L’evoluzione del diritto d’asilo in Italia sotto la “pressione” dell’azione europea
3.7 Innovazioni e limiti dell’azione europea.
L’azione europea ha portato nuova linfa vitale all’azione legislativa italiana nell’ambito del diritto d’asilo. La volontà di intraprendere una via comune che porti alla creazione di un diritto comunitario emerge chiaramente dalle varie direttive e dai vari regolamenti dell’UE. L’Italia, malgrado la lentezza nel recepimento, (in media sono necessari dai tre ai quattro anni), ha migliorato –anche se in alcuni casi solo da un punto di vista prettamente formale - la qualità della sua legislazione e
creato una serie di strumenti di tutela necessari al cittadino proveniente da un paese terzo.
Come esempio di questo progressivo miglioramento della legislazione interna possiamo sicuramente indicare l’introduzione della cosiddetta protezione sussidiaria, della quale abbiamo già parlato precedentemente; ma sembra opportuno approfondire in maniera adeguata un argomento così importante.
La protezione sussidiaria può essere definita come uno status conferito dalle Commissioni territoriali in seguito alla presentazione di una domanda di protezione internazionale. Essa, può essere concessa nel caso in cui il cittadino straniero non possa dimostrare una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra, ma si ritiene che possa subire un danno grave quale: torture, minacce, condanna a morte o minacce alla vita in caso di guerra interna o internazionale.
La protezione sussidiaria fornisce uno status quasi equivalente a quello del rifugiato, coloro che ne usufruiscono potranno infatti: studiare, svolgere un’attività lavorativa (subordinata o autonoma o nel pubblico impiego), iscriversi al servizio sanitario e usufruire delle prestazioni assistenziali dell’INPS come per esempio gli assegni sociali o la pensione per gli invalidi civili.
Il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria può essere convertito in un permesso di soggiorno per lavoro, ma la conversione comporta la rinuncia alla protezione sussidiaria stessa. La differenza più evidente tra la protezione sussidiaria e lo status di rifugiato è la durata. La prima infatti ha una durata limitata, che corrisponde a 3 anni, poi portati a 5, rinnovabili.
Un altro importante diritto garantito dalla protezione sussidiaria è quello relativo all’unità familiare, il soggetto in possesso di permesso per protezione sussidiaria può inoltrare la richiesta di ricongiungimento familiare per consentire l’ingresso in Italia dei propri familiari.
Con il termine ‘familiari’ si fa riferimento a: il coniuge, i figli minori (naturali o adottati o affidati o sottoposti a tutela) a patto che non siano sposati e risultino a carico del titolare del permesso di protezione sussidiaria, i figli maggiorenni a carico se invalidi totali e i genitori.
Altro elemento di grande importanza, introdotto con il decreto legge n.25/2008 è il cosiddetto “ricorso sospensivo”, cioè l’obbligo di sospendere l’efficacia del procedimento d’espulsione nel caso di avvio della procedura di ricorso, oltre al maggiore interesse nei confronti della tutela dei minori, dei quali si parlava comunque in maniera più o meno approfondita in tutte le direttive sopra elencate.
Da non tralasciare riguardo al decennio che stiamo prendendo in analisi, è la Direttiva 2011/95/CE del 31 dicembre 2011, recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto Legislativo n. 18 del 21 febbraio 2014. Compito di questa nuova direttiva era il ribadire le indicazioni date dalla Direttiva 2004/83/CE.
Quest’ultima era già stata in passato tra le più apprezzate e sicuramente la sua applicazione era stata una delle meno problematiche. In conseguenza la nuova rifusione non introdusse elementi particolarmente innovativi, ma di sicuro è possibile rilevare una maggiore chiarezza e precisione delle norme presenti nel documento. Gli articoli che subirono le maggiori modifiche furono:
l’articolo 7 in cui viene chiarito che la lista è esaustiva attraverso la precisazione: “ La protezione contro persecuzioni o danni gravi può essere offerta esclusivamente: […]”; viene specificato che i partiti e le organizzazioni che controllano un territorio possono offrire protezione “ a condizione che abbiano la volontà e la capacità di offrire protezione”, inoltre si afferma in maniera chiara che la protezione contro persecuzioni o danni gravi debba essere “effettiva e non temporanea”;
l’articolo 8 relativo alla protezione interna del paese d’origine, viene modificato in più punti allo scopo di chiarire che un cittadino straniero può essere escluso dalla protezione internazionale a patto che egli possa accedere alla protezione in una parte del territorio di origine e a condizione che abbia la possibilità di recarsi lì senza alcun pericolo per la propria incolumità e che si possa supporre che vi si stabilisca. Allo scopo di valutare le condizioni del Paese terzo, lo Stato che deve esprimere un proprio giudizio sulla richiesta di
protezione internazionale, dovrà fare le dovute valutazioni basandosi in particolar modo su: “informazioni precise e aggiornate [che] provengano da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo”. Infine viene abolito il paragrafo 3, presente nella Direttiva 2004/83/CE che permetteva l’applicabilità dell’articolo 8 anche in caso “ostacoli tecnici al ritorno al paese d’origine”
l’articolo 9 riguardante gli atti di persecuzione veine modificato allo scopo di rendere palese che i motivi di persecuzione possono essere collegati tanto agli atti di persecuzione in sé, quanto all’assenza di protezione contro tali atti.
