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superstitibus: Pontani 2002, 1500 avverte che alla lezione del testo del

III 16 Interea baculo nixus se limine:

23. superstitibus: Pontani 2002, 1500 avverte che alla lezione del testo del

monumentum Ancyranum seguita da Pascoli, che riporta l’integrazione [superstitib]us, è ora preferita [veniam petentibus].

civibus urbem: clausola usata con frequenza nella narrazione di conquiste o

devastazioni, cf. Lucr. 6,1140: vastavitque vias, exhausit civibus urbem; Verg. Aen. 5,631: quis prohibet muros iacere et dare civibus urbem; Aen. 8,571: funerea, tam multis viduasset civibus urbem; Lucan. 1,592: mox iubet et totam pavidis a civibus urbem. In particolare, l’occorrenza di Aen. 8,571 sembra essere qui modello per Pascoli, che con l’assonanza allusiva viduasset-reserasset ‘dichiara’ il suo debito.

reserasset... urbem: urbem reserare è in Verg. Aen. 12,584: urbem alii reserare

iubent et pandere portas. 47

La genesi di Antìclo parte dai Carmina, dal carme VIII (vv. 180-208) del Catullocalvos (1897), passa per la redazione ‘barbara’ del 1899, e si conclude con la redazione apparsa nel 1904 nella prima edizione dei Poemi Conviviali. Su questo cf. Perugi 1980, 849-851.

24-29: Varo segue un percorso che lo porta, senza che egli se ne accorga, alla bottega

dei Sosii. L’itinerario in apparenza senza meta è uno stilema narrativo frequente in Pascoli, e serve a sollecitare le attese del lettore. Si pensi al viaggio in raeda del trio di Mor., a Virgilio incedens lente qua callis duceret ipse in Ecl. XI 42, a Orazio in Ult. lin. La descrizione del percorso cittadino, visto con gli occhi del protagonista, è realizzata da una successione di vicos, plateas, compita48, secondo uno schema che sarà ripreso in Ult. lin. 51: meditans vicos solus plateasque pererrat e che ha origine nella descrizione della ‘città’ delle formiche in Myrm. 17-20: Aut potius tacitas urbes et opaca putarim / oppida pullato penitus fervere popello: / sunt vici plateaque, est plebi trita Subura / et quaedam Via Sacra suos videt ire triumphos. Il percorso di Varo parte dai luminosi quartieri ricostruiti della nuova Roma, immagine concreta del futuro augusteo, e si conclude nei vicoli bui dell’Argileto. Pascoli ricostruisce la scenografia della città, per quel che riguarda la Roma popolare, basandosi sulla poesia di Orazio, mentre usa le notizie sintetiche che si ricavano dal Monumentum Ancyranum e la sua memoria di viaggio per gli interventi urbanistici decisi da Ottaviano. Orazio, nella sua opera, ha scarso interesse per la topografia di Roma, le indicazioni che dà sono sommarie, solo talvolta sufficienti a immaginare alcuni luoghi della capitale. Ciò che più importa per la nostra analisi è il suo atteggiamento diffidente verso lo sfarzo eccessivo delle nuove costruzioni49 e la sua affettuosa attenzione per le vie strette e rumorose dei quartieri popolari. Pascoli polarizza questo atteggiamento immaginando, in chiave simbolica, una città divisa tra la luce sfolgorante dei marmi, simbolo dell’avvento di una nuova era di progresso (soprattutto in Ult. lin.), e l’ombra silenziosa e suggestiva, sebbene anche squallida, dei vecchi quartieri50. L’ombra, le strade umide e silenziose sono un’estensione del concetto di angulus tanto caro ad Orazio, di cui Pascoli si appropria. Non è un caso

48

Compita è un elemento di ambientazione oraziana, cf. sat. 2,3,26: imposuere mihi cognomen compita; sat. 2,3,281: libertinus erat, qui circum compita siccus; sat. 2,6,50 frigidus a Rostris manat per compita rumor.

49

Cf. Pasquali 1920, 666.

