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6. Area urbana di Como

6.1.1.3. Inquadramento sismotettonico ed evidenze paleosismiche

L’evoluzione tettonica del territorio che ospita la città di Como è complicata dalla presenza di diversi fattori che agiscono contemporaneamente, sia a scala regionale che locale: la compressione alpina tuttora attiva, il glacial rebound e la subsidenza indotta a scala regionale dalla subduzione appenninica (Comerci, 2004). Dal punto di vista strutturale (Figura 33), l’area urbana di Como è delimitata ad ovest da un importante lineamento tettonico, il Retroscorrimento di Monte Olimpino, che borda il massiccio gonfolitico con andamento NO-SE. Tale struttura rappresenta un sovrascorrimento N vergente, che porta il Gruppo della Gonfolite Lombarda a sovrascorrere sulla successione mesozoica con uno scollamento che si imposta in corrispondenza della rampa frontale al livello della formazione di Chiasso. Questo lineamento è stato direttamente osservato nel tunnel ferroviario di M. Olimpino (Bernoulli et al., 1989) e in corrispondenza di uno scavo edilizio in Via Borgovico (Como). La giacitura media del sovrascorrimento è di N210°con un’inclinazione piuttosto elevata (circa 60°), almeno nei settori più superficiali.

A dispetto della mancanza di forti terremoti locali registrati nel catalogo storico e strumentale, l’area intorno alla città di Como è interessata da significative evidenze di tettonica attiva e paleosismicità recente, descritte già a partire dagli anni ‘70 (Orombelli, 1976; Castaldini & Panizza, 1991; Bini et al., 1993, 2001; Zanchi et al., 1997). Infatti, sebbene la deformazione tettonica compressiva dell’area pedemontana fra i laghi di Como e Maggiore, al fronte della catena Sudalpina, sia stata considerata in letteratura come terminata a partire dal Tortoniano (Pieri & Groppi, 1981), sussistono numerose evidenze di carattere geologico e geomorfologico di attività neotettonica nell’area, ascrivibili all’intervallo Pliocene – Olocene (Livio et al., 2009a; 2009b; Michetti et al., 2010; Berlusconi et al., 2012; Michetti et al., 2012).

Le principali strutture tettoniche presenti nell’area comasca, tra cui l’Anticlinale di Albese con Cassano e il Retroscorrimento di Monte Olimpino, sono state oggetto di recenti analisi geomorfologiche e di rilevamenti sul terreno (Chunga et al., 2007; Sileo et al., 2007; Livio et al., 2011). In particolare, nella zona di Albese con Cassano sono state identificate delle evidenze di liquefazioni e deformazioni sinsedimentarie in depositi proglaciali pleistocenici, che sembrano suggerire l’occorrenza di forti paleoterremoti locali (Chunga et al., 2007).

Lungo la traccia del Retroscorrimento di Monte Olimpino si possono osservare depositi pliocenici (Mendrisiotto), medio pleistocenici (Val Faloppia), e glaciali (Novazzano) sistematicamente coinvolti nella deformazione. L’età di attivazione del Retroscorrimento sembra essere contemporanea alle arenarie della Valgrande (Burdigaliano); il limite superiore per l’attività del Retroscorrimento è tradizionalmente posto al Messiniano, sulla base dell’interpretazione dei dati di sismica a riflessione industriale (Fantoni et al., 2004). Tuttavia, sulla base di recenti studi (Sileo et al., 2007, Livio et al., 2011, Michetti et al., 2010), è possibile affermare che l’attività di questa struttura perdura nel Plio-Pleistocene e sino all’Olocene; il tasso di scorrimento del Retroscorrimento di M. Olimpino durante il Tardo Quaternario è valutabile in 0,2 ÷ 0,4 mm/anno.

In particolare, lo scavo delle fondazioni in un cantiere aperto nel 2010 presso Borgo Vico, nella zona NO della città di Como, ha consentito di osservare uno splay secondario al tetto del Retroscorrimento che porta il membro dei conglomerati di Villa Olmo in contatto tettonico inverso con dei sedimenti conglomeratici attribuibili all’Ultimo Massimo Glaciale e con argille lacustri di età tardo-glaciale (Figura 34; Livio et al., 2011). Le osservazioni condotte portano pertanto a dimostrare che anche la sequenza di argille e limi post-glaciali e olocenici che caratterizzano il sottosuolo dell’area urbana di Como è interessata dalla deformazione.

Figura 34 : Profilo geologico dell’affioramento nel sito di Borgo Vico, in cui si osserva un contatto tettonico che coinvolge la sequenza di argille e limi post-glaciali.

I dati appena esposti, uniti ai movimenti verticali recenti del suolo (Beretta et al., 1986) ed alle evidenze geodetiche del raccorciamento crostale in corso individuate dalle recenti indagini GPS (e.g., Serpelloni et al., 2005; Michetti et al., 2012), rappresentano rilevanti indicazioni del livello di attività tettonica esistente nel settore lariano. Per l’intorno significativo dell’area di Como, il terremoto di riferimento è rappresentato dal sisma del 25 Dicembre 1222 con epicentro nel Bresciano (Intensità IX ÷ X MCS; cfr. Michetti et al., 2012; Tabella 23). A tale sisma sono stati ad esempio attribuiti effetti paleosismici secondari (movimenti gravitativi cosismici con innesco di megatorbiditi) osservati nei depositi del Lago di Como (Fanetti et al., 2008).

