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2.1 ADESIONE TARDIVA E CAMBIO DI POSIZIONE

2.1.2 Indifferenza delle grandi aziende

Nello stesso lavoro citato al paragrafo 2.1.165, Noboru Kashiwagi presenta

l’indifferenza delle grandi aziende giapponesi come uno dei fattori che hanno ostacolato l’adesione. Le cause di questa indifferenza sono riassunte come segue:

1) Gli uffici legali delle aziende e gli avvocati giapponesi in generale non hanno mai sentito la necessità di studiare la Convenzione e sembrano non gradire ciò che non conoscono. In proposito vorrei ricordare il commento di uno dei rispondenti all’indagine effettuata da Koehler e Yujun (vedi paragrafo 1.1.2): “you can’t teach an old dog new tricks.”. Le grandi aziende giapponesi (Sōgōshōsha) non hanno mai sentito la necessità di adottare la CISG e non hanno mai voluto investire tempo per studiarla adducendo la motivazione che ne avrebbero comunque escluso l’applicazione. Termini standard per l’esclusione della CISG erano così diffusi che si potevano trovare anche in contratti che non avevano nulla a che fare con la compravendita di beni.

2) Molti avvocati hanno studiato in America e sono influenzati dall’opinione americana per la quale l’UCC è preferibile e conviene escludere sistematicamente l’applicazione della Convenzione. Pur essendo il Giappone un paese prevalentemente di Civil law, è interessante notare come tra gli avvocati giapponesi siano diffuse le stesse critiche tipiche degli esponenti di Common law. Mi permetto di aggiungere che probabilmente non si tratta semplicemente di subire l’influenza dell’opinione dell’avvocatura americana. Probabilmente gioca un ruolo significativo anche il potere contrattuale delle aziende americane. Ricordando la tabella da me costruita al paragrafo 1.1.2 del presente lavoro, si nota che l’America è un partner commerciale fondamentale per il Giappone. A questo punto, considerata la maggiore importanza relativa dell’UCC a livello globale rispetto al Codice commerciale giapponese, ritengo plausibile che i Giapponesi sostengano l’UCC anche perché succubi del potere contrattuale delle parti americane.

3) Basandosi solo sulla propria esperienza personale e di alcuni suoi colleghi in qualità di membri dell’ufficio legale di grosse aziende, Kashiwagi esprime l’impressione per cui i contratti di compravendita internazionali di beni mobili stipulati in Giappone non sono numericamente significativi, nel senso che non

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vengono specificamente redatti. Pur ammettendo che non esistono studi empirici in merito, sostiene che quest’impressione sia molto diffusa fra i suoi colleghi. Nell’arco della sua carriera lavorativa infatti si è trovato ad affrontare molti investimenti, progetti finanziari, joint ventures, problemi legali in materia di anti-trust, anti-dumping, ma solo rari casi di compravendita internazionale di beni mobili.

4) Infine, egli ritiene che a ridurre il numero di contratti sia anche la costituzione di filiali o joint ventures da parte delle grandi aziende in paesi di interesse, come quelli in cui comprano materie prime. In quel caso, le controversie su qualità della merce e ritardo nella consegna si risolverebbero internamente al paese interessato. Di conseguenza, le controversie internazionali diventerebbero normali controversie nazionali.

A questa analisi va aggiunto il fatto che anche le piccole aziende, che non possono permettersi filiali in Stati esteri, utilizzando i servizi offerti dalle diverse trading companies esistenti e le filiali estere di queste ultime, evitano di fatto contratti di compravendita internazionale. Kashiwagi sostiene dunque che la maggior parte degli scambi avviene fra aziende giapponesi e le loro filiali estere. Di conseguenza, molti avvocati e membri di uffici legali di grandi aziende non hanno necessità di applicare la CISG.

