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5.ACIDI GRASSI E CANCRO : QUALE RELAZIONE?

5.1 INFIAMMAZIONE E CANCRO

Per infiammazione o flogosi si intende l'insieme delle modificazioni che si verificano in un distretto dell'organismo colpito da un danno: è una risposta protettiva deputata ad eliminare la causa inziale di danno cellulare, le cellule, i tessuti necrotici derivanti dall’insulto inziale e ad iniziare il processo di riparazione (Kumar V. et al.

2013 Robbins).

I sintomi più importanti della flogosi (cardinali) sono calor (aumento della temperatura locale dovuto all'aumentata vascolarizzazione), tumor (gonfiore determinato dalla formazione dell'essudato), rubor (arrossamento legato all'iperemia attiva), dolor (indolenzimento provocato dalla compressione e dall'intensa stimolazione delle terminazioni sensitive da parte dell'agente infiammatorio e dei componenti dell'essudato) e functio laesa (compromissione funzionale della zona colpita).

Il danno può essere provocato da: agenti fisici (traumi, calore, etc.), agenti chimici (acidi etc.), agenti tossici e agenti di natura biologica (batteri, virus etc.): i batteri, in particolare, sarebbero responsabili del 20% dei tumori indotti da un processo infiammatorio e recentemente si sta indagando anche il ruolo dei batteri commensali (microbiota) perche pare abbiano anch’ essi un coinvolgimento nello sviluppo di alcuni tumori (Elinav E. et al 2013).

L’infiammazione ha la funzione di aiutare a combattere le infezioni e altri stimoli dannosi: senza l’infiammazione le infezioni si diffonderebbero incontrollate e le ferite non guarirebbero mai (Kumar V. et al. 2013).

Tuttavia, alcune delle più importanti patologie dell’uomo (cancro, malattie autoimmuni etc.) derivano da un processo infiammatorio inappropriato, spesso cronico (Kumar V. et al. 2013).

Una incontrollata infiammazione, dovuta ad un eccesso di stimoli infiammatori, può creare un microambiente favorente lo sviluppo di patologie croniche e tumori e l’infiammazione persistente è stata correlata al rischio dello sviluppo di metastasi (Berquin I.M., et al. 2008, Srhan C.N., Savill J., 2005).

Quindi, se la risposta infiammatoria acuta ha dei vantaggi terapeutici, l’infiammazione cronica è associata ad una serie di patologie (Rajagopal C. et al, 2018). I mediatori chimici della flogosi sono sostanze di origine cellulare o plasmatica responsabili delle alterazioni che si verificano a livello tissutale e cellulare nel corso del processo infiammatorio: esse mantengono e amplificano la risposta infiammatoria a scopo difensivo.

E’ proprio nelle fasi iniziali dell’infiammazione acuta che si attivano quelle vie di autolimitazione che programmano la terminazione del processo infiammatorio: queste vie metaboliche mettono in moto enzimi, innescando eventi a cascata coordinati che portano alla produzione di messaggeri cellulari specifici, all’apoptosi dei leucociti e all’eliminazione delle cellule morte attraverso il sistema linfatico (Serhan C.N., Savill J. 2005).

Già nel 1794 un chirurgo Scozzese, John Hunter, aveva intuito che ‚l’infiammazione in

se non deve essere considerata una patologia ma una operazione salutare conseguente ad una patologia o ad una violenza‛ (Majno G. 1975).

Il risultato fisiologico di una infiammazione acuta dovrebbe essere la riparazione del tessuto leso, non la persistenza dello stato infiammatorio: è nel processo infiammatorio stesso che risiede la sua risoluzione ed è una modificazione di questo meccanismo a causare la cronicizzazione e persistenza dell’infiammazione che a sua volta possono scatenare il cancro.

Pur avendo entrambi degli effetti benefici, per quanto riguarda il loro ruolo nell’infiammazione, n-6 e n-3 hanno effetti opposti all’interno dell’organismo: n-6 PUFAs promuovono l’infiammazione acuta, che tuttavia è una risposta protettiva per l’organismo perché lo protegge da danni e infezioni (Fredman et al.2017) mentre n-3 hanno un effetto anti infiammatorio.

5.2 LA CARCINOGENESI

La cancerogenesi è il processo, complesso e multifasico, attraverso il quale una cellula diviene una neoplasia maligna: in questa situazione viene meno l’omeostasi fisiologica tra proliferazione e morte cellulare programmata (apoptosi ovvero quel fenomeno che sta alla base della corretta divisione cellulare).

Le diverse fasi della cancerogenesi (iniziazione, promozione e progressione) mostrano caratteristiche specifiche (Fig 16).

L’aspetto fondamentale della cancerogenesi è rappresentato da un danno genetico non letale (mutazione) che può essere ereditato o acquistito in seguito all’azione di fattori ambientali (tra cui annoveriamo anche l’alimentazione). Queste mutazioni conferiscono alle cellule un vantaggio selettivo.