La sismicità dell’area comasca è comunque da considerare bassa, come confermano i “Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e la formazione e l’aggiornamento degli elenchi e delle medesime zone” conseguente all’O.P.C.M. n. 3274 del 2003, che collocano il territorio comunale di Como in Zona 4.

Data Epicentro Intensità epicentrale

(scala MCS) Ms

Distanza dalla città di Como

(km)

3/1/1117 Veronese IX ÷ X 6,49 160

25/12/1222 Basso Bresciano VIII ÷ IX 6,05 110

26/11/1396 Monza VII ÷ VIII 5,1 50

24/1/1491 Verona VII ÷ VIII 5,1 155

7/4/1786 Piacenza VI ÷ VII 5,01 70

12/5/1802 Valle dell’Oglio VIII 5,54 78

7/6/1891 Valle d’Illasi VIII ÷ IX 5,61 165

30/10/1901 Salò VIII 5,55 105

Tabella 23 : Principali terremoti storici e strumentali (intensità epicentrale > VII MCS) rilevati nell’area lombarda (Fonte: CPTI04). Note: intensità espresse secondo la scala MCS; Ms: magnitudo relativa ai terremoti storici stimata

6.1.1.4. Geomorfologia ed evoluzione ambientale recente

Il paesaggio dell’area comasca è ovviamente dominato dalla presenza del Lago di Como, la cui origine è molto complessa e tuttora in discussione; il Lago, così come gli altri grandi laghi a sud delle Alpi, risulta caratterizzato, secondo le prospezioni sismiche effettuate (Bini et al., 1978; Finckh, 1978; Finckh et al., 1984), da una profondità considerevole del fondo roccioso, oltre che da un consistente sviluppo longitudinale e da ripidi fianchi rocciosi.

L’origine di questi bacini fu inizialmente attribuita all’erosione glaciale recente (Nangeroni, 1956); in seguito, è stata avanzata un’ipotesi che suggerisce invece che le valli siano dei canyon fluviali, generati dall’abbassamento del livello di base conseguente al disseccamento del Mediterraneo avvenuto nel Messiniano, poi rimodellati dai ghiacciai (Servizio Geologico d’Italia, 2012).

Le evidenze a supporto di tale ultima ipotesi sarebbero i profili trasversali dei bacini lacustri, che presentano forma a V propria delle valli fluviali in luogo della tipica forma a U delle valli glaciali, oltre che l’elevata criptodepressione del fondo lacustre, non spiegabile attraverso il processo di esarazione glaciale. Inoltre, la sezione trasversale dei bacini presenta una condizione di oversteepening, riscontrata in numerosi casi sia a sud che a nord delle Alpi (Preusser et al., 2010), e identificata, nel corso di questo progetto, anche nel Lago di Como (cfr. § 6.3.1.2.; Allegato 3).

Durante il Quaternario il principale agente modellatore del paesaggio circumlacuale fu senza dubbio il ghiacciaio, con formazione di rilievi dai fianchi ripidi separati da ampie vallate. Le forme risultanti, a testimonianza dell’azione dei ghiacciai, sono sia di tipo erosivo (sezioni ad U delle valli e rocce montonate) che di tipo deposizionale (morene e terrazzi fluvioglaciali).

La glaciazione più recente, che prende il nome di Glaciazione Cantù negli anfiteatri morenici del Lago Maggiore e del Lago di Como, corrisponde allo stage isotopico 2 (Bini & Zuccoli, 2004). Durante tale glaciazione non esisteva sulle Alpi un’unica calotta glaciale ma grandi ghiacciai vallivi; uno di questi era il ghiacciaio dell’Adda proveniente dall’alta Valtellina e formato dalla coalescenza di più ghiacciai.

In corrispondenza dell’ultimo massimo glaciale, circa 20.000 anni fa, l’area lariana veniva ricoperta quasi completamente dal ghiaccio (cfr. Figura 62 a), che nell’Alto Lario raggiungeva i 1.530 m s.l.m.. Verso sud il ghiacciaio si ripartiva in più rami, attraverso transfluenze e diffluenze, a formare i lobi pedemontani di Como, della Brianza e di Lecco (Servizio Geologico d’Italia, 2012). La deposizione dei sedimenti glaciali e fluvio – glaciali quaternari è connessa alle fluttuazioni climatiche pleistoceniche, che hanno notevolmente influenzato le varie lingue glaciali (Bini et al., 2001).

La deglaciazione, e la conseguente ricomparsa della foresta, è stata confermata da analisi polliniche già a partire da circa 18.000 BP nel territorio comasco (Comerci et al., 2004). Per la ricostruzione dettagliata dell’evoluzione ambientale a partire dall’UMG, si rimanda al successivo § 6.4.3..

La morfologia glaciale è stata successivamente rimodellata dall’azione delle acque superficiali, della gravità e dei processi deformativi attivi sui versanti, oltre che della tettonica. Particolarmente significativi risultano inoltre i fenomeni di carsismo profondo, favoriti da estese e potenti coperture sedimentarie facilmente alterabili (in particolare, il calcare di Moltrasio). Infine, non sono trascurabili gli effetti dell’antropizzazione degli ultimi millenni, che ha comportato intensi diboscamenti e lo sfruttamento a fini agricoli e industriali del territorio.