• Non ci sono risultati.

indignabundus: il deverbativo, dotato di forte espressività, rappresenta il

III 16 Interea baculo nixus se limine:

13. indignabundus: il deverbativo, dotato di forte espressività, rappresenta il

culmine della descrizione del sessor. Nella poesia di Pascoli si trovano, per il suffisso aggettivale in -bundus, 23 esempi e 9 forme43 (indignabundus è hapax nei Carmina), numeri elevati in rapporto ai poeti latini (Lucrezio ha 10 esempi e 5 forme, Catullo 5/4, Virgilio 10/4, Orazio 2/2). Questo morfema è ricorre invece nel lessico di alcuni prosatori inclini all’espressività, come Sallustio, Livio e Curzio. Pascoli sembra essere influenzato, nelle sue scelte generali, e in particolare per il successivo mirabundus (cf. v. 27), dalla lettura di Livio44. Per quanto riguarda il valore di questa forma, si può dire che «l’aggettivo in -bundus ha la prerogativa di descrivere il personaggio nei gesti che compie e negli atteggiamenti che assume, cosicché l’azione

43

Tremebundus / tremibundus, queribundus, pudibundus, fremibundus, moribundus, minitabundus, mirabundus, indignabundus, venerabundus.

44

Pianezzola commenta esempi di indignabundus, che egli ritiene innovazione liviana, da Livio (38,57,7), Suetonio (Aug. 40,8 e Cal. 35,7) e Gellio (19,9,8). Sulla formazione di indignabundus, cf. pp. 52-53, mentre per le interpretazioni di filologi e storici della lingua cf. pp. 14-28. Sono utili per confermare la nostra analisi le osservazioni dello Scaligero: nei casi in cui la forma in –bundus è riferita a soggetti animati (questo è l’uso originario), essa mette «in rilievo nel personaggio la ostentatio o la professio dell’azione, che si traduce in gesti e in atteggiamenti esteriori (satagentia)», Pianezzola 1965, 23. Non a caso, Plauto e Apuleio usano una lingua ricca di aggettivi di questo tipo. Infine, per quanto riguarda il valore imperfettivo, che il morfema mostra come peculiare, e per la distinzione di significato dai participi presente e futuro, è utile recuperare una nota dello stesso Pascoli a Verg. Aen. 4,323 (cui me moribundam deseris hospes): «moribundam: non è morituram, è più: quasi morta, più morta che viva», Epos 171.

espressa dalla radice si fa immagine, rappresentazione»45. Questa osservazione è particolarmente produttiva se verificata nel caso dei Sosii, poiché Pascoli rappresenta i suoi personaggi con descrizioni dinamiche. Indignabundus esprime tutta la stizza di Furio che sente i versi di Virgilio, e riempie la scena con i suoi gesti di spregio. Va aggiunto che la frequenza di questo morfema, nel Pascoli latino, può essere motivata anche dallo studio della sonorità. Il fonosimbolismo di indignabundus sottolinea qui i gesti esagerati del vecchio poeta. Nei ff. si trova tacite stomachans (f.1), con il participio presente. Per quanto riguarda la traduzione, è bene ricordare che «non si può [...] rendere l’aggettivo in -bundus sempre con un participio presente o sempre con un participio di un verbo frequentativo se non sacrificando la fedeltà e l’espressività della traduzione a un’apparente coerenza; si dovrà piuttosto ricorrere di volta in volta agli elementi linguistici più idonei a rendere il valore semantico e il tono stilistico dell’aggettivo»46. Per la traduzione di questo passo, Pianezzola (Pascoli) 1965, 218 non è d’accordo con la soluzione proposta da Pasquali «stizzendosi di tanto in tanto», ma propone «facendo di quando in quando gesti di stizza», perché «indignabundus coglie il tratto esteriore più caratteristico del vecchio poeta invidioso e incattivito e insieme tutto l’atteggiamento della persona; più oltre (v. 71 s.) è espressa invece soltanto l’azione: ...Nec fatus plura resumptum / explicat et dedignatur quandoque volumen».

volveret... volumen: figura etimologica a cornice, che suggerisce l’immagine del

rotolo che viene letto, quasi i due termini fossero le due estremità del volumen arrotolate. La formulazione del verso è pesante, l’insistenza su -ND sottolinea i gesti del sessor, che, infastidito dai versi virgiliani che non può fingere di non sentire, manifesta la sua stizza in ogni movimento, con un atteggiamento ‘teatrale’ del tutto irragionevole, frutto di un’invidia amara. Bibaculo è solo in scena, e la riempie anche senza parlare (cf. supra nt. ad v. 10 vacua... umbra).