50

Nel Liber i templi di Roma sono sempre splendenti, un chiaro esempio è il Pantheon in Ult. lin. 56-57: fulgentiaque aureis / templa tholis, mentre tra le case e le botteghe dell’Argileto si vedono tecta domorum / muto pulla situ, variata limina musco (Sos. fratr. 29-30), oppure foeda nigro passim magalia fumo / [...] rudecta [...] olentes pingue popinas (Ult. lin. 53-54). Orazio non menziona mai il Pantheon e altre meraviglie della sua epoca. Sulle possibili ragioni, e, più in generale, sull’aspetto di Roma in età oraziana, cf. Leopold 1936.

che i momenti di maggior intensità dei Carmina ‘romani’ del Liber de Poetis51 siano ambientati in queste vie.

26. tonstrinas, medicinas: i vv. 25-26 sono costituiti da un’enumerazione – senza

l’uso di forme verbali – di luoghi e ambienti di lavoro, che dà l’idea della vivacità delle strade percorse da Varo, quasi oppresso dalla successione caotica delle botteghe. Il modello della descrizione dinamica potrebbe essere Plaut. Epid. 196-200: di immortales, utinam conueniam domi / Periphanem, per omnem urbem quem sum defessus quaerere: / Per medicinas, per tonstrinas, in gymnasio atque in foro, / Per myropolia et lanienas circum que argentarias: / Rogitando sum raucus factus, paene in cursu concidi. Plauto serve da modello a Pascoli in più occasioni, la più celebre forse in Thall. 7-11 con la Rudens.

27. mirabundus: Pascoli usa l’aggettivo due volte (qui e in Chel. 55). Pianezzola

1965, 24 ricorda che l’impiego del deverbativo con miror è stato segnalato da Marouzeau, e spiega il suffisso -bundus come forma intensiva proprio «perché si unisce di preferenza a verbi di particolare intensità espressiva (furo tremo pudet miror)». Pianezzola (Pascoli) 1965, 217, del resto, parla di aggettivo in -bundus «pascolizzato» per le forme derivate da verbi che sono parole chiave dei Carmina e sottolinea il valore visivo di mirabundus, sia nell’occorrenza di Chel., nella quale esso «è confermato da tutti gli altri elementi visivi e pittorici di cui è intessuto il passo», che in quella di Sos. fratr., laddove «la scena riesce di realistica naturalezza nel descrivere l’osservatore curioso di tutte le novità cittadine; il frequentativo reptare è un altro elemento visivo». Nei ff. si trova miratus (f.2), poi sostituito dal più efficace e ‘pascoliano’ mirabundus. Come si vede, allo stesso modo del v. 13, il poeta sceglie all’interno di uno schema formato dai participi presente e perfetto (manca il futuro), che sono indicati dai grammatici antichi come antagonisti o equivalenti della forma in -bundus52.

51

L’incontro tra Catullo e Calvo avviene in un’osteria nella zona delle tabernae veteres (Catulloc. 1), Orazio si fa largo a stento tra la folla dei vicoli per raggiungere il foro in Red. Aug., ancora Orazio in Ult. lin. è spaesato (vix ipsum se agnoscit et urbem, Ult. lin. 52) poiché non vede più, nei pressi del foro, i vecchi edifici che gli erano familiari. Proprio l’ambientazione di Ult. lin. conferma il fatto che la ‘vera’ Roma di Orazio, dove possono avvenire incontri come quelli dei Sosii, è la città vecchia, degli intrichi di vie, popolose e ricche di umanità, decadenti ma vive. Secondo questo schema si comprende anche l’ambientazione dei Sosii, e l’insistito accenno dell’autore sull’umbra come elemento imprescindibile della rappresentazione e non come semplice sfondo.

52

reptare: in combinazione espressiva con REliCTo e foRO. Il frequentativo repto,

oltre a possedere il valore indicato nella nota precedente, descrive la deambulazione degli animali, mentre se è usato per un essere umano indica l’assenza di una meta precisa (cf. Sen. Oed. 656-657: addam et tenebo: reptet incertus viae, / baculo senili triste praetemptans iter), e quindi un itinerario improvvisato come quello di Varo. Un possibile modello per Pascoli – nella stessa posizione metrica – è Hor. epist. 1,4,4: an tacitum silvas inter reptare salubris, dove Orazio esprime la sua curiosità per l’itinerario di Tibullo. Forcellini (s. v. repto) traduce in maniera neutra «passeggiare».