Si producono alterazioni ereditabili solo se la sequenza di DNA danneggiato viene replicata prima della riparazione: in altre parole, le cellule danneggiate dal cancerogeno devono subire un ciclo di proliferazione, in modo che le lesioni del DNA, potenzialmente riparabili, diventino permanenti.

Il danno genetico può riguardare 4 classi di geni regolatori:

1. Proto-oncogeni cioè geni che promuovono la crescita cellulare e la mitosi; 2. Oncosoppressori ovvero geni che inbiscono la crescita e la mitosi o che

arrestano temporaneamente la divisione cellulare per consentire la riparazione del DNA;

3. Geni che regolano l’apoptosi;

4. Geni implicati nella riparazione del DNA.

Mutazioni a carico dei proto oncogeni possono modificare la loro espressione nonche la loro funzione, incrementando l’ammontare o l’attività delle proteine prodotte: di conseguenza le cellule tenderanno ad una proliferazione eccessiva e incontrollata. Ma anche mutazioni che spengono l’attività dei geni soppressori portano come conseguenza un ostacolo nella riparazione del DNA e tale condizione produrrà il tumore.

Per quanto riguarda i geni oncosoppressori, essi vengono a loro volta distinti in ‚regolatori‛ (o geni RB), la cui mutazione toglie un freno alla replicazione cellulare, e ‚guardiani‛, il cui esempio è rappresentato dal P53.

P-53 è una proteina fattore di trascrizione, il cui gene umano è collocato sul cromosoma 17, che regola il ciclo cellulare e ricopre la funzione di ‚guardiano del genoma‛ perché previene le mutazioni.

In assenza di P53 l’invecchiamento cellulare, se associato ad una infiammazione di basso grado, promuove la cancerogenesi: in altre parole, la capacità delle cellule senescenti di mediare la risposta antitumorale è regolata da P53 (Ferrara N. et al,

2005).

Topi con p53 mutato hanno una aumentata incidenza di cancro (Donehower LA et al.

1992) ed il segnale p53 è alterato in circa l’80% dei cancri umani (Promislow D.E. 2004)

indicando che le funzioni p53 sono fondamentali per la soppressione tumorale.

Fig 16. Diagramma di alcune componenti note del network regolatorio della P53 (Vijg J, Suh Y. 2003).

Anche la persistenza dello stato infiammatrorio costituisce un stimolo importante nella patogenesi del cancro.

Uno dei principali meccanismi coinvolge la famiglia di fattori di trascrizione STAT, in particolare STAT3, fattore di attivazione della trascrizione strettamente implicato nella genesi di tumori in tessuti multipli e correlato con processi infiammatori

riscontrati nei tumori dello stomaco, colon, fegato, rene e pancreas (Elinav e. et al

2013).

La famiglia delle proteine STAT (signal transducer and activator of transcription, trasduttori del segnale e attivatori della trascrizione) comprende una serie di fattori di trascrizione intracellulare coinvolti nell'immunità cellulo-mediata, nella proliferazione, apoptosi e differenziazione.

Citochine (IL6) e fattori di crescita fosforilano la STAT e questa raggiunge il nucleo, si lega ad una porzione di DNA denominata GAS (gamma activated sites), nella regione promotrice dei geni inducibili da citochine, e attiva la trascrizione. (STAT Transcription Factors, in Medical Subject Headings (MeSH), National Library of

Medicine, 2009.)

L’attivazione di STAT3 da parte della interleukina 6 (IL-6) è un passaggio cruciale nelle prime fasi dello sviluppo di tumori come quello del colon retto (CAC) dove STAT3, una volta attivato dai mediatori dell’infiammazione, incrementa la proliferazione delle cellule maligne e inibisce l’apoptosi in vivo (Walner M.J. et al,

2012).

Fig 17. Attivazione della proteina STAT3 da parte della IL-6, principale citochina pro infiammatoria (Walner M.J. et al, 2012).

L’incremento dei livelli di IL-6 attiva la trascrizione di STAT3 che è necessaria per la modificazione della cellula e per l’attivazione contemporanea del fattore NfK-B il quale si attiva sempre a causa di uno stimolo infiammatorio.

Si può ipotizzare l’esistenza di un’asse NFk-B-IL6-STAT3 i cui segnali a cascata determinano l’inizio del processo di cancerogenesi o la sua progressione (Iliopoulos D.

et al 2009).

Il cancro in definitiva è un danno genetico permanente indotto da vari fattori interni e/o dall’esposizione a fattori esterni o ambientali. Gli agenti cancerogeni sono tutti quei fattori in grado di produrre un danno genetico capace di indurre l’inizio della trasformazione maligna. Lo stimolo mitogenico in un tessuto non proliferante può essere indotto dal carcinogeno stesso ma anche da virus, batteri, fattori di infiammazione, ormoni, e deficienze dietetiche.

Tra i principali fattori cancerogeni per l’uomo quindi c’è sia l’infiammazione sia la nutrizione, dove la nutrizione incide per più di un terzo sul totale delle cause di cancro (Giammanco M et al. 2008).

