuna costituita da tre vertici di diversa quota. Due facets adiacenti condividono la cella centrale e una cella della finestra mobile di 3x3 celle. I tre vertici individuano in maniera univoca un piano inclinato la cui pendenza ha una specifica direzione. Degli otto piani si sceglie quello con pendenza massima. Se l’angolo non coincide con una direzione cardinale o diagonale, il deflusso viene suddiviso tra due celle adiacenti secondo una proporzione dettata in rapporto all’azimut (Tarboton, 1997).
o MultiFlow (MF): i gradienti vengono calcolati come per l’algoritmo D8, quindi il deflusso viene suddiviso fra tutti i percorsi possibili (quelli con gradiente negativo), in proporzioni diverse determinate da un fattore di pesatura ricavato dai gradienti stessi (Quinn et al., 1991).
‐ Reticolo di sintesi: viene individuato sulla base dell’area drenata. Impostata una soglia,
tutte le celle il cui valore di area drenata è maggiore del valore di soglia vengono considerate appartenenti al reticolo, mentre le restanti vengono classificate come versante.
‐ Stream Power Index (SPI): definisce la dissipazione di energia potenziale per unità di
lunghezza del canale (ramo del reticolo idrografico di sintesi). Assumendo l’area drenata come surrogato della portata, è possibile formulare l’indice su base topografica secondo la seguente relazione: . ∙ [Eq. 2.2.2] dove A è l’area drenata e S è la pendenza locale. ‐ Dimensionless Stream Power Index (DSPI): l’indice, di tipo adimensionale, è ottenuto mediante normalizzazione dello Stream Power Index utilizzando un valore di soglia che individua i punti di inizio della rete idrografica (channel heads).
‐ Wetness Index (WI): descrive la propensione di ciascuna cella ad essere saturata
dall’accumulo di acqua in funzione dell’area drenata e della pendenza. Esso viene calcolato come:
ln [Eq. 2.2.3] dove A è l’area drenata e S è la pendenza locale. ‐ Indice di Melton (Mel): è un indicatore dell’acclività del bacino, ed è calcolato secondo la seguente relazione: . [Eq. 2.2.4]
dove Hmax e Hmin sono la quota massima e minima del bacino, mentre A è l’area drenata.
I modelli digitali del terreno rappresentano, in conclusione, l’informazione di base per le analisi morfometriche e, nell’ambito degli strumenti per la pianificazione del territorio e la prevenzione del rischio associato ai processi idroerosivi, per lo sviluppo di modelli previsionali di innesco e di evoluzione delle colate detritiche (D’Agostino e Tecca, 2006; Gentile et al., 2008; Gregoretti e Degetto, 2013).
2.3. Laser scanning
2.3.1 Principi e funzionamento
La tecnica del laser scanning, anche nota con il termine LiDAR (Light Detection And
Ranging), è una tecnica di telerilevamento nella quale viene utilizzato un fascio laser per
misurare la distanza fra il punto di emissione (il telemetro) e il punto di riflessione (il generico punto colpito dall’impulso laser).
Il fascio di luce laser (acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of
Radiation) è caratterizzato da monocromaticità, unidirezionalità e potenza, coerenza spaziale e
temporale (Bartolucci, 2009). Il suo impiego nelle misure di distanza offre, rispetto ad altre tecniche, il vantaggio di poter realizzare impulsi ad elevata energia in brevi intervalli di tempo. Inoltre, grazie alla corta lunghezza d’onda impiegata (variabile tra gli 800 e i 1600 nm), consente una perfetta collimazione del fascio usando piccole aperture (Crosilla e Galetto, 2004).
Gli strumenti possono essere distinti, sulla base del principio di acquisizione utilizzato, in laser scanner distanziometrici e laser scanner triangolatori.
Tralasciando i sistemi a scansione triangolatori, generalmente impiegati in ambiti diversi da quelli del rilievo del territorio, i sistemi a scansione distanziometrici si basano sul principio per cui ciascun punto viene rilevato mediante la misura diretta di due angoli e una distanza, quindi convertiti in coordinate cartesiane all’interno di un sistema di riferimento tridimensionale solidale allo strumento di acquisizione. Il fascio di luce utilizzato viene orientato nello spazio utilizzando una serie di dispositivi di rotazione a specchio o muovendo alcune componenti dello strumento stesso (Rinaudo, 2007). Il più diretto sistema di misura della distanza consiste nella determinazione del tempo di volo (Δt), impiegato dall’impulso laser a percorrere il percorso di andata e ritorno. La distanza fra lo strumento e la superficie riflettente viene calcolata come ∆ ∙ /2 [Eq. 2.3.1] dove c rappresenta la velocità di propagazione del segnale, ossia la velocità della luce (3∙108 m s‐1).
Il risultato principale di un rilievo LiDAR è la restituzione delle coordinate x, y, z di ciascun punto misurato; per ottenerlo è necessario conoscere le coordinate x, y, z dello