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Inibitori della dipeptidil peptidasi (DPP-4)

Nuove immunoterapie per il trattamento del diabete di tipo

7.4 Inibitori della dipeptidil peptidasi (DPP-4)

Altri farmaci che utilizzano nuovi meccanismi d‟azione, migliorando l‟omeostasi del glucosio senza deteriorare la secrezione insulinica, sono rappresentati da quelli che usano il sistema delle incretine.

L‟introduzione dei nutrienti con la dieta determina la secrezione di numerosi ormoni gastroenterici che sono coinvolti nella regolazione della motilità intestinale, della secrezione acida gastrica e degli enzimi pancreatici, della contrazione della colecisti e del loro riassorbimento. Recenti studi hanno dimostrato che alcuni ormoni intestinali facilitano l‟uso del glucosio assorbito, riducendone la concentrazione plasmatica, attraverso una potente stimolazione della secrezione insulinica da parte del pancreas. L‟osservazione che la somministrazione di glucosio per via orale

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comportava un più efficace stimolo alla secrezione insulinica rispetto all‟introduzione di una stessa quantità di glucosio per via endovenosa, ha portato allo sviluppo del concetto di incretine e alla loro successiva individuazione.

La prima incretina ad essere identificata è stata il GIP (polipeptide insulino tropico glucosio dipendente) e la seconda il GLP-1 (peptide tipo glucagone) .

Entrambi questi ormoni svolgono molteplici azioni sulla regolazione glicemica: promuovono la proliferazione delle cellule β del pancreas, riducono la morte cellulare e stimolano il rilascio di insulina.

Il GIP viene prodotto nel duodeno da parte delle cellule k mentre il GLP-1 è rilasciato dalle cellule enteroendocrine del colon e del piccolo intestino.

La secrezione del GIP è stimolata dalla presenza nel duodeno sia di glucosio che di lipidi. I suoi livelli plasmatici sono circa 10-20 volte più elevati nel periodo post- prandiale rispetto alla fase di digiuno.

Oltre alla sua azione di stimolo sulla secrezione insulinica, il GIP inibisce la secrezione acida gastrica e regola il metabolismo dei grassi nel tessuto adiposo. Il rilascio del GLP-1 è stimolato da diversi nutrienti a livello intestinale ma la sua azione sulla secrezione insulinica è strettamente dipendente dal glucosio circolante. Rispetto al GIP, il GLP-1 possiede anche un‟azione sensibilizzante sui recettori del glucosio, inibisce la secrezione di glucagone e riduce lo svuotamento gastrico, rallentandolo. Inoltre sembra aumentare il senso di sazietà, limitando quindi l‟introito di cibo e l‟aumento di peso, pur continuando a stimolare la proliferazione beta- cellulare.

Gli effetti fisiologici delle incretine sono notevolmente ridotti nel diabete di tipo 2. In questo caso l‟incremento della secrezione insulinica è solo del 20% con la somministrazione orale di glucosio rispetto a quella endovenosa, mentre nel soggetto normale risulta addirittura del 40%. Inoltre le concentrazioni ematiche del GLP-1 e del GIP sono ridotte fino al 50% dei valori normali. Il GIP perde molte delle sue azioni insulino-stimolanti nel diabete di tipo 2, mentre le funzioni del GLP-1 sembrano preservate. Proprio questa caratteristica ha reso il GLP-1 un possibile target per la terapia antidiabetica. È inoltre importante sottolineare che il GLP-1 non stimola la secrezione insulinica in presenza di normali livelli di glucosio, quindi la sua azione è strettamente glucosio dipendente, riducendo notevolmente i rischi di ipoglicemia. 59

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Figura 5

La Dipeptidil-Peptidasi-4 (DPP-4) è invece un enzima presente principalmente a livello dell‟endotelio dei vasi sanguigni e nel siero umano in grado di inattivare le incretine GIP e GLP-1, oltre ad altri peptidi. La DPP-4 agisce troncando due amminoacidi della porzione N-terminale presenti sia nel GIP che nel GLP-1. La sua azione è così rapida che l‟emivita nel siero del GIP è di appena 7 minuti e quella del GLP-1 è addirittura di 2 minuti. Proprio per questa rapida metabolizzazione a cui sono soggette le incretine, l‟uso terapeutico sia del GIP che del GLP-1 nel diabete mellito è notevolmente limitato. Recente è invece l‟idea di utilizzare degli inibitori della DPP-4 nel trattamento del diabete tipo 2. Queste molecole agiscono legandosi al DPP-4 e impedendo la degradazione delle incretine fanno in modo di prolungare notevolmente i loro effetti biologici. In ratti diabetici gli inibitori del DPP-4 hanno mostrato di ritardare l‟evoluzione della malattia, di migliorare la tolleranza ai carboidrati e aumentare la secrezione insulinica in risposta ai pasti. Altri studi hanno evidenziato la capacità di queste molecole di aumentare la risposta insulinica al GLP-

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1 e al GIP sia in modelli animali che umani, nonché la loro capacità di preservare le cellule beta pancreatiche.