14. pater: uno dei due padroni. Non sappiamo come si chiamassero i Sosii, ma

Pascoli, ai vv. 135 e 137 li chiama rispettivamente Lucio e Marco (qui si tratta di Lucio): secondo Valgimigli 1951, 600, perché praenomina assai diffusi. In f.8 Marco è chiamato Gaius. 45 Pianezzola 1965, 45. 46 Ibid., 28, nt. 1.

nec tamen hinc: nec tamen è attacco comune dell’esametro (cf. in particolare

Lucrezio e Ovidio), qui un possibile modello è Tib. 3,7,40: Nec tamen hinc aut hinc tibi laus maiorve minorve.

15-16. Questi versi, che costituiscono il centro della sezione, descrivono il lavoro del

padrone intento a preparare un libro per la vendita. L’intera immagine è desunta da Catullo (cf. Catull. 22,6-8: relata: cartae regiae, novei libri, / novei umbilici, lora rubra membranae, / derecta plumbo et pumice omnia aequata). In questo passo Pascoli rielabora il materiale catulliano, e da un’enumerazione passa a una descrizione dinamica, cogliendo Lucio Sosio nel mezzo del suo accurato lavoro. La qualità della produzione libraria è sottolineata dall’iperbato libri... novi (vv. 15-16), che fa riferimento, anche se con diverso valore sintattico, a novei libri di Catullo. Pascoli doveva avere in mente anche Ov. trist. 1,1,11 (triste commiato del liber): nec fragili geminae poliantur pumice frontes. L’allusione alla poesia neoterica serve per anticipare l’entrata in scena di un altro personaggio, Varrone, legato anch’egli a Catullo come Bibaculo. In un poemetto in cui dominano le figure di Orazio (nella seconda metà) e quella di Virgilio, costantemente presente nelle parole della dettatura, non mancano i νεώτεροι, qui presentati in un’immagine inedita: sono invecchiati e male in arnese, costretti loro malgrado a cedere il posto ai grandi augustei nel favore del pubblico. La resa dei νεώτεροι ormai vecchi, privi di fascino, è assai efficace data l’immagine che se ne ha comunemente e che Pascoli riporta in sintesi, cf. Lyra, 33: «i primi tempi di Catullo in Roma, quando egli viveva in un crocchio di giovani pieni d’ingegno e di vita, tutti dediti alla poesia».

15. fuco: cf. Lyra 24: «fuco ‘di tinta’ che si spremeva da un frutice dell’isola di

Creta».

fuco... linebat: Pascoli pensa a Verg. georg. 4,39: spiramenta linunt fucoque et

floribus oras. Fucus, in questo passo delle Georgiche, indica una materia rossastra e vischiosa usata dalle api nella cura degli alveari.

bullas: borchie da ornamento per l’umbilicus, cf. Lyra 33: «umbilici: sono i capi,

svolgeva il volumen». Negli autografi (f.1;20) si vede come Pascoli fino all’ultimo volesse inserire anche umbilicos tra i materiali trattati da Lucio Sosio.

16. lora: cf. Lyra 33: «lora rubra: è incerto che fossero, forse strisce di cuoio per

tenere stretto il volume: ‘fermagli’».

frontes: cf. Lyra 33: «e colla pergamena erano, è chiaro, raffilate anche le frontes,

ossia le testate». Per frontes si intendono i margini inferiore e superiore dei collemata che costituiscono una superficie circolare quando il volumen è arrotolato. Questa superficie doveva esser lavorata per impedire ai parassiti di attaccare la carta. C’è un dibattito sul termine, impiegato in Ov. trist., 1,1,11 e Tib. 3,1,13: Atque inter geminas pingantur cornua frontes, ben riassunto in Antolìn 1996. Birt credeva che «the frontes are not the top and bottom margins of the sheet of papyrus but the cut of the volume, corresponding to the edge of a modern book», mentre Antolìn 1996, 122 sostiene l’opinione tradizionale: «as regards frontes, it used to be assumed that the Romans used this term to denote the upper and lower margins of the lenght of papyrus making the volumen».