Anche Saito, nello stesso lavoro che ho citato al paragrafo precedente66, fa

riferimento al ruolo delle grandi aziende come ostacolo all’adesione. In particolare egli afferma che esse non hanno svolto alcun tipo di pressione sul governo affinché il Giappone diventasse uno Stato contraente. Pur essendo meno dettagliato nella spiegazione, appoggia la tesi di Kashiwagi secondo cui le aziende, attraverso i loro legali, non percepivano la CISG come necessaria. Inoltre, valutavano il Codice giapponese come superiore o alternativamente si orientavano verso la legislazione Americana nella scelta della legge applicabile ai contratti.

Tornando alla questione dell’evoluzione del potere contrattuale nel tempo, penso che il ragionamento possa essere applicato anche agli scambi commerciali con altre nazioni asiatiche. Pur non affrontando approfonditamente la questione, Kashiwagi fa capire che, in seguito al boom dei paesi in via di sviluppo, negli anni è calato il potere contrattuale delle aziende giapponesi.

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Ritengo plausibile che in passato le aziende giapponesi non avessero difficoltà a imporre la legge Giapponese come applicabile al contratto, ma probabilmente questo tendenza è cambiata. Ritengo inoltre di poter affermare con una certa sicurezza che, considerato il loro maggior potere contrattuale, le aziende di Stati asiatici in via di sviluppo attualmente siano in grado di contrattare la legge applicabile al contratto. Da una ricerca di Yoshihisa Nomi67si ricava che nel

1990 il 32% delle esportazioni giapponesi erano dirette negli Stati Uniti e un altro 29% verso paesi asiatici, Cina inclusa. Tuttavia nel 2004 la percentuale dei paesi asiatici è salita al 46.9% e l’Asia è ora il principale partner commerciale del Giappone. E’ innegabile che questi cambiamenti influenzino le trattative commerciali. Inoltre, come fa notare lo stesso Kashiwagi, non è un mistero che all’estero ci sia molta diffidenza nei confronti della legge giapponese, più che altro a causa delle barriere linguistiche. Il governo giapponese ha tentato di abbattere queste barriere proponendo una traduzione consistente e affidabile di statuti e regolamenti giapponesi68. Ciò nonostante, le diffidenze restano forti e il

ricorso ad uno strumento considerato da molti ‘neutrale’ quale la CISG sembrerebbe un’evoluzione naturale degli eventi, tuttavia, data la costante scarsità di contenziosi, sembra certo che questo non stia accadendo tanto spesso quanto ci si potrebbe aspettare. In questo contesto trovo significativi i lavori in atto per la creazione del Priciples of Asian Contract Law (PACL). Tratterò la questione del PACL più approfonditamente in seguito, ai fini di questo paragrafo basti sapere che esso è una legge modello sviluppata da accademici e volta ad armonizzare le norme relative alla disciplina sui contratti nell’area asiatica. E’ vero che il PACL coprirebbe un ambito più vasto e generale rispetto alla CISG, che si limita ai contratti di vendita, ma questa necessità di costituire un altro strumento di armonizzazione del diritto potrebbe essere interpretata come l’ennesimo sintomo di avversione nei confronti della Convenzione di Vienna. Infatti, come preciserò meglio nel prossimo capitolo, alla base del desiderio di creare il PACL ci sono anche alcune delle critiche ricorrenti nei confronti della CISG.

67 NOMI, Yoshihisa, “The CISG from the Asian Perspective”, in "Celebrating Success: 25 Years United

Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods", 2005, pp.169-177

68 KASHIWAGI, Noboru, “Hōrei no Gaikokugo-yaku o meguru Giron to Kongo no Mondai Jōkyō” [I

problemi e il dibattito relative alla traduzione di leggi in lingua straniera] in: Jurisuto 1284 (2005) 6; NAKAMURA, Yoshio, “Keizai-Kai kara mita Nihon Hōrei no Gaikokugo-yaku Seibi no Igi”[L’opinione degli operatori economici riguardo la traduzione di leggi giapponesi in lingua straniera], in Jurisuto 1284 (2005) 13

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