Nella tabella seguente alcuni esempi di infiammazione associata al cancro.

Quindi un primo aspetto interessante è che un approccio antitumorale deve essere anche un approccio antiinfiammatorio (Coussens L. Werb Z. 2002).

Il tumore è in grado di modulare l’ambiente infiammatorio con la secrezione di fattori di crescita solubili e fattori chemiotattici che determinano, da parte delle cellule infiammate, la soppressione della risposta da parte dei linfociti T.

Recenti scoperte hanno portato a rivedere anche il ruolo dei neutrofili che possono essere manipolati dalla cellula tumorale: a seconda dei fattori solubili prodotti, i neutrofili possono essere ‚polarizzati‛ in differenti stati di attivazione manifestando proprietà pro e anti tumorali (Coffelt S. et al. 2016).

I neutrofili regolano anche lo switch delle classi di eicosanoidi da pro ad antiinfiammatori a partire da ARA (lipoxine) e da PUFAs n-3 (resolvine e protectine.

Fig 18. Ruolo dei PUFAs nella produzione di famiglie di mediatori lipidici bioattivi ( Modificata da

Serhan C.N., Savill J, 2005)

I mediatori della fase di risoluzione utilizzano proprio i PUFAs n-3 come precursori: EPA e DHA sono convertiti a resolvine e protectine, sostanze bioattive che hanno un ruolo critico negli eventi cellulari preposti alla risoluzione dell’infiammazione(Serhan

Concludendo, il ruolo dei PUFAs n-3 nella risoluzione dell’infiammazione è sicuramente un argomento molto complesso.

Il meccanismo principale con cui essi agirebbero, come abbiamo visto sopra, è attraverso il blocco della formazione di mediatori pro infiammatori con un meccanismo di competizione: infatti, è proprio durante il processo infiammatorio che i PUFAs n-3 vengono utilizzati per generare nuovi mediatori che inibiscono l’infiammazione (mediatori pro risolventi specializzati), e questo è dimostrato soprattutto nell’infiammazione acuta dove l’essudato è ricco di ARA, EPA, DHA che vengono mobilizzati per poi essere trasformati in mediatori con funzione inibitoria. I risultati tuttavia sono discordanti.

Uno studio (Hooper l. et al. 2006) ha preso in considerazione reviews di trial randomizzati e controllati relativamente alla supplementazione di omega-3 (da pesce o da olio vegetale) in soggetti adulti per un periodo di oltre 6 mesi: sono stati presi in considerazione 15.159 articoli e abstracts di cui 48 studi di coorte e 48 trials randomizzati per un totale di 36.913 partecipanti. Lo studio si proponeva di valutare le evidenze di un effetto benefico degli omega-3 sulla mortalità totale, sugli eventi cardiovascolari e sul cancro (ovvero su tutti quegli eventi patologici dipendenti da uno stato infiammatorio persistente). Le ricerche sono state condotte nella Cochrane Library, Medline, Embase, The National Research Register and SIGLE.

Sono stati esclusi:

 i trials non randomizzati;

 gli studi che non comprendevano gli omega-3;

 gli studi dove i partecipanti erano bambini o malati gravi;  studi di durata inferiore a 6 mesi;

Sono stati anche scartati gli studi di coorte se essi non valutavano l’apporto di omega-3, se il follow up era inferiore a 6 mesi o se l’associazione tra omega-3 e mortalità non era preso in considerazione.

La conclusione di questo lavoro è stata che l’effetto degli omega-3 sulla mortalità sia per rischio CVD che per cancro non è certo: non esclude a priori che vi sia un effetto benefico da parte degli omega-3, ma non trova correlazioni dirette con la diminuzione del rischio di morte per qualsiasi causa; inoltre, non ascrive l’effetto protettivo ai soli omega-3, ipotizzando che l’effetto del consumo di pesce sulla salute possa essere dovuto anche ad altri componenti come il selenio o la vitamina D.

Il motivo di tali risultati controversi sta nel fatto che noi non mangiamo nutrienti, noi mangiamo cibo e questo vale anche per gli acidi grassi.

L’effetto degli omega-3, infatti, può essere condizionato da altri componenti presenti nel cibo, per esempio dalla presenza di omega-6 (valutando non tanto la quantità di omega-3 ma l’indice omega-3 che è appunto il rapporto tra le due famiglie) o dalla concomitante presenza negli alimenti di antiossidanti (Bougnoux P. 1999).

A questo proposito sono stati condotti diversi studi su topi a cui sono state impiantate cellule di cancro alla mammella: in tutti questi studi non è stata evidenziata un correlazione inversa tra aumento degli n-3 nella dieta e riduzione della crescita del tumore, ma è stata evidenziata una correlazione inversa tra indice omega-3 (ovvero rapporto n-6/n-3) e cancro, ad indicare che l’effetto protettivo degli n-3 dipende dalla componente lipidica totale e dalla quota di n-6 (Sasaki et a., 1998;

Simonsen N. et al. 1998).

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