L’articolo 10 che elenca i motivi di persecuzione viene ampliato e nella parte relativa alla definizione dei gruppi vengono indicate come possibili elementi dei quali tener conto tutte le considerazioni di genere, identità di genere compresa.
In definitiva la rifusione avvicina notevolmente il contenuto dello status di protezione sussidiaria a quello di rifugiato eliminando parte delle possibilità che gli Stati avevano per limitare l’accesso ad alcuni diritti ai soli rifugiati. In particolar modo gli articoli 26, 30 e 34 ribadiscono come in materia di occupazione, assistenza sanitaria e strumenti d’integrazione i due status siano da un punto di vista pratico equiparati, infatti, per esempio, in materia di assistenza sanitaria si aggiunge l’obbligo per gli Stati membri di fornire assistenza relativa ai disturbi psichici, mentre riguardo agli strumenti d’integrazione viene espressamente indicato l’obbligo di attuare politiche dirette a prevenire la discriminazione nei confronti dei beneficiari di protezione internazionale con lo scopo di garantire le pari opportunità.
In questo processo di sviluppo della legislazione italiana ed europea, accanto ai vari aspetti positivi è opportuno evidenziare la presenza di lacune, alcune attribuibili alla volontà del legislatore stesso, altre a scelte politiche portate avanti dai vari Governi.
Relativamente al secondo caso, possiamo fare l’esempio della protezione temporanea. Questo strumento, utile all’interno del panorama legislativo, rimane ad oggi inutilizzato, in quanto una sua attivazione a livello UE è successiva al raggiungimento di una stabile maggioranza all’interno del Consiglio europeo. Di conseguenza quello che si configurerebbe quale un ulteriore mezzo di tutela per i rifugiati rimane pressoché inutilizzato a causa delle varie divergenze politiche tra gli Stati membri. Se da un lato questo strumento europeo è rimasto sostanzialmente inattuato, l’Italia dall’altro ha però più volte fatto ricorso all’articolo 20, comma 1 del Decreto Legislativo 286/98, che ha permesso il salvataggio di sfollati provenienti da Albania, Jugoslavia, Somalia e Kosovo tra gli anni 1998 e 2000, e di cittadini provenienti dal Nord Africa (come si dirà più specificamente più avanti, nel Capitolo IV) nel periodo 2011/2012.
Discorso a parte meritano invece i casi in cui si ha una semplice modifica di facciata della normativa stessa, la quale rimane invariata dal punto di vista sostanziale, mentre le vengono apportati diversi cambiamenti solo dal punto di vista formale. L’esempio più chiaro è quello relativo all’abolizione del trattenimento nei CID e alla sostituzione dello stesso con l’accoglienza nei CARA: se infatti dal punto di vista formale abbiamo delle modifiche, dal punto di vista pratico non cambia nulla, in quanto i casi di accoglienza rimangono pressoché uguali a quelli di trattenimento e i CARA sono praticamente le stesse strutture che prima erano chiamate CID.
Un ulteriore elemento del quale prendere atto è l’utilizzo di sempre maggiori risorse non solo dal punto di vista italiano, ma anche da quello europeo. Possiamo infatti notare come il supporto alle politiche relative all’asilo e all’immigrazione sia aumentato costantemente nel corso degli anni. Questo particolare dato, desumibile dalle varie disposizioni finanziarie delle direttive, non è riconducibile a un semplice aumento dei richiedenti asilo108, bensì alla manifesta
108 Numero di domande presentate negli anni 2000: 2000: 18.360 domande; 2001: 17.402 domande; 2002: 16.123 domande; 2003: 13.971 domande; 2004: 9.796 domande; 2005: 9.346 domande; 2006: 10.348 domande; 2007: 14.053 domande; 2008: 31.097 domande. Fonte: Rapporto Annuale Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati anno 2008/2009, pagina 45, consultabile al sito: http://www.serviziocentrale.it/file/pdf/Rapporto_annuale_SPRAR_Anno_2008-2009.pdf, data di accesso 27/07/2014.
volontà di fornire un sistema d’asilo sempre migliore e completo, che provi a tutelare veramente il richiedente.