27. foro... relicto: uno dei 10 ablativi assoluti del componimento (ben 4 nella prima

sezione), suggerisce l’improvviso cambio di direzione dell’itinerario, e chiude la descrizione dei luoghi che hanno destato in Varo stupore e smarrimento.

in solo vico: solus allude in realtà alla condizione di Varo. Un possibile modello in

Verg. Aen. 6,268: ibant obscuri sola sub nocte per umbram, dove solus è riferito a Enea e la Sibilla. Pascoli descrive spesso i suoi personaggi nelle loro passeggiate solitarie usando come modello Orazio che descrive se stesso (cf. e. g. Hor. sat. 6,111: incedo solus, percontor quanti holus ac far e i versi introduttivi di Ult. lin.). Varo (che il lettore non ha ancora riconosciuto) conserva qualche tratto oraziano, tanto che la bozza di f.LXI,3,26 si apre con «Ibat forte un uomo che sapea d’oriente per la Suburra» (cf. Appendice 1, p. 155). Negli autografi Pascoli descrive in maniera esplicita la solitudine di Varo, scrivendo al v. 24 ambibat solus plateas et compita (f.2) e al v. 28 maluit in tacito vico per tecta (f.2).

28. tecta domorum: cf. Lucr. 2,191: nec cum subsiliunt ignes ad tecta domorum;

6,223: praeterea saepe accendunt quoque tecta domorum; Verg. Aen. 12,131: invalidique senes turris ac tecta domorum. L’uso della clausola epica crea un efficace effetto di contrasto con la condizione delle case del viottolo, quasi in abbandono, di certo meno frequentato del foro. L’antitesi tra la vivacità del foro e la solitudine del vicus è anche un’opposizione di luce: il foro è luminoso (cf. supra nt. ad vv. 24-29), il vicus è in ombra. E anche la bottega dei Sosii, luogo rassicurante in cui si svolgerà il resto dell’azione, è silenziosa e ombrosa.

29. muto... musco: Goffis 1969, 192 rileva le caratteristiche del verso: «la facile

sinestesia, la cadenza musicale creata dall’annominatio che apre e chiude il verso richiamano i tratti pittoreschi alla sfera dei modi e della personalità pascoliana».

31. SOSIOS FRATRES: Varo legge il titulus sopra l’ingresso della bottega. È piuttosto singolare la scelta di Pascoli, che fa dipendere il titulus da referebat, e lo pone quindi in caso accusativo. Ciò rivela l’intenzione dell’autore di integrare un elemento di scena all’interno del testo poetico, non è solo un lusus letterario. Si tratta di una scelta meditata a lungo, poiché negli autografi si trova questa sequenza: quae Sosios fratresa quam Sosii fratres ornabant bibliopolaeb quam Sosii fratres curabant bibliopolaec f.2 quae SOSIOS FRATRES referebat BIBLIOPOLAS,d f.24, dalla quale si ricava un indirizzo iniziale – cassato da Pascoli – con il titulus all’accusativo, e ben due redazioni con Sosii come soggetto e l’uso dei verbi ornare e curare. In Ecl. XI 22 un altro titulus, posto all’ingresso di un altro genere di taberna, provoca il riso di Virgilio, Vario e Tucca.

Sez. II (vv. 33-72) Struttura

Anche la seconda sezione è tripartita.

1. I vv. 33-47 mostrano Varo giunto alla soglia della bottega. Egli ha terminato il

suo viaggio di ritorno, che si è concluso davvero quando, animi novus (v. 37) grazie alle parole di Virgilio, sembra aver superato l’esperienza della guerra. Il suo sguardo poi è attirato dall’edizione delle Satire di Orazio in bella mostra su una pila ed entra per acquistare il libro dell’amico.