In conclusione la recente attenzione sugli ormoni incretinici e sui loro analoghi e l‟avvento degli inibitori della DPP-4 ha aperto nuove frontiere nel trattamento del diabete mellito tipo 2. Questa nuova classe di farmaci è in grado di stimolare il rilascio di insulina, inibire il rilascio di glucagone e migliorare efficacemente la regolazione della glicemia. Rispetto ai farmaci attualmente utilizzati per via orale mancano di significativi effetti collaterali, non determinano un aumento del peso corporeo e sembrano limitare alcuni importanti fattori di rischio come la dislipidemia, l‟obesità e l‟ipertensione. Questa classe di farmaci può essere utilizzata anche in combinazione con gli altri ipoglicemizzanti orali. Gli inibitori della DPP-4 hanno un ulteriore vantaggio rispetto agli analoghi delle incretine e del GLP-1, possono essere somministrati per via orale e non tramite iniezione sottocutanea e possono essere utilizzati in un‟unica dose giornaliera con assenza di alcuni fastidiosi disturbi gastrici come la nausea e la diarrea.

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7.5 Gli attivatori sirtuin

Le sirtuine rappresentano una famiglia di enzimi coinvolti nel metabolismo e nelle malattie metaboliche. Le sirtuine agiscono come deacetilasi su vari bersagli compresi gli istoni, fattori di trascrizione e modulatori dell‟apoptosi.

L‟attivazione di un membro della famiglia delle sirtuine, SIRT 1, porta alla diminuzione dei livelli di glucosio, al miglioramento della sensibilità all‟insulina e ad una diminuita adiposità nei topi. Il resveratrolo, un attivatore polifenolico SIRT 1, ha dimostrato efficacia nel migliorare la resistenza all‟insulina nel topo ed è stato suggerito come un candidato terapeutico potenziale per il trattamento dell‟obesità e del diabete di tipo 2.

7.6 Glitazars (aleglitazar)

Sebbene ci sia molta discussione sul rischio cardiovascolare dei PPAR, c‟è nuovo interesse nell‟aleglitazar, un nuovo agonista PPAR α e PPAR δ. L‟aleglitazar fa bene sia al metabolismo dei lipidi, sia al controllo del glucosio ed ha proprietà antinfiammatorie. Lo studio SYNCHRONY, uno studio randomizzato di fase II, ha rivelato che l‟aleglitazar è in grado di ridurre i livelli basali di HbA1c e i livelli di colesterolo LDL a vari intervalli di dosi senza effetti avversi sull‟insufficienza cardiaca. L‟aleglitazar era tollerato e sicuro nello studio durato 16 settimane, quindi adesso è in corso uno studio di fase 3 . 60

Se si dimostrerà che l‟aleglitazar può down-regolare le vie di segnalazione infiammatorie oppure interferire con il successivo sviluppo di autoimmunità delle isole, in futuro potrebbe diventare un agente immunoterapeutico da utilizzare nel diabete di tipo 2 (T2D).

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7.7 Prendere di mira i linfociti T e B

L‟utilizzo di una terapia anti – CD3 (teplizumab, otelixizumab e visilizumab) prendendo di mira i linfociti T e di una terapia anti – CD20 (rituximab) con obiettivo i linfociti B ha dimostrato efficacia clinica nel trattare l‟autoimmunità delle isole associata con diabete di tipo 1 (T1D) . Avendo recentemente compreso che l‟infiammazione cronica caratterizzata da infiltrazione di cellule T e macrofagi nel tessuto adiposo è caratteristico dell‟obesità che porta a insulino-resistenza, intolleranza al glucosio e T2D, prendere di mira specificatamente le cellule effettrici del sistema immunitario potrebbe essere una direzione da prendere in studi futuri non solo per il T1D ma anche per il diabete di tipo 2. Infatti studi recenti hanno dimostrato un miglioramento marcato della sensibilità all‟insulina nel modello murino, con obesità indotta con la dieta, quando vengono usate terapie anti – CD3 e anti – CD20, suggerendo che, se questi risultati saranno applicabili anche nella specie umana, potrebbe essere di beneficio prendere di mira i linfociti T e B del tessuto adiposo . Una nota di cautela da tener presente, quando si prende in considerazione l‟uso di anticorpi anti – CD3 o anti – CD20 per trattare pazienti con diabete di tipo 2, sarebbe il rischio potenziale che nei pazienti in futuro si sviluppi una leucoencefalopatia. Si deve tener conto di queste preoccupazioni quando si valuta l‟uso di questi farmaci nell‟immunoterapia